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Usa2020, un Trump da guerra contro il competente Biden. L’analisi di Costello

L’impatto del coronavirus sul voto presidenziale, la sfida tra Donald Trump e Joe Biden sulla risposta economica alla pandemia, il futuro dei rapporti euroatlantici. Che direzione prenderanno gli Stati Uniti a novembre? Formiche.net ne ha discusso con Patrick C. Costello, director of Washington External Affairs presso il Council on Foreign Relations in Washington.

Che impatto avrà il coronavirus sulla campagna del presidente Donald Trump?

La pandemia di coronavirus domina ogni aspetto della vita americana e influenzerà non soltanto la narrazione della campagna 2020, ma anche i meccanismi della stessa. Queste elezioni saranno in gran parte dominate dalla gestione di questa crisi da parte del presidente Trump. Il suo messaggio si è evoluto: si vede come un “presidente di guerra” e sta inquadrando la questione come una guerra contro un virus scatenato da una potenza straniera. I suoi tweet e le azioni della sua amministrazione lo confermano. Trump sta scaricando le colpe su altri soggetti: dai governatori i cui Stati non erano porti alla copertura mediatica unfair, dal fallimento dell’Organizzazione mondiale della sanità a un insabbiamento cinese.

Come cambia il suo modo di raccontarsi?

Il presidente non può più tenere le grandi manifestazioni politiche a cui è tanto affezionato. Sono state in gran parte sostituite dalle conferenze stampa quasi quotidiane della task force sul coronavirus nella sala riunioni della Casa Bianca. Il presidente è in televisione ogni giorno e questo rafforza il suo bully pulpit.

E come impatterà, invece, sulla campagna del vicepresidente Joe Biden?

Il vicepresidente Biden è piuttosto bloccato in questa fase – come detto in precedenza, il bully pulpit di Trump è amplificato. Non può competere con l’accesso di Trump ai media e può impegnarsi con la stampa soltanto dallo studio realizzato nella sua casa nel Delaware. Questa non è la campagna che Biden aveva pianificato. Inizialmente si è presentato come candidato della restaurazione, ora il suo punto è la competenza: Biden vuole essere visto come una scelta di affidabilità e stabilità in un momento di crisi. Lo farà elencando bugie, errori e passi falsi della risposta alla pandemia di Trump, dicendo che “la maggior parte dei casi di coronavirus, dei costi e dei morti subiti dell’America sono figli del fallimento della leadership di Trump”. Biden e i democratici devono camminare su una linea sottile. Nel criticare la risposta di Trump, devono trovare il modo di mettere il bene pubblico davanti alla politica durante una crisi nazionale. Biden dovrà anche resistere alla tentazione di competere con Trump per l’attenzione del circo mediatico.

L’esperienza sarà un fattore per lui?

Aspettatevi che si presenti come l’alternativa migliore, che può rendere l’America più sicura e riparare al disastro economico di Trump. La sua campagna insisterà sul suo ruolo di supervisione della distribuzione dei recovery fund dopo la crisi finanziaria del 2008-2009. Ciò consente al campo di Biden di dire: il nostro candidato ha anche gestito una crisi finanziaria ed ecco come ha fatto portando al “mercato toro” più lungo della storia. Vedremo anche presidente Barack Obama sempre più attivo. Durante le primarie è stato in disparte, ora che Biden ha ottenuto di fatto la nomination vorrà aiutare il suo vice presidente. Il video di endorsement di Obama è da sottolineare: anche lui ha presentato le elezioni come una sfida sulla competenza.

Come si declineranno i temi dell’economia e della pandemia in questa campagna presidenziale?

Al momento, la pandemia domina la situazione con sempre più attenzioni a temi come i test, l’accesso ai dispositivi di protezione individuale, la ricerca del vaccino, i tempi e la natura delle riaperture graduali e l’evoluzione dell’epicentro della crisi dalle città alle aree più rurali. Detto questo, è ampiamente riconosciuto che l’America viaggia verso una recessione e che ci saranno le domande scontate sul tempo e sulla gravità della situazione. Pertanto, si può vedere la campagna in due fasi: un’acuta crisi di salute pubblica con pesante conseguenze economiche, in cui l’attenzione sarà focalizzata sulla risposta alla pandemia stessa; seguita da una crisi economica con la continuazione delle conseguenze per la salute pubblica, in cui l’attenzione si concentrerà sulla contrazione economica e sulle forme della ripresa. Tuttavia, se ci sarà una seconda o una terza ondata di contagi in autunno, come temono alcuni esperti, il dibattito tornerà sulla preparazione (o meno) davanti alla pandemia.

Parliamo di politica estera. La Cina e le istituzioni del multilateralismo domineranno il confronto?

Anche prima dello scoppio della pandemia, le relazioni con la Cina erano complicate. Trump continuerà a usare la Cina come una carta politica durante tutta la sua campagna e darà la colpa a Pechino per la pandemia, nel tentativo di distrarre dalle carenze della propria amministrazione. Ha anche incolpato l’Organizzazione mondiale della sanità, minando in tal modo il multilateralismo e trattando questa istituzione come capro espiatorio durante un periodo di crisi. Le critiche dell’amministrazione alle istituzioni internazionali non sono nuove e alti funzionari, tra cui il presidente e il segretario di Stato Mike Pompeo, hanno esaltato le virtù del nazionalismo e criticato le istituzioni che vanno dalle Nazioni Unite all’Organizzazione mondiale del commercio e all’Unione europea. Pompeo, in un discorso intitolato “Ripristino del ruolo dello Stato nazionale nell’ordine internazionale liberale”, pronunciato a Bruxelles nel dicembre del 2018, è arrivato al punto di affermare che gli “organismi internazionali” che limitano la sovranità “devono essere riformati o eliminati”.

Sulla sponda democratica, invece, che succede?

Anche il vicepresidente Biden riconosce la speciale sfida che la Cina rappresenta. In risposta a un sondaggio di alcuni mesi prima della pandemia di coronavirus, Biden aveva dichiarato: “Gli Stati Uniti dovrebbero respingere il crescente autoritarismo della Cina, anche se dovremmo cooperare su questioni in cui gli interessi sono allineati”. Quanto all’attuale emergenza sanitaria, Biden e i suoi hanno attaccato Trump accusandolo di non essere stato abbastanza incisivo nel chiedere trasparenza ai leader cinesi all’inizio del contagio. L’amministrazione Trump ha invece puntato il dito contro Biden per i suoi commenti positivi sulla Cina nel corso degli anni. Aspettatevi che questo sia un punto di attrito costante.

E quanto al multilateralismo, invece, Biden come si posizione?

In un saggio pubblicato su Foreign Affairs ha esposto la sua visione di politica estera, rilevando il ruolo svolto dagli Stati Uniti nello “scrivere le regole, forgiare gli accordi e animare le istituzioni che guidano i rapporti tra le nazioni”. Biden si presenta come un credente nella leadership globale degli Stati Uniti e nel potere delle nazioni che lavorano insieme per promuovere valori e interessi condivisi. Cercherebbe di ricostruire molte delle istituzioni sotto attacco da parte del presidente Trump.

L’approccio del presidente Trump all’Europa e all’Unione europea potrebbe cambiare durante il suo secondo mandato?

Non vedo un approccio molto diverso da quello attuale. Ci sarebbero continui attriti su questioni che vanno dal commercio alla spesa per la difesa. La postura generale sarebbe basata su relazioni transazionali e limitate. Ci sarebbe anche una continua divergenza sulla concorrenza tecnologica e l’Europa verrebbe presa nel mezzo della competizione tra Stati Uniti e Cina, con l’aggressiva campagna di quest’ultima per fornire le nuove reti di telefonia mobile 5G al continente. Questo tema unisce la concorrenza commerciale e le preoccupazioni di sicurezza nazionale. Anche le sanzioni sarebbero una questione interessante da tenere d’occhio: ci sono punti di tensione relativi alle sanzioni contro l’Iran, la Russia e la Turchia, ma perfino divisioni tra la Casa Bianca e il Congresso in materia.

Mettiamo caso che vinca Biden. Quali sarebbero le eredità più pesanti e più difficili lasciategli da Trump?

L’effetto che Trump (con un importante contributo del leader della maggioranza al Senato, Mitch McConnell) ha avuto sui tribunali giudiziari federali. Al 24 aprile 2020 il Senato aveva confermato 193 giudici nominati dal presidente, tra cui due giudici della Corte suprema, 51 di Corte d’appello, 138 delle Corti distrettuali. Queste nomine giudiziarie sono a vita e i potere di controllo giurisdizionale dei tribunali ha una profonda influenza sulle politiche pubbliche.

E in campo economico?

Annullare il taglio delle tasse del 2017 richiederebbe un nuovo atto del Congresso. Quei tagli, uniti alla vertiginosa spesa federale dell’amministrazione Trump e ai pacchetti per il rilancio post coronavirus, hanno portato il deficit di bilancio a quasi 4 trilioni di dollari. Se un’amministrazione Biden dovesse avere anche la maggioranza in entrambi rami del Congresso, potremmo assieme una massiccia riforma fiscale, con una retromarcia su molti dei tagli previsti dal Tax Cuts and Jobs Act del 2017. Le entrate derivanti dall’aumento delle tasse su individui e società servirebbero da “pagamento per” un’estensione dei programmi di assistenza sociale e altre priorità di Biden.

E quanto, invece, alle politiche sanitarie per il coronavirus?

La pandemia sarà il tema che getta l’ombra più lunga sulla presidenza di Trump e sarà il fattore determinante per la sua rielezione. L’intera portata degli sforzi post Covid-19 per stabilizzare, recuperare e riformare non sarà nota per diversi mesi. Alcuni esperti di politiche sanitarie prevedono che, quando il virus arretrerà, Trump avrà raggiunto nuovi livelli storici di spesa sanitaria federale. L’amministrazione sta pompando centinaia di miliardi di dollari nel settore sanitario e la crisi ha messo da parte gli obiettivi sanitari originali dell’amministrazione, abrogando l’Affordable Care Act (Obama Care) e riducendo la rete di sicurezza della nazione. Siamo davanti a una situazione in cui un decennio di ortodossia repubblicana sulla politica sanitaria è stata superata dalla risposta a una crisi in rapido sviluppo. Questo potrebbe non essere tra i retaggi dell’amministrazione Trump che Biden vorrebbe cancellare. Tuttavia, l’ondata di spese federali ha scoraggiato i conservatori che potrebbero sentirsi in difficoltà a chiedere la restituzione dei finanziamenti a crisi finita.

Ultimo tema dell’eredità: la politica estera.

L’amministrazione Trump non è riuscita a guidare una risposta globale alla pandemia di Covid-19, diversamente da quanto accaduto in passato di fronte a sfide che non rispettano i confini. Se presidente, Biden deve ripristinare la credibilità americana e riaffermare la volontà americana di guidare il mondo. La fiducia, una volta delusa è difficile da riconquistare, e richiederà uno sforzo attento, calibrato e sincero per riconquistare certi alleati alienati.

Questo vale anche per il rapporto euroatlantico? Come potrebbe cambiare sotto Biden?

Le relazioni potrebbero essere ridisegnate attraverso un maggiore allineamento politico, nonché attraverso una visione condivisa sulle sfide di reciproco interesse e sull’importanza duratura della Nato. Ci alcune aree in cui le relazioni potrebbero cambiare, ma non è un elenco esaustivo. Iniziamo da cambiamenti climatici e politica energetica, Biden si è impegnato a tornare all’accordo sul clima di Parigi e il suo piano per il clima, pubblicato a giugno 2019, impegnerebbe gli Stati Uniti a diventare entro il 2050 un’economia a impatto zero. Prevede 1,7 trilioni di dollari di spese pubbliche dirette per l’energia pulita, nonché una nuova tassa sulle emissioni di carbonio. Questa agenda è ampiamente nella scia del Green Deal europeo.

Quali sono gli altri temi?

La tecnologia. Biden ha dichiarato che collaborerà con gli alleati per sviluppare reti 5G e altre tecnologie avanzate per garantire che rimangano al sicuro dalle intrusioni da parte di avversari degli Stati Uniti. Approfondire le relazioni euroatlantiche su questa questione avrebbe sicuramente senso, visti gli aggressivi sforzi cinesi per costruire la rete 5G nel continente. Il vicepresidente Biden è copresidente della Transatlantic Commission on Election Integrity, un gruppo di politici che lavora per garantire la sicurezza dei sistemi e dei processi elettorali e per combattere la minaccia di hacking elettorale, soprattutto da parte della Russia. Questa sarebbe una differenza rispetto all’amministrazione Trump.

E quanto alla Nato?

L’ex vicepresidente è un convinto sostenitore della Nato, che definisce “la più importante alleanza militare nella storia del mondo”. Biden ha anche affermato di voler convocare un “Summit per la democrazia” con i Paesi democratici all’inizio della sua amministrazione per discutere di lotta alla corruzione, contrasto ai regimi autoritari e promozione dei diritti umani. Si tratta di un ulteriore allineamento ideologico a molte capitali in Europa. Infine, Biden eliminerebbe anche molte delle politiche restrittive sull’immigrazione dell’era Trump, permettendo così un maggiore flusso di persone attraverso l’Atlantico.

Tutte le dichiarazioni e le opinioni sono di esclusiva responsabilità dell’intervistato. Il Council on Foreign Relations non assume posizioni istituzionali su questioni politiche e non ha alcuna affiliazione con il governo degli Stati Uniti.

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