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Dell’utilità delle tele-udienze. Le opportunità del digitale secondo Puleio

Di Francesco Puleio

Il 44° capitolo di quel grande classico che è “I tre moschettieri” di Alexandre Dumas, passaggio obbligato tra le letture infantili e la grande letteratura per generazioni di ragazzi di tutti i tempi e di tutti i paesi, è significativamente intitolato “Dell’utilità dei tubi da stufa”. Nell’architettura narrativa del romanzo, non è uno dei meno cospicui: l’utilizzo delle condutture di una caldaia marchingegno novissimo, per un’epoca in cui ci si riscaldava – si fa per dire – con bracieri e camini a legna, consente ad Athos ed ai suoi amici di ascoltare non visti, da un’altra stanza, il colloquio tra il Cardinale e Milady ed all’autore di progredire nello sviluppo dell’intreccio, mettendo sapientemente i moschettieri a conoscenza dei diabolici piani di Richelieu per assassinare il duca di Buckingham. Se è consentito il paragone, mi sembra che – come Dumas padre con i tubi da stufa per le difficoltà della trama – il nostro legislatore abbia cercato oggi di superare le contrarietà del momento (dovute all’impossibilità, pena il pericolo di contagi pandemici, di celebrare il processo) attraverso l’uso del video processo telematico, sostituendo la convivenza fisica delle parti nelle aule con la compresenza virtuale da remoto. Si sono così tenute udienze nelle quali giudice e parti non erano fisicamente compresenti, ma messe tra loro in contatto attraverso riprese video, in un’aula di udienza virtuale. Con la emergenza sanitaria, il tele-collegamento diventava una scelta necessitata: solo la sua applicazione poteva assicurare lo svolgimento in sicurezza delle funzioni non procrastinabili della giurisdizione. Si pensi allo scrutinio di validità di un arresto in flagranza, ai processi per direttissima o con detenuti, all’assunzione di prove decisive a rischio dispersione.

Tuttavia, molti magistrati ed avvocati hanno avanzato perplessità su tale modo di procedere, sostenendo che, con l’udienza da remoto, la sacralità del processo e in particolare il diritto di difesa sarebbero mutilati, la prova smaterializzata ed inficiato il giudizio, a causa della distanza che rende impervio svolgere le rispettive funzioni. Taluno è giunto a sostenere che sarebbe snaturato il metodo dialettico, in quanto verrebbe colpito al cuore l’esame diretto, perdendosi quanto soltanto la presenza può fornire. Altri, per converso, si sono chiesti se questa mutazione (necessitata in origine) non potrebbe invece divenire occasione utile di modernizzazione e sviluppo naturale delle forme del processo, trasformando il bisogno in progresso.

Questo quadro merita riflessione perché vede il confronto, come sovente avviene, tra tradizione e modernità, tra abitudine ed innovazione. Cominciamo col dire che il ricorso alla tecnologia, imposto dall’emergenza, ha fornito indicazioni utili anche nella prospettiva di riaprire il cantiere delle riforme. Abbiamo constatato che l’udienza da remoto è talora utile, talora da evitare, sempre di problematica gestione. Certamente risulta attenuata la componente emotiva che caratterizza le attuali forme, ma questo non costituisce per forza un inconveniente: la parola teletrasmessa non possiede minor pregio argomentativo o potere persuasivo di quella pronunciata in presenza; ciò che conta è che non risultino compressi i requisiti fondamentali del processo, che non è sempre uguale, ma un complesso caleidoscopio, un policromo assemblato di forme e fasi.

Riti abbreviati, patteggiamenti, udienze preliminari, archiviazioni ed in genere tutte le occorrenze in cui non sono previste interlocuzioni di testi, possono svolgersi (lo si è visto) da remoto, abbattendo costi e inutili attese, senza nella sostanza erodere alcuna garanzia. Attraverso soluzioni tecnologiche sempre più evolute (sono possibili, sol che vi si voglia investire), devono sempre essere garantite le interlocuzioni riservate tra avvocato e assistito o la produzione tempestiva di documenti importanti ed il diritto di consultarli in modo adeguato.

Vi sono poi atti inconcepibili con l’udienza da remoto, e penso al “riconoscimento di persone o cose” od al “confronto” tra l’imputato e il suo accusatore, per saggiarne l’attendibilità. La conclusione è che il ricorso alla tecnologia va parametrato al tipo di attività da svolgere. È irragionevole rinunciare a priori all’udienza da remoto prendendo ad unica misura la testimonianza in corte d’assise, come fanno i suoi detrattori ad oltranza. La tecnologia va utilizzata per rimettere in asse un sistema che da anni scarica i costi delle sue
lungaggini sui diritti delle persone. L’udienza da remoto è adottata in Inghilterra e negli Stati Uniti, ordinamenti da sempre presi a modello per le garanzie di oralità e immediatezza. In Italia, poi, la teleconferenza si fa da oltre vent’anni, e le leggi speciali che la prevedono sono state validate dalla Corte Costituzionale e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo: sono già previste
forme di tele-collegamento nei processi con boss detenuti, per l’assunzione della testimonianza a distanza di vittime di abusi sessuali, di collaboratori di giustizia, di testimoni vulnerabili e di imputati di certi particolari reati, e per le più svariate ragioni (tutela, sicurezza negli spostamenti, lontananza da aule spesso incandescenti); talvolta, non si può neppure vedere in volto l’interpellato. Insomma, già oggi diritto di difesa e presenza fisica non sono un binomio inscindibile per garantire il contraddittorio; in ogni caso, la partecipazione a distanza può essere revocata dal giudice se l’imputato ne risulti in concreto vulnerato.

L’onestà intellettuale impone di ricordare come troppo spesso il dibattimento sia svilito a luogo di lettura di verbali, trascrizioni e contestazioni. E allora, questi nuovi strumenti digitali minacciano i caratteri fondanti e il sistema di garanzie che devono accompagnare le forme del processo? Può non essere così se, anziché opporci pregiudizialmente alle novità che la tecnologia offre, ci alleniamo a praticarle e ci sforziamo di migliorarle. Il progresso tecnico scientifico non può e non deve lasciarci sordi, la sua presenza è ovunque, occorre governarlo senza entusiasmi salvifici od opposizioni preconcette. Il video processo interferisce sulla tradizione e su come si è sempre fatto, è vero, ma è sempre preferibile alle letture dilaganti dei documenti.

In realtà, le modifiche che con sempre maggiore nettezza si intravedono, rispecchiano cambiamenti più generali del costume e della società. Sin dai tempi del processo a Socrate, l’aula del giudizio è assomigliata ad una ribalta teatrale, medium all’epoca dominante. E il processo ha sempre avuto una struttura eminentemente rappresentativa, nel senso che c’è un palcoscenico, ci sono degli attori e c’è il pubblico, ed in comune con il teatro una funzione catartica. Ma questa struttura, immutata per millenni, è andata in crisi ormai da anni con la nascita ed il prepotere degli altri media rappresentativi, il cinema e la televisione, e si è infranta in tempi recenti con i più moderni media, che hanno determinato un definitivo corto circuito organico, riscrivendo il tempo e lo spazio del processo classico. Le esigenze di distanziamento portate dalla pandemia, che riguardano e devono riguardare anche la vita dei tribunali e le forme del processo penale, devono costituire l’occasione per un progresso vissuto come opportunità se non si vuole subirlo come costrizione.

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