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Al Shabaab, la conversione, lo show tv e il ruolo delle Ong. Parla Dambruoso

Nella vicenda della liberazione di Silvia Aisha Romano il fattore patrimoniale è stato ben più forte di quello religioso: siamo di fronte a predoni prima che terroristi. Lo sostiene in un’intervista a Formiche.net Stefano Dambruoso, già questore della Camera dei deputati oggi tornato in magistratura al dipartimento antiterrorismo della Procura di Bologna. Per il suo lavoro a inizio degli anni Duemila alla Procura di Milano sulla rete di Al Qaeda, il settimanale Time lo aveva inserito nel 2003 tra gli “eroi moderni”. Con Guido Olimpio ha scritto un anno più tardi “Milano-Bagdad. Diario di un magistrato in prima linea nella lotta al terrorismo islamico in Italia” (Arnoldo Mondadori Editore).

Che cosa rappresenta per un gruppo come Al Shabaab il pagamento di un riscatto simile?

Quello del pagamento del riscatto è un problema noto da tempo che comporta non soltanto l’utilizzo di quei fondi per ulteriori attività terroristiche, ma anche un segnale di accondiscendenza che indurrà a nuovi rapimenti. Ma il grande problema, che riguarda in particolare modo questi ultimi casi di rapimenti su territorio africano, è che il fattore terrorismo è residuale: si tratta prevalentemente di predoni che utilizzano il rapimento per il sostentamento delle proprie tribù e delle proprie organizzazioni. Ci troviamo quindi di fronte a rapimenti con scarsa caratterizzazione ideologico-religiosa ma prevalentemente di veri e propri rapimenti a fini di estorsione, nulla di più.

Quindi il fattore religioso, in particolare la conversione, è secondario? 

Dal mio punto di vista la conversione non avrebbe modificato o condizionato l’esito della vicenda. E questo perché, come detto, è prevalso, in maniera del tutto evidente, l’interesse squisitamente patrimoniale della vicenda rispetto a ulteriori profili di carattere politico, ideologico e religioso. Poi la scelta personale della conversione di Silvia Romano è rispettabile e non ritengo abbia condizionato la gestione del rapimento stesso. Il riscatto era l’unico obiettivo dei rapitori.

La conversione può essere ritenuta una vittoria per la propaganda Al Shabaab?

Evidentemente per chi legge la vicenda anche in chiave ideologico-religiosa questo profilo emerge. Ma, ripeto: sono fra quelli che ritiene assolutamente minoritario questo aspetto a differenza del tema, centrale, dell’interesse patrimoniale.

Molte polemiche hanno accompagnate l’arrivo in Italia di Silvia Romano. “Io, probabilmente, avrei tenuto un atteggiamento da parte delle istituzioni più sobrio, un profilo più basso”, ha dichiarato il leader leghista Matteo Salvini. Come giudica quella che alcuni hanno definito una passerella istituzionale?

Abbiamo già visto altre volte questo tipo di accoglienza. Si tratta di un aspetto istituzionale che non presenta profili di novità e che già in passato aveva generato posizioni su due fronti opposti: chi riteneva opportuno la presenza delle istituzioni e chi no. Quello che è emerso questa volta, a causa della presenza sia del presidente del Consiglio sia del ministro degli Esteri, è stata la cronaca sottesa a quella stessa presenza, con una comunicazione tardiva di Palazzo Chigi, che ha la responsabilità dei servizi segreti, alla Farnesina, dove c’è l’unità di crisi che aveva lavorato per 18 mesi. La presenza di entrambi ha consentito di sottolineare ulteriormente che nella dinamica delle fasi per giungere alla liberazione di Silvia Romano vi era stata questa “difficile” comunicazione da parte del presidente del Consiglio.

Esiste un tema di affidabilità e standard di sicurezza per le organizzazioni della cooperazione che operano in Africa?

Di standard di sicurezza allo stato attuale, non ne esistono. Tant’è vero che esistono due sono i profili adottati dai Paesi rispetto alla gestione dei rapimenti. Uno è il nostro, così come di Francia e Spagna. L’altro è quello di Israele, Regno Unito, Russia e Stati Uniti d’America, Paesi che dichiarano ufficialmente di rifiutare trattative con i rapitori e di agire con dei blitz per liberare gli ostaggi. Tuttavia, nessuno di questi è in grado comunque di impedire rapimenti di loro cittadini. Il tema nello specifico della cooperazione non controllata — dai tempi della vicenda Sgrena in poi abbiamo avuto alcuni episodi simili che hanno interessato nostri cittadini — meriterebbe maggiore attenzione e anche una maggiore disciplina proprio perché purtroppo quei territori sono popolati prevalentemente da predoni prima ancora che da terroristi.

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