Una “parte consistente” degli elettori progressisti di Bernie Sanders “al momento non è per nulla entusiasta” all’idea di votare Joe Biden il 3 novembre, l’Election Day negli Stati Uniti. Lo sostiene Jeff Weaver, uno dei principali consiglieri del senatore del Vermont leader della sinistra democratica che per la seconda volta ha visto sfumare la possibilità di mandare un proprio candidato alla sfida per la Casa Bianca nonostante il suo cresciuto peso in seno al partito.
In un memo di cui dà notizia l’Agi, Weawer parla di un “chiaro e pericoloso trend ” che potrebbe determinare la sconfitta di Biden a novembre. Parallelamente, sul New York Times, l’analista e commentatore politico Giovanni Russonello si chiede perché Biden non sia salendo nei sondaggi, come il contesto potrebbe lasciare supporre, con Donald Trump tra due fuochi, la pandemia che ancora infuria e l’economia che s’è fermata.
Gli ultimi dati della John Hopkins University mostrano che, alla mezzanotte di venerdì, i contagi negli Usa s’avvicinano a 1.450.000 e che i decessi hanno superato gli 87.500. Trump promette vaccino gratis per tutti – quando ci sarà –, ma intanto deve spostare ogni volta più in alto il tetto delle vittime – l’ultimo da lui indicato, 95 mila, sarà sfondato a giorni.
La Camera a maggioranza democratica ha ieri approvato un nuovo pacchetto di aiuti per 3000 miliardi di dollari, che andrebbero ad aggiungersi ai 2200 miliardi di dollari già stanziati a marzo. La misura non ha possibilità di essere approvata dal Senato a maggioranza repubblicana, ma può essere materia di negoziato fra le forze politiche e la Casa Bianca.
Il pacchetto della Camera prevede in particolare aiuti per gli Stati più colpiti, i nativi americani, quanti hanno perso lavoro e reddito, in un contesto economico fortemente deteriorato, come dimostra anche il ricorso alla bancarotta di un gigante della distribuzione come C.Penney, 118 anni d’ininterrotta attività. È il collasso più grave finora registrato nel settore, dopo quelli di J.Crew, Neiman Marcus Group e John Varvatos.
Pure le procedure politiche s’adeguano alla pandemia: la Camera ha così autorizzato voti “da remoto” e audizioni virtuali, intaccando il principio vecchio di secoli che i deputati debbano essere fisicamente presenti in aula e ai lavori.
Ma il coronavirus non sembra invece attenuare le divisioni interne al campo democratico, che, nota Weaver, potrebbero avere conseguenze molto pericolose nei “battleground States“, cioè quegli Stati in bilico, come Wisconsin, Michigan, Pennsylvania, Iowa, Ohio, North Carolina, Florida, Arizona, dove si decideranno, anche per un pugno di voti, le elezioni del 2020.
Weaver, che ha recentemente lanciato il Pac “America’s Promise”, proprio con l’obiettivo di indurre la base progressista a sostenere il centrista Biden per evitare altri quattro anni di Trump presidente, afferma che è “reale e urgente aiutare Biden a consolidare la posizione tra i sostenitori di Sanders”.
Oltre a Weaver, un altro ex consigliere di Sanders, Chuck Rocha, ha lanciato un Pac per mobilitare il voto degli ispanici a favore di Biden.
“Se l’intera base di Sanders andrà a votare per Joe a novembre – scrive ancora Weaver, riferendosi in particolare ai giovani, ai latinos e alla “working class”, l’ex vice-presidente potrà sconfiggere Trump e restituire ai democratici la Casa Bianca”. Ma “parti significative di questo elettorato non hanno intenzione di farlo”: questo è il problema.
Quando Sanders si è ritirato dalla corsa alla nomination, dando l’endorsement a Biden, ha sostenuto di avere portato nel dibattito mainstream del partito democratico dal 2016 ad oggi temi e richieste che prima venivano considerate estremiste o marginali. E le campagne di Biden e Sanders lavorano insieme per cercare di convincere la base di sinistra a superare la delusione e la rabbia e a votare per Biden.
Recenti sondaggi tra gli elettori della sinistra democratica avallano le preoccupazioni di Weaver: secondo un rilevamento USAToday – Suffolk University, il 20% degli elettori di sinistra afferma che non voterà per Biden e il 60% non è per niente entusiasta all’idea di sostenerlo. Per il Pew Research Center, quasi la metà dei “sanderisti” (il 47%) ritengono che le differenze ideologiche impediranno al partito di trovare l’unità.