Dopo il plauso del comandante Chen Daoxiang, capo della guarnigione di Hong Kong dell’Esercito di liberazione popolare (cioè le forze armate cinesi), la Cina incassa anche il via libera della Russia sulla nuova legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong, all’esame finale dell’Assemblea nazionale del popolo a Pechino. “I problemi gonfiati in questi giorni su Hong Kong sono un affare interno della Repubblica popolare cinese”, ha dichiarato il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, in conferenza stampa. “Non penso che i tentativi degli Stati Uniti di creare uno scandalo su questa questione aggiungano affidabilità al dialogo con gli Usa anche su altri temi”, ha aggiunto il capo della diplomazia di Mosca.
Nel mondo occidentale però cresce la preoccupazione per una decisione che il New York Times paragona all’annessione russa della Crimea. Il motto “un Paese due sistemi” sotto cui l’ex colonia britannica è stata riconsegnata alla Cina nel 1997 è minacciato. “A preoccupare è soprattutto l’evidente erosione dell’autonomia che ha permesso al Porto Profumato di diventare un centro finanziario internazionale”, scrive Alessandra Colarizi su china-files.com. “A partire dall’indipendenza del suo sistema giudiziario”, aggiunge.
Chi guarda con preoccupazione e più da vicino le ultime decisioni cinesi su Hong Kong è Taiwan. La presidente indipendentista di Taiwan, Tsai Ing-wen, che ha inaugurato il suo secondo mandato soltanto la scorsa settimana, è stata tra i primi leader internazionali a puntare pubblicamente l’indice contro l’iniziativa del governo cinese. Taipei, come riporta l’Agenzia Nova, ha sfidato apertamente il governo cinese, offrendo asilo agli attivisti di Hong Kong che rischiano l’arresto dopo oltre un anno di contestazioni e cortei anti-governativi. Sin dall’inizio del 2019 Taiwan ha accolto gli attivisti di Hong Kong in fuga dalla regione speciale; tale linea presenta però un dilemma per Taipei, poiché costituisce l’implicita ammissione della progressiva erosione delle libertà civili e dei capisaldi democratici fondamentali nella vicina ex colonia britannica. “I proiettili e la repressione non sono il modo corretto di gestire le aspirazioni del popolo di Hong Kong per la libertà e la democrazia”, ha scritto Tsai sul proprio profilo Facebook domenica scorsa.
Ma per chi si preoccupa (o “ficca il naso”, direbbero a Pechino) per Hong Kong, come Taiwan, è pronta la risposta del Partito comunista cinese. Oggi, infatti, Tsai Pei-wei, deputato dell’Assemblea nazionale del popolo, ha spiegato al Global Times che la legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong può suggerire una soluzione futura alla questione di Taiwan: “Con l’esempio della legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong, il governo centrale potrebbe approfondire ulteriormente, perfezionare e persino fare leggi correlate che promuovono la riunificazione con Taiwan reprimendo legalmente le forze dell’indipendenza”, ha dichiarato.
Se gli Stati Uniti giocando di sponda con Taiwan, l’Unione europea sembra volerlo fare con il Giappone. E così oggi, dopo aver partecipato a una videoconferenza con il primo ministro giapponese Shinzo Abe, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha invitato la Cina a rispettare l’autonomia di Hong Kong: “Europa e Giappone condividono le stesse idee sulla Cina. Non siamo ingenui sul comportamento cinese”, ha detto ribadendo che l’Unione europea sostiene il principio “un Paese, due sistemi” che garantisce l’autonomia di Hong Kong.
Ma giovedì Pechino deciderà sulla nuova misura che potrebbe entrare in vigore lo stesso giorno. Quello successivo, invece, è previsto che i ministri degli Esteri dell’Unione europea discutano la questione. Un portavoce della Commissione europea ha spiegato che è troppo presto per dire se l’Unione prenderà in considerazione sanzioni contro Pechino. Mentre Josep Borrell, capo della politica estera dell’Ue, ha dichiarato ieri che l’Unione europea ha bisogno di una “strategia più solida” nei confronti della Cina. Il problema è che di tempo ce n’è sempre meno.