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Terre rare, così gli Usa vogliono spezzare la dipendenza strategica da Pechino

Di Alberto Prina Cerai

In principio il monopolio era americano. L’estrazione e lavorazione dei metalli rari – o i cosiddetti rare earth elements, una serie di 17 elementi del gruppo dei lantanidi, essenziali per la produzione di magneti e altre componenti elettroniche utilizzate nelle tecnologie militari e digitali – è stata per lungo tempo dominata dalla miniera di Mountain Pass (California) fino alla metà degli anni Ottanta, controllata da Molycorp Inc. e responsabile del più del 70% della domanda mondiale.
Ad oggi la situazione si è completamente ribaltata.

Grazie ad un mix di joint ventures, favorite dalle inesistenti regolamentazioni ambientali (estrarre le terre rare, oltre che costoso, è anche molto invasivo per le tecniche di raffinazione) e dai sussidi di Stato elargiti dal Partito Comunista cinese, secondo un rapporto del Congressional Research Service la politica industriale di Pechino ha di fatto sbaragliato la concorrenza americana e così consolidato il controllo strategico su queste risorse: solo nel 2018 la Cina contava il 71% della produzione mondiale. L’Us Geological Survey ha inoltre calcolato che tra il 2014 e il 2017 gli Stati Uniti hanno soddisfatto circa l’80% della loro domanda interna importando terre rare dalla Cina.

LE INIZIATIVE DELL’AMMINISTRAZIONE

Una dipendenza strategica che è ritornata a scuotere gli animi a Washington e ha registrato un forte attivismo da parte di numerose agenzie governative sin dall’insediamento dell’amministrazione Trump. Nel dicembre del 2017, con l’Executive Order 13817, Trump aveva dato mandato al Department of Interior (Doi), in collaborazione con altre agenzie dell’esecutivo, di pubblicare una lista di minerali critici per la sicurezza nazionale. Nel maggio seguente il Doi aveva elencato 35 minerali, tra cui le 17 terre rare e cobalto, manganese, litio e grafite (fondamentali per l’industria dell’automotive).

In seguito, il dipartimento della Difesa, di Stato, del Commercio e dell’Energia in una serie di rapporti hanno contribuito tra il 2019 e il 2020 a rilanciare, in termini di policy, proposte di cruciale importanza: rafforzare la base industriale della Difesa, instaurare un maggior coordinamento con gli alleati per l’estrazione e la produzione dei minerali critici, assicurare una supply chain meno vulnerabile e sostenere R&D in campo tecnico-scientifico l’industria dei metalli rari, in grado così di supportare la sicurezza nazionale americana. E, soprattutto, di svincolarla da pericolose asimmetrie strategiche. Per non fare la fine del topo come il Giappone, quando nel 2010 una disputa sulle isole Senkaku divenne il pretesto per il Pcc di bloccarne l’esportazioni – da cui Tokio dipendeva fortemente per l’industria hi-tech – e così di fare un uso geopolitico delle terre rare.

LA PROPOSTA

Un pericolo che nel contesto della pandemia, con la crescente ostilità geopolitica tra i due colossi, è tornato prepotentemente in auge. “Così come il Partito Comunista Cinese ha minacciato di tagliarci fuori dalle forniture mediche prodotte in Cina, potrebbe fare lo stesso con questi minerali, minacciando in maniera significativa la nostra sicurezza nazionale”, ha commentato il senatore texano, membro dell’influente Senate Foreign Relations Committee, in una dichiarazione riportata da Bloomberg.

La proposta di legge denominata Onshoring Rare Earths Act of 2020 (o Ore Act) si porrebbe l’obbiettivo, se approvata, di agevolare, con incentivi e sgravi fiscali, l’attività delle aziende del settore minerario, di richiedere al Pentagono un piano per mappare il suolo americano e di stabilire finanziamenti per “programmi pilota” nello sviluppo di questi minerali. Un’esigenza che si accoda alle numerose iniziative dei repubblicani per allentare la dipendenza dalla Cina in molti altri settori. Perché, come ha sostenuto lo stesso Ted Cruz in una nota, “la più importante conseguenza a lungo termine di questa pandemia di coronavirus per la sicurezza nazionale e la politica estera sarà una rivalutazione fondamentale delle relazioni degli Stati Uniti con la Cina”. Una riflessione che, in fondo, approfondisce la convinzione che la Cina rappresenti “la più grande minaccia geopolitica di lungo termine degli Stati Uniti sia economicamente che militarmente”.


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