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Covid-19, ecco la soft-war fra Usa e Cina a colpi di propaganda

Di Andrea Monti

Il Segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, ha annunciato alla rete televisiva Abc l’esistenza di enormous evidence – prove gigantesche – sulle responsabilità della Cina nella diffusione del Covid-19. Le prove, tuttavia, non ci sono e comunque non vengono mostrate, mentre ai cittadini americani e al mondo si chiede un atto di fiducia o – meglio – di fede in un rapporto che viene annunciato e non mostrato. È difficile non ricordare una situazione analoga, quella del rapporto che contribuì a convincere l’allora primo ministro inglese, Tony Blair, ad entrare in guerra contro l’Iraq, e che si rivelò un plagio di una tesi di laurea. Stesso approccio, stessa richiesta di “apertura di credito” di un governo alla popolazione.

Il punto, però, non è se il dossier Pompeo sia vero, verosimile o falso. Infatti, analisi sul comportamento cinese rispetto al “controllo” delle informazioni sul Covid-19 già circolavano da tempo (una fra tante, quella di The Diplomat, il periodico di geopolitica focalizzato sull’Asia e sull’Estremo Oriente). Se ora ci sono delle conferme alle riflessioni degli esperti, tanto di guadagnato.

Ciò su cui riflettere, invece, è la scelta americana in termini di “PsyOps” (Psychological Operations) cioè sulla tecnica di propaganda nella gestione del conflitto. E che fra Usa e Cina ci sia un conflitto dichiarato, anche se (ancora) a bassa intensità e combattuto via proxy è abbastanza evidente. Come è evidente che l’Italia, con i dossier Belt and Road e 5G-Huawei, è nel bel mezzo di questo conflitto senza avere ancora deciso chiaramente da che parte stare.

In ogni conflitto, come in ogni situazione di emergenza, le decisioni politiche devono guadagnare il supporto della popolazione, altrimenti la loro messa in pratica sarà resa più difficoltosa dalla resistenza interna. Dall’altro lato, la propaganda “nemica” avrà tutto l’interesse ad alimentare il dissenso per generare inerzia.

Nel caso del Covid-19 c’è da chiedersi se chiedere un “atto di fede” ai propri cittadini e al mondo occidentale sia la scelta più adatta, considerati gli effetti delle azioni di whistleblowing di Bradley Manning e Edward Snowden che hanno rivelato progetti segreti di sorveglianza globale. È grazie all’internet e all’anonimato che i “fatti del potere” sono più facilmente conoscibili e il Re dovrebbe avere capito che, sempre più spesso e sempre più facilmente, qualche bambino può dire a tutti che il sovrano è nudo.



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