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Tutti pazzi per Becoming Michelle. Dalla Casa Bianca a Netflix, andata e ritorno?

Di Sofia Eliodori

La piattaforma di streaming Netflix ha annunciato che mercoledì 6 maggio uscirà un documentario incentrato sulla figura dell’ex first lady americana Michelle Obama, girato durante il tour organizzato per promuovere il libro di memorie pubblicato alla fine del 2018, intitolato Becoming. La biografia, che ha venduto oltre 10 milioni di copie negli Usa, ed è diventata un vero e proprio fenomeno culturale, ha portato l’ex first lady ad organizzare un world tour come una rock star, con presentazioni di libri nei palazzetti dello sport o addirittura negli stadi.

Eppure, si fatica a comprendere se questa popolarità possa trasformarsi in consenso politico, oppure se l’ex first lady possa essere semplicemente impiegata come influencer di lusso per sostenere la campagna elettorale del candidato democratico Joe Biden.

L’ENORME POPOLARITÀ

I sondaggi confermano la sua stellare popolarità negli Usa e nel mondo, rendendola la donna più ammirata d’America nel 2019, mentre il suo indice di gradimento viene stimato intorno al 70%. Cifre da record in un Paese ormai polarizzato da quattro anni di presidenza Trump. Già a partire dal 2016, ancora prima dell’uscita della biografia, iniziò il tam-tam degli ammiratori per spingerla a candidarsi per le elezioni presidenziali del 3 novembre 2020. Ironicamente, poco tempo dopo nei negozietti di gadget a Washington si potevano acquistare t-shirt con scritto Michelle2020, assieme allo slogan che l’allora first lady aveva gridato dal palco della convention democratica che designò Hillary Clinton alla nomination presidenziale: When they go low, we go high. Michelle Obama, in quell’occasione era andata a toccare le corde di una riflessione quasi personale, emotiva, di rifiuto di una retorica politica aggressiva, risvegliando il seme una reazione civile in chi la ascoltava. Riferendosi esplicitamente alla retorica populista dell’allora candidato repubblicano Donald Trump, Michelle Obama sostenne che quando i toni del discorso politico degli avversari si abbassano bisogna evitare di farsi trascinare verso il fondo.

Inoltre, durante quel discorso, la moglie di Barack Obama affermò che gli Stati Uniti erano finalmente pronti per una presidente donna. Poi è arrivata – inaspettata – la presidenza Trump, che ha ribaltato tutto.

EROINA RILUTTANTE?

Quando Joe Biden, ex vicepresidente del marito, e candidato ormai in pectore dei democratici alle elezioni presidenziali di quest’anno, ha dichiarato che avrebbe scelto una donna come sua running mate, i discorsi sul possibile ritorno in pista dell’ex first lady si sono fatti incessanti. Interrogati sul tema, sia Biden sia la moglie Jill hanno espresso entusiasmo all’idea, rendendo esplicito che se Michelle fosse disponibile a candidarsi non avrebbe di fatto rivali.

Ma c’è un ma: Michelle Obama ha dichiarato un numero infinito di volte che non solo pensa di poter svolgere un ruolo più utile al Paese fuori dalla prima linea politica, ma anche che non è assolutamente intenzionata a candidarsi. Si configura così l’archetipo narrativo dell’eroe riluttante, sospeso tra le ragioni del cuore e la ragion di Stato. Tale narrazione risulterebbe utile, inoltre, nell’azzerare uno degli elementi che il pubblico ancora oggi raramente perdona alle donne: l’ambizione. La costruzione narrativa è talmente perfetta che quasi profuma di comunicazione strategica – ci sarebbe da sospettare –, se non fosse che lo stesso Barack Obama ha iperbolicamente dichiarato che “esistono tre cose certe nella vita: la morte, le tasse e che Michelle non correrà come Presidente”.

IL NODO DELLE COMPETENZE

Nell’eventualità che prevalgano le ragioni dello stato, molti osservatori si chiedono se l’ex first lady abbia da un lato veramente le conoscenze e le capacità per diventare vicepresidente e forse anche la prima donna presidente negli States – considerata l’età avanzata di Biden -, e dall’altro se effettivamente la sua figura sia quella giusta per attrarre il voto nelle aree del Paese dove il Partito democratico è più in difficoltà, ad esempio nel Mid-West e in Florida. Michelle Obama, nata da una modesta famiglia nella periferia di Chicago, effettivamente non ha mai ricoperto cariche pubbliche o si è mai candidata.

Eppure, tutta la sua vita sembra un simbolo di come si possa fare politica a tutti i livelli senza essere politici di professione; dall’impegno nelle comunità, al sostegno alle possibilità di carriera dei giovani di aree disagiate, per arrivare alle iniziative legislative sulla salute pubblica durante la presidenza del marito e infine alle campagne per la registrazione al voto degli ultimi anni. Questa tipologia di esperienze è però di molto inferiore a quella di altre colleghe, una su tutte Hillary Clinton, la cui campagna elettorale verteva proprio sull’eccezionale competenza. Solo se questa suggestione obamiana prenderà forma ci sarà da chiedersi se conta più la preparazione o la popolarità, sebbene l’elezione stessa del presidente Donald Trump suggerisca una qualche risposta.

Certamente, Michelle Obama ha le doti per galvanizzare un elettorato stanco di quattro anni di presidenza Trump ed estremamente preoccupato per il futuro del Paese dopo questa pandemia, e l’entusiasmo che si è creato attorno al lancio del documentario su Netflix ne rilancia le potenzialità.

 

Articolo pubblicato su Affari Internazionali

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