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Così i Marines cambiano. Per fronteggiare la minaccia cinese

Una forza agile, snella, capace di rapidi dispiegamenti in un’area grande quanto il Pacifico e dotata di tecnologie all’avanguardia, tra droni e missili di precisione a lungo raggio. È così che diventerà il Corpo dei Marines degli Stati Uniti entro il 2030, una trasformazione “radicale”, tutta pensata per fronteggiare l’assertività del Dragone d’Oriente e affidata al generale David H. Berger, comandante di una forza che è sempre riuscita a evolvere nella storia americana, da fanteria di marina a corpo rappresentativo dell’efficacia militare degli Stati Uniti.

L’INPUT DI BERGER

Berger ha assunto l’incarico lo scorso luglio, spiegando da subito di voler adattare il Corpo dei Marines agli obiettivi della National defense strategy (Nds). Rilasciata dal Pentagono a gennaio 2018, essa è tutta focalizzata sulla modernizzazione dello strumento militare nell’ottica della competizione con la Cina. A fine marzo, il generale ha presentato il “Force design 2030”, un report di base su cui costruire la trasformazione dei Marines. Originario del Maryland, con alle spalle una lunga carriera operativa, Berger è approdato al vertice del Corpo dopo un anno alla guida del Combat development command di Quantico, in Virginia, lì dove vengono elaborati i vari piani di sviluppo capacitivo per la Forza armata. Il suo piano ha dunque origini profonde, ben supportate tanto dal capo del Pentagono Mark Esper, quanto dal presidente Donald Trump, entrambi convinti della riorganizzazione della Difesa in funzione anti-cinese.

L’EFFICIENTAMENTO DELLA FORZA

Per il Corpo dei Marines, come evidenzia il “Force design 2030”, non sarà una trasformazione indolore. L’obiettivo è infatti organizzare una forza capace di operare con efficacia nell’area del Pacifico, una sorta di forza di spedizione navale rapida con compiti precisi, ben più limitati di quelli attuali. “Sono giunto alla conclusione che è necessario contrarre le dimensioni del Corpo dei Marines per ottenere qualità”, ha detto lo stesso generale Berger. “Per reinventarsi come forza di spedizione navale entro limiti di budget – nota il Wall Street Journal – i Marines hanno in programma di sbarazzarsi di tutti i loro carri armati, di ridurre i loro aerei e di contrarsi nel complesso da 189mila unità a un minimo di 170mila”.

UNA FORZA NAVALE “TARGETED”…

Piani rilevanti confermati su USNI News da un portavoce della forza armata Joshua Benson: “Il Corpo dei Marines non è ottimizzato per rispettare le richieste della National defense strategy”. Per questo, si legge nel documento di 15 pagine, entro il 2030 chiuderanno i battenti i battaglioni di law enforcement e quelli terrestri tank. I battaglioni di fanteria saranno ridotti da 24 a 21, le batterie di artiglieria pesante da 21 a 5, mentre le compagnie di veicoli anfibi da sei a quattro. I risparmi dei tagli saranno reinvestiti per capacità necessarie al confronto con la Cina. “Il Corpo dei Marines – ha detto Benson – farà investimenti in capacità per includere missili di precisione a lungo raggio, capacità di ricognizione avanzate, sistemi senza pilota e reti resilienti; le future richieste di budget includeranno un elenco ampliato di capacità non presidiate praticabili che creerebbero opportunità significative per le industrie in tutto il Paese”.

…E TECNOLOGICA

Si punterà dunque su forze rapide e leggere, mentre scompariranno i carri armati e le specialità di contro-insorgenza. Gli scenari immaginati sono quelli di confronti sui litorali del Pacifico occidentale, in acque contese e già fortemente militarizzate. Ci si affiderebbe ampiamente a droni, aerei e navali, nonché a sistemi anti-nave e munizionamenti di precisione, utili per sostenere l’azione delle unità leggere in campagne marittime. Il piano di Berger ha incassato pareri contrastanti dalla comunità di esperti americani.

I DUBBI DI CANCIAN…

“Cambiamenti radicali portano sempre rischi”, ha spiegato Mark Cancian, senior adviser dell’autorevole Center for strategic and international studies (Csis). In questo caso, ha aggiunto, “i rischi derivano dalla mancanza di copertura (perché spesso i Marines hanno supportato lo US Army lì dove non riusciva a coprire per intero le esigenze operative, ndr), dallo scostamento dalle operazioni attuali e dall’incerta fattibilità dei nuovi concetti operativi; se il Corpo dei Marines avesse sbagliato a prevedere gli scenari futuri, combatterà il prossimo conflitto con grande svantaggio o, forse, sarà irrilevante”.

…E QUELLI DI GOURÉ

Per Dan Gouré, vice presidente del Lexington Institute, il dubbio sul piano è relativo alla possibilità di dispiegamento di forze di questo tipo: “Oggi ci sono pochi posti nel Pacifico occidentale dove una tale forza può essere dispiegata in tempo di pace; anche se fosse possibile convincere i nostri alleati asiatici a consentire al Corpo dei Marines di cospargere la zona di unità armate di assetti a lungo raggio, queste sarebbero i primi bersagli della prima ondata di armi di precisione cinesi in caso di confronto”.


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