Mettere la Cina sul banco degli imputati e fare ripartire l’America: sono le due priorità, quasi le due ossessioni, del presidente Trump e della sua amministrazione in questo momento. Domenica, c’è stata una raffica di dichiarazioni anti-cinesi sulle tv Usa, mentre il lockdown s’è ormai allentato per una larga maggioranza di cittadini statunitensi.
Domenica, i decessi per coronavirus sono stati 1.450: il totale delle vittime, secondo i dati della Johns Hopkins University, s’avvicina a 68mila e quello dei contagiati a 1.160.000. Trump, che collocava a 70mila il tetto dei decessi – sarà superato tra oggi e domani -, parla adesso di 75/100mila vittime (centomila era il minimo della forchetta fatta a suo tempo da virologi e scienziati). Il presidente afferma che gli Stati Uniti possono riaprire in sicurezza, che ci sarà un vaccino entro l’anno, che l’economia tornerà a crescere di corsa e in fretta.
Ma è la Cina a tenere banco: “L’intelligence mi ha detto che avevo ragione: non ha sollevato il tema del coronavirus fino alla fine di gennaio, poco prima del mio divieto” di viaggio tra Cina e Usa. E “mi hanno parlato del virus in modo non minaccioso”, aveva ieri twittato Trump, sostenendo d’avere salvato “decine di migliaia di vite” con le sue decisioni.
Secondo quanto riferito da un funzionario della sua amministrazione ai media americani, Trump ricevette due briefing dall’intelligence sul coronavirus alla fine di gennaio, otto giorni prima d’imporre le restrizioni ai viaggi da e per la Cina. Nel primo briefing del 23 gennaio, l’intelligence avvertì che il coronavirus si poteva diffondere a livello globale, con effetti letali su molti contagiati. Nel secondo briefing del 28 gennaio, l’intelligence segnalò che il virus si stava ormai diffondendo, anche se le morti restavano concentrate in Cina, e che Pechino non voleva condividere i dati.
Poi ci sono state le dichiarazioni alla Abc del segretario di Stato Mike Pompeo, secondo cui “ci sono numerose prove sul fatto che il coronavirus arrivi dal laboratorio di virologia di Wuhan” – asserzione in contrasto con le evidenze scientifiche che il virus abbia origini naturali – e alla Cnn del consigliere di Trump per le politiche commerciali Peter Navarro, un falco: “La Cina ha nascosto il virus al mondo, la domanda ora è se la Cina vada ritenuta responsabile per la pandemia”.
Infine, il presidente ha risposto a domande dei cittadini sulla Fox dal Lincoln Memorial: “Penso che i cinesi” abbiano fatto un errore, “hanno cercato di nasconderlo ma non ci sono riusciti” e hanno consentito che il virus si diffondesse “nel nostro Paese e in altri Paesi. Xi Jinping è un brava persona ma ciò non sarebbe mai dovuto accadere”. A breve sarà diffuso un rapporto americano sul coronavirus e la Cina.
Il New York Times osserva che la Cina è nel mirino del mondo per la sua “iniziale cattiva gestione” dell’emergenza coronavirus, che ne ha favorito la diffusione. “L’Australia chiede un’inchiesta sull’origine del virus. Germania e Gran Bretagna esitano sull’invitare a casa loro il gigante Huawei. Il presidente Trump scarica la colpa sulla Cina per il contagio e punta a punirla. Molti governi vogliono fare causa a Pechino e chiedere danni”. La battaglia apertasi sembra infliggere un colpo alle ambizioni cinesi di riempire il vuoto di leadership a livello globale lasciato dagli Stati Uniti.
Per il NYT, la Cina risponde alle accuse in modo aggressivo, un mix di aiuti e retorica nazionalista che mescola richieste di gratitudine con minacce economiche. Il risultato alimenta il contraccolpo e la crescente diffidenza verso la Cina in Europa e in Africa e mette a rischio “il desiderio di Pechino di essere vista come un generoso attore sulla scena globale”.
Dietro la riapertura dell’America, invece, c’è un modello econometrico originale della Casa Bianca, secondo il Washington Post che racconta il “dietro le quinte” delle ultime cinque settimane, tra cure improvvisate e fantasiose, forti tensioni e accuse alla Cina. Il modello è opera di Kevin Hassett, l’ex presidente del Consiglio degli advisors economici: prevedeva un numero di morti nettamente inferiore alle stime degli specialisti, che non c’è stato, e un impatto economico devastante, che c’è. Da qui la decisione di Trump di premere sull’acceleratore per fare ripartire l’America, considerato che celebrare la riapertura è decisamente meglio, dal punto di vista mediatico, che gestire una crisi.
Con questo in mente, Trump difende a spada tratta i suoi atteggiamenti nell’emergenza coronavirus e si scontra con i governatori degli Stati più colpiti e meno inclini a riaprire. “È stata una nuova sfida storica – osserva Jared Kushner, il genero consigliere – e quando la storia guarderà indietro dirà chiaramente: il governo ha agito rapidamente e in modo creativo, ha risolto molti problemi e salvato molte vite”.
Fronte primarie democratiche, c’è stato un voto per posta in Kansas e ha vinto, ormai senza rivali, Joe Biden.