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L’Ue minimizza le mire di Cina e Russia sull’Artico. Ecco perché è un errore

Il presidente statunitense Donald Trump sogna di comprare la Groenlandia. La Russia sta rafforzando la propria presenza militare nell’Artico. La Cina sviluppa (anche lì) le sue ambizioni economiche. Ma secondo il nuovo capo della politica artica dell’Unione europea, Michael Mann, la più grande minaccia che viene da quella regione — che secondo molti analisti è la nuova frontiera dei conflitti internazionali — è il cambiamento climatico. Come riporta Politico Europe, Mann, ex ambasciatore dell’Ue in Islanda, ha voluto minimizzare “l’idea di una tensione in aumento” nell’area. “È un periodo di grande successo per la cooperazione nell’Artico”, ha aggiunto. 

A Washington (e pure a Mosca e Pechino) non la pensano così. A fine aprile un alto funzionario del dipartimento di Stato Usa in un briefing ha parlato di “ritorno della geopolitica” nell’Artico e ha avvertito degli sforzi del Cremlino e della Repubblica popolare cinese per “programmi che si scontrano con gli interessi degli Stati Uniti e dei nostri alleati e partner”. Tra cui anche l’Unione europea. Ma Mann non sembra essere della stessa idea, visto che nell’intervista cita la politica Northen Dimension, che unisce Ue, Russia, Norvegia e Islanda. Ma che è datata 1999 ed è stata rinnovata 14 anni fa. 

Da allora molto è cambiato. Per esempio, neppure un anno fa il presidente statunitense Donald Trump lanciò quella che molti avevano preso come una delle sue tante provocazioni: comprare la Groenlandia, l’isola più grande al mondo (dieci volte la Gran Bretagna) ma abitata da appena 60.000 persone. Il mondo liberal si divise: da una parte chi lo sfotteva, dall’altra chi lo prendeva per matto. 

In realtà, quell’offerta alla Danimarca nascondeva due elementi. Il primo riguarda l’eredità politica: con il piano per la Groenlandia, Trump lascerebbe agli Stati Uniti un’eredità pari all’acquisto nel 1867 dalla Russia dell’Alaska, diventata poi nel 1959, sotto Dwight Eisenhower, il quarantanovesimo Stato della federazione. Senza dimenticare che Washington e Copenaghen strinsero un accordo simile nel 1917, quando Woodrow Wilson acquistò le Indie occidentali danesi, dal 1752 colonie danesi, per 25 milioni di dollari, rinominandole Isole vergini degli Stati Uniti. 

Il secondo elemento è geopolitico. Lo scioglimento dei ghiacci e i progressi tecnologici stanno facendo dell’Artico, che possiede il 30% delle riserve naturali globali e il 40% delle riserve mondiali di petrolio e gas, una frontiera aperta, diventata un teatro del confronto tra potenze. Basti pensare che, visto che il ghiaccio non ostacola più le rotte polari, nell’agosto 2019, il colosso danese Maersk Line, la più grande compagnia mondiale del trasporto marittimo, ha lanciato il primo supercargo portacontainer su una rotta artica nel Nord della Russia: una valida, quanto innovativa, alternativa al Canale di Suez con distanze dimezzate.

Risorse naturali (in particolare ferro, gas e petrolio ma anche uranio, zinco, oro, rame, diamanti, titanio, piombo e l’ambitissimo minerale criolite) e geopolitica delle rotte artiche gli elementi alla base della battaglia per l’Artico. L’analista Dario Fabbri, nel primo volume del 2019 della rivista di geopolitica Limes intitolato “La febbre dell’Artico”, descriveva la Groenlandia come la piattaforma dalla quale si possono controllare eventuali attacchi balistici lungo il circolo polare, anticipare i movimenti marittimi nel Grande Nord e studiare i cambiamenti climatici. Lo scontro è già in atto, annotava: “Gli americani si limitano a gestire la settentrionale base (militare, ndr) di Thule, i cinesi provano senza successo a tradurre la loro presenza economica in rendita strategica, mentre i russi mancano delle necessarie capacità marittime per sostanziare le loro velleitarie mire”.

Trump sa di poter contare sull’atteggiamento filoccidentale e pro Nato della popolazione groenlandese. E l’apertura, che Limes definiva “indiscriminata”, alle grandi multinazionali rischia di generare in Groenlandia “una maggiore richiesta di protezione agli Stati Uniti”.

Viene da chiedersi: l’Unione europea da che parte vuole stare?

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