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Wojtyla, il Santo Padre che parlava ai cuori. Il ricordo di Buttiglione

Quello che colpiva in Karol Wojtyła è che era un uomo profondamente umano. Parlava, agiva, cantava, pregava sempre a partire dal cuore. Diceva “io”.

Una volta ho conosciuto Jacques Lacan, psicanalista francese geniale e pazzo. Lui domandava: “Chi parla quando io parlo?”. Voleva dire che per la bocca di ciascuno di noi parla, di volta in volta, il nostro ruolo istituzionale oppure la nostra ideologia, oppure la nostra cultura nazionale di appartenenza, oppure i tanti frammenti di identità non riuscite che abbiamo tentato e abbandonato e ricacciato nel nostro inconscio.

Parlano tutte queste cose, una per volta e cercando di tenere le altre a distanza oppure anche confusamente tutte insieme. Gli uomini hanno smarrito la strada del loro cuore. Quando parlano c’è sempre una distanza, un vuoto, fra il loro cuore e la parola che dicono. Per questo non sono credibili.

Wojtyła no. Che parlasse come Papa a milioni di fedeli o come professore in un incontro accademico o come prete in un confessionale o come amico in un colloquio privato era sempre lui. La dottrina che predicava coincideva con la sua vita e la passione del suo cuore fluiva liberamente in tutte le cose che faceva.

Prima di essere detta la dottrina era diventata carne e sangue nella vita, era come una ipotesi verificata dagli avvenimenti della vita. Per questo gli uscivano delle frasi folgoranti che riassumevano in poche parole trattati di teologia morale. Una volta mi ha detto: “il dono più grande che un padre possa fare ai suoi figli è amare la loro madre”. Non “restare con la madre per amore dei figli” ma “amare la loro madre”.

Stare vicino a lui era una continua esperienza educativa. Educava ad essere nella verità, cioè a stare in contatto con il proprio cuore. Quando è stato eletto la prima cosa che ha detto è stata “non abbiate paura”. Gli uomini perdono il contatto con il loro cuore perché hanno paura del dolore.

Se uno prende contatto con tutta la grandezza del desiderio infinito del suo cuore intuisce subito che quel desiderio è destinato ad essere tradito: dagli altri ed anche da me stesso. Allora per evitare il dolore è necessario ridurre la portata del desiderio. Si rinuncia, per esempio, alla speranza del grande amore per tante piccole storie “appena prese, già dimenticate” (Borges).

Per restare in contatto con il proprio cuore bisogna accettare di soffrire e di lasciarsi ferire. Bisogna accettare infine la prospettiva della croce. Sarebbe troppo facile dire che l’oggetto adeguato del desiderio del cuore dell’uomo è Dio. Sarebbe vero, naturalmente, ma troppo astratto, poco cattolico.

Wojtyła pensava che Dio si è fatto uomo in Gesù di Nazareth ed è diventato incontrabile nelle vite degli uomini. L’amore di Dio (non il nostro amore per Dio ma l’amore di Dio per noi) ci permette di essere fedeli agli uomini che incontriamo ed a noi stessi, di parlare al loro cuore e di parlare a partire dal nostro cuore. Il problema del nostro tempo non è tanto che l’uomo di è dimenticato di Dio quanto che dimenticandosi di Dio ha perso il contatto con il proprio cuore.

Quando Giovanni Paolo II è morto mi hanno invitato in Germania a una specie di Porta a Porta locale (il Sabine Christiansen Show). C’era un famoso personaggio, Eugene Drewermann, a metà strada fra la teologia e la psicanalisi, che diceva che Giovanni Paolo II era, in fondo, solo un fenomeno mediatico. Sì, milioni di giovani andavano ad incontrarlo ma poi non leggevano le sue encicliche e, soprattutto, non osservavano la sua morale sessuale.

Io gli ho detto che molti le sue encicliche le leggevano, e molti altri no. Quanto alla sua morale sessuale pochi la osservavano pienamente, pochi la respingevano in toto e i più ci provavano, cadevano e ci riprovavano. Ma se andavano a incontrarlo non era né per le encicliche né per la morale sessuale. Era perché parlava dal cuore e parlava al loro cuore.

Era perché ascoltandolo si accorgevano di avere un cuore. Era perché sentivano con forza che lui li amava e sarebbe stato pronto a dare la vita per loro. E se uno ti ama cosí, e non è tuo padre né tua madre e neppure tuo fratello o tua sorella o tua moglie o tuo marito, almeno il dubbio che quell’amore abbia una origine soprannaturale ti deve venire, e quel dubbio ti accompagna per tutta la vita. E anche tu vorresti essere capace di un amore così.


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