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Europa non è (solo) un’idea. Urge accogliere la sfida della politica

Forte è la tentazione, anche in chi scrive, di parlare di Europa in termini ideali, di una costruzione che, solo esistendo, garantirebbe tutto ciò che i cittadini si aspettano in termini di libertà e di sviluppo.

Cominciamo con il dire che, in tempi difficili come quello che stiamo vivendo, l’Europa rappresenta una grande potenzialità. Diciamo anche che, guardando ai fondatori, le due linee – quella legata al Manifesto di Ventotene e l’altra che riconduciamo ai nomi di De Gasperi, Adenauer e Schumann – portano dentro elementi di grande interesse e visione; non siamo tra coloro che le contrappongono ma tra quanti non si stancano di ricercare un’anima politica.

Questa riflessione muove, tra nostalgia e progetto, sulla necessità che in Europa si formino classi dirigenti che, pur gettando il cuore oltre l’ostacolo, guardino ai rapporti di forza e agli interessi in campo. La visione politica è, anzitutto, realismo e mediazione.

La storia ritorna, pur se – circa trent’anni fa – si guardò a essa dalla prospettiva della sua fine. Non si può ragionare dell’Europa di oggi se non si fa un tuffo indietro nella storia, se non si comprende che la Lega Anseatica è tornata e che il Gruppo di Visegrad rappresenta una realtà di Paesi con i quali bisogna fare i conti. I fattori geopolitici, le zone d’influenza interne all’Europa, sono un elemento decisivo da tenere in conto in ogni considerazione che voglia calarsi nella realtà-che-è.

I diversi miti europei sono all’opera e “diventano” scelte e difficoltà politiche. Nulla di ciò che accade, dal ritorno dei sovranismi alle difficoltà legate al raggiungimento di accordi europei nella crisi da Covid-19, accade per caso. Ci sono ragioni profonde che, a ben guardare, le classi dirigenti (non solo politiche) raramente esplorano.

Il tema, per noi, è lavorare sul futuro dell’Europa sapendo che è richiesto un nuovo “funzionalismo democratico”, un realismo dei fatti e capacità di mediazione che, pur considerando le ragioni ideali, lavorino a ricomporre l’Europa a partire dalle Europe che la compongono.

Sembra, infatti, che l’atteggiamento verso l’Europa voglia quasi prescindere dalla realtà profonda (miti) che rende il Vecchio Continente ciò che è oggi. Non si tratta, naturalmente, di auspicare che l’Europa diventi a misura d’interessi particolari (sarebbe una resa) ma di lavorare politicamente “tra” i diversi interessi per ritrovare, senza dubbio faticosamente, un percorso comune. Questo lavoro si chiama talento politico e può appartenere a persone che non considerino la storia come un processo distaccato dal presente, un passato “passato”, ma come un monito che ci chiama a guardare oltre ciò che vediamo.

In conclusione, guardando all’ineliminabile lato “romantico” (ma altrettanto realistico) dell’Europa che vorremmo, val bene ribadire un deciso “alert” sul pericolo rappresentato dai nazionalismi. Proprio per questo è necessario invocare il ritorno di una Politica (qui volutamente in maiuscolo) che sappia dialogare con tutte le forze in campo. Il tempo che viviamo, geopoliticamente parlando, non è quello di Spinelli, De Gasperi, Adenauer e Schumann. Si è consolidata, in diversi decenni, la capacità dell’Europa di farci vivere in pace ma inevitabilmente, in tempi di crisi, essa ritorna a mostrarsi nelle sue divisioni. Affinché l’Europa non resti una magnifica idea, urge accogliere la sfida della Politica.



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