Il 22 marzo, nella Grande Sala del Popolo, stipata da 5000 delegati, sono iniziate le “Due Sessioni” o, come le chiamano in Cina, le Lianghui. Si tratta della grande riunione annuale della Conferenza consultiva politica del popolo cinese (conosciuta internazionalmente con l’acronimo inglese CPPCC) e il Congresso nazionale del popolo (NPC).
La Lianghui non è il corrispettivo cinese delle sessioni del Congresso Usa o della Dieta giapponese oppure di un Parlamento europeo. Il “parlamento” cinese ha un potere decisionale molto più limitato degli altri consessi legislativi. Il potere vero è e resta nelle mani del Partito comunista cinese (Pcc) di cui le Lianghui approvano, tra acclamazioni, applausi e canti, le decisioni. I periodici congressi del partito e gli organismi dello stesso – il Comitato centrale, il Politburo e il Comitato permanente del Politburo – hanno sicuramente una diversa centralità nel processo decisionale. Tuttavia, le Due Sessioni sono un’occasione importante per comprendere gli orientamenti e le politiche che Pechino intende mettere in campo. Xi Jinping le ha scelte per enunciare quello che potremo chiamare il suo “Vangelo”.
Solitamente le Lianghui si riuniscono a marzo. Ma quest’anno a marzo la Cina era in buona parte in lockdown per la crisi pandemica iniziata a Wuhan. Mettere circa cinquemila persone, spesso con un’età avanzata, tutte assieme nello stesso posto avrebbe rappresentato una ghiotta opportunità per il coronavirus. L’appuntamento è slittato anche per dimostrare al mondo e allo stesso popolo cinese che la crisi è superata con successo, comunque l’appuntamento si è tenuto. La fotografia dei principali esponenti del partito – a partire dal presidente Xi Jinping e dal primo ministro Li Keqiang – solidi a faccia nuda davanti ai delegati in mascherina, vuole rappresentare una dimostrazione di forza.
Il “Vangelo” del 67nne Xi (certo di restare saldo in sella per un altro mandato quinquennale, che potrebbe essere trasformato in un incarico a vita) è apparentemente rivolto al resto del mondo ma in effetti ha l’obiettivo di affermare la propria statura, e la propria forza, all’interno della Cina ed intimorire che volesse mettere in atto una delle quelle congiure di palazzo che da un millennio caratterizzano i cambiamenti di guida e di indirizzo all’interno della Città Proibita.
Astutamente, Xi ha fatto precedere il suo intervento alla Lianghui da un discorso alla maggiore università di Pechino diretto a conquistare i giovani. Come già scritto su questa testata, coloro nati dopo il 1990, sono una fascia di popolazione difficile: sopportano male la gerontocrazia nelle vere stanze dei bottoni e per la prima volta alle prese con una crisi economica temono di avere un futuro incerto.
Il “Vangelo” di Xi ha punto centrale: la centralità del comunismo come declinato in Cina nell’economia mondiale e la sua superiorità rispetto a varie forme di democrazia quali articolatesi nel resto del mondo. La prova fornita a questo duplice teorema è l’efficienza e l’efficacia dimostrata dal sistema cinese messo alla prova del virus. Sorvolando di dire dove il virus è nato e come si è tentato di insabbiarne le notizie, Xi si è soffermato sulla abilità in cui in Cina si riusciti a debellarlo ed ad avere poche vittime ed ho sciorinato dati sui deceduti e sui contagiati nel resto del mondo. Il tutto è stato colorito ed enfatizzato da patriottismo: i cinesi – come me sentì dire nell’agosto del 1970 a Singapore (il 90% della cui popolazione è cinese ma vive ed opera in un capitalismo sfrenato ed in un sistema democrazia limitata) – sono un’etnia superiore, sempre all’avanguardia. In termini di tecnologia – dicono i loro libri di scuola – lo erano già ai tempi di Padre Matteo Ricci e di Marco Polo.
Questa esaltazione del primato della Cina coincide implicitamente con l’esaltazione del leader che ha portato il Paese a questi livelli e rappresenta un avvertimento a chi, all’interno, avesse intenzione di contrapporglisi. Ha anche lanciato due minacciosi avvertimenti: a) la legge sulla sicurezza nazionale per Hong Kong con cui in violazione dei trattati internazionali si prepara uno “Stato di polizia” nella penisola; e) la riunificazione con la provincia di Taiwan (stralciando l’aggettivo “pacifica” sempre presente in dichiarazioni analoghe).
Pochi in Italia conoscono la biografia di Xi. Suo padre è stato uno dei capi della lunga marcia ma successivamente entrò in collisione con Mao (per un problema di poltrone) e finì in un campo di lavoro. Il piccolo Xi crebbe con la madre e soprattutto con la consapevolezza che il Partito comunista cinese (Pcc) poteva dare e togliere tutto. Diventato “d’acciaio” denunciò, ai tempi della “rivoluzione culturale”, la propria madre come “controrivoluzionaria”, che venne inviata in esilio, lontana da Pechino, per diversi anni. Un passo essenziale per iniziare una carriera, fatta di alleanze e contro alleanze all’interno del Pcc, ed arrivarne al vertice. La sua abilità a muoversi all’interno del Pcc, dove ha alleati (sempre temporanei) ma non amici, è pure il suo limite. Chi lo conosce, afferma che Xi vede il resto del mondo come un grande Pcc basato su cinici accordi di potere e di carriera e che poca consapevolezza delle dissidenze interne, anche perché i suoi subordinati gliele celano – dato che come tutti i leader autoritari apprezza solo chi gli porta buone notizie.
Il suo Vangelo è un patriottico messaggio di ottimismo. Dove non dice però che i decadenti Usa e la decadente Europa hanno redditi disponibile pro capite che sono rispettivamente dieci ed otto volte quello della Cina. Nonostante il G5 di Huawei.
In questa nuova “guerra fredda”, oggetto di un saggio di Federico Rampini, l’Italia deve decidere da che parte stare.