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Caos vitalizi. La bagarre a 5 Stelle e gli stracci del Pd. Il diario di Colombo

In merito all’ormai tanto discusso, e tanto esecrabile, secondo la vulgata populista, ‘taglio dei vitalizi’ (cioè le pensioni) degli ex parlamentari, galeotta fu la Riccardi. Alessandra Riccardi (classe 1974, nativa e residente a Cinisello Balsamo, provincia di Milano, una laurea in Giurisprudenza all’Università cattolica, avvocato civilista, fisico e volto androgino) è passata, da pochi giorni, dai Cinque Stelle – che l’avevano eletta, per la sua prima volta, al Senato, nel proporzionale della Lombardia – alla Lega Nord. La notizia aveva creato un certo scalpore, ma soprattutto perché, persa la Riccardi, la maggioranza di governo pencola, pericolosamente, intorno ai 160 voti, a palazzo Madama, cioè un numero sotto il magic number di 161. Il quorum fissato per la maggioranza assoluta, quando serve (e non sempre serve) al Senato a far passare le leggi.

Inoltre, sempre lei, la Riccardi, aveva votato ‘no’ all’ultima richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini, sullo sbarco dei migranti dalla nave ‘Diciotti’ salvando, almeno dentro la Giunta Immunità (al Senato si chiama così quella che, alla Camera, si chiama invece Giunta per le autorizzazioni a procedere, misteri di due Camere che fanno le stesse cose, con nomi diversi), le sorti processuali dell’ex ministro degli Interni, sul cui caso, e presto, si dovrà esprimere in modo definitivo l’Aula.

VITALIZI? SÌ GRAZIE

Ma ecco che la Riccardi, in pochi giorni, ne combina un’altra delle sue. Infatti, era lei l’unico e solo membro pentastellato all’interno della “Commissione del Contenzioso” che regola gli atti amministrativi e giuridici interni al Senato della Repubblica: andandosene sbattendo la porta dal gruppo del M5s, la Riccardi ha fatto perdere, ai pentastellati, una pedina importante, cioè avere un proprio membro dentro la “Commissione Contenziosa” del Senato. I Cinque Stelle, oggi, sono privi di un loro rappresentante e, peraltro, essendo la Commissione, alla stregua della Giunta per le Immunità, un organo permanente e indefettibile, non sono possibili, in corsa, cambi o integrazioni di nominativi.

Morale, sul tema dei tanto aborriti ‘vitalizi’ – uno di quei temi sui quali i Cinque Stelle hanno costruito una fortuna politica in nome della lotta alla Casta – l’M5s non aveva nessuno a difendere le proprie ragioni ‘anti-Casta’. La Commissione, dunque, l’altra notte, quella di mercoledì scorso, ha deciso che i vitalizi andavano, sic et simpliciter, ripristinati, senza che i Cinque Stelle potessero opporre un diniego o un’istruttoria o una richiesta di supplemento d’indagine o proroga di tempi. Ha avuto ragione, invece, e subito, l’avvocato dei ricorrenti – gli ex parlamentari che avrebbero dovuto subire il taglio dei vitalizi – l’ex senatore di Forza Italia, Maurizio Paniz, che, con il suo studio, ne rappresenta ben 300, di senatori, più altri 700 ex deputati, per un totale di 900 parlamentari, una legione. Paniz, vero mastino veneto, per ora ha vinto.

IL RISIKO IN COMMISSIONE

Infatti, su cinque componenti della Commissione, tre hanno votato a favore del ricorso presentato da Paniz – il presidente della commissione, Giacomo Caliendo, e i due membri tecnici: i professori Gianni Ballarani e Giuseppe Della Torre – e due si sono pronunciati in modo contrario. Questi sono entrambi della Lega: Simone Pillon (noto alle cronache per il famigerato disegno di legge Pillon a tutela delle famiglie ‘naturali’) e, appunto, Alessandra Riccardi, ex grillina e da poco passata al gruppo della Lega Nord.

Certo, è facile obiettare che, anche se fosse rimasta dentro i Cinque Stelle, la Riccardi avrebbe votato ‘no’, ma nei ‘luoghi’ delle Camere, anche quelli più oscuri e meno noti ai più, ci devi essere, e portare le ragioni del tuo partito e del tuo gruppo, altrimenti, in sostanza, non conti un beato nulla.

AUTODICHIA PORTAMI VIA

Ma perché il Senato si può, da solo, ripristinare i vitalizi? Perché, all’interno delle Camere, vige il ‘noto’ (si fa per dire) principio della ‘autodichia’. Termine che viene dritto dritto dal greco antico, quello di Omero e Esiodo, e che vuol dire, in buona sostanza, che ogni Camera, su ogni decisione che la riguarda, è indipendente e sovrana. Morale, la Camera, come il Senato, si autoregolano da sé: nessun organo esterno (la Corte costituzionale, la Corte dei Conte, figurarsi un tribunale ordinario) può sindacarne gli atti.

Morale, è arrivato lo stop al taglio dei vitalizi, al Senato, taglio deciso dalla presidenza di palazzo Madama a far data dall’ottobre 2018, su forte spinta dei Cinque Stelle, allora col vento in poppa, cui nessun altro partito seppe dire di ‘no’, esattamente come accaduto col taglio dei parlamentari. “Vanno restituiti, agli ex parlamentari, pure gli arretrati”, gongola Paniz. Ma cosa succede adesso? È lo stesso Paniz a spiegarlo: “Gli effetti sono almeno tre: il Senato può impugnare l’annullamento nell’organismo di secondo grado, che in questo caso è il Consiglio di giurisdizione dello stesso Senato. Ma vanno risarciti gli arretrati, e pure la Camera potrebbe subire gli effetti di questa decisione”.

In attesa che si trovi ‘un giudice a Berlino’ che fermi quello che i grillini, ululanti, già bollano come “furto della Casta”, Paniz esulta (“È stato ripristinato lo Stato di diritto”) e spiega, al colto e all’inclita, perché la delibera è annullata.

PANIZ DIFENDE I VITALIZI

“La delibera è stata annullata perché – dice Paniz – ritenuta ingiustificata a fronte della giurisprudenza consolidata della Corte Costituzionale e del diritto dell’Unione europea, in base alla quale di fronte a una situazione consolidata gli interventi di riduzione degli importi devono rispondere a cinque requisiti, nessuno dei quali era stato rispettato dalla delibera”. Paniz, di ‘buoni motivi’, ne elenca cinque: la norma non può essere retroattiva, mentre il taglio lo era; in secondo luogo, non deve avere effetti perenni, come invece li aveva la delibera; in terzo luogo, non deve riguardare una sola categoria ma deve essere ‘erga omnes’, mentre qui si colpivano solo gli ex parlamentari; in quarto luogo, deve essere ragionevole, mentre questo taglio raggiungeva l’86% degli importi; infine, deve indicare dove vanno a finire i risparmi che non possono finire nel grande calderone del risparmio, e anche su questo punto la delibera era carente”.

LA CONTROFFENSIVA A CINQUE STELLE

L’M5s, ovviamente, annuncia ricorso: dopo aver detto che quelli della Casta “difendono con le unghie il loro privilegio, dando uno schiaffone al Paese e al principio di equità “, il reggente Vito Crimi fa sapere che “prenderemo le iniziative necessarie”, spiegando che “verranno fatti tutti gli approfondimenti sulla decisione, presa – specifica velenoso – da una commissione in cui i componenti tecnici sono nominati dalla presidente del Senato”. Replica subito la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati per far mettere agli atti che “non c’entro nulla con la decisione della Giunta, che è un vero e proprio tribunale” che ha preso una decisione “non corretta né dal punto di vista etico né dal punto di vista giuridico”, afferma, ricordando, però, a tutti, che “la sentenza è appellabile”.

Sempre Paniz, però, ricorda che “Siamo di fronte a una delibera che ha tagliato senza remore il trattamento pensionistico degli ex senatori in media del 60% fino a un massimo dell′86%. È evidente che ci sia una reazione giurisdizionale. Come in tutti i giudizi, ci sarà un appello, un eventuale ricorso in Cassazione, un intervento in sede di giurisdizione europea. Sarà un percorso lungo”. Insomma, Paniz dice agli urlatori anti-Casta: mettetevi comodi, andremo per le lunghe, e alla fine vinceremo noi.

E IL PD SI STRACCIÒ LE VESTI

Naturalmente, in poche ore, si è però scatenata la canea, anzi, meglio: la Vandea, quella dei paladini dell’anti-Casta. Tutti i big, e meno big, dei 5Stelle si sono stracciati le vesti, da Luigi Di Maio (“sono senza parole”) a Francesco D’Uva (“Alla Camera andiamo avanti”), da Carlo Sibilia (“I vitalizi sono come la cocaina, una droga!” – sic), fino a Barbara Lezzi e tanti altri pentastellati che, a corto di argomenti, non fan altro che ripetere ‘che schifo’. Anche il Pd, però, si accoda, provando a prendere la cosa ‘da sinistra’: “Scelta insostenibile e sbagliata” – twitta il leader dem, Nicola Zingaretti – la cassa integrazione è in ritardo e si rimettono (sic) i vitalizi”. Pure il commissario Ue, Paolo Gentiloni, parla per stigmatizzare il ‘fattaccio’.

La decisione non sta bene a Forza Italia (“Siamo favorevoli al taglio” giura Antonio Tajani) come pure viene criticata da Italia Viva (“La Politica non è sintonizzata con il Paese” geme Faraone), fa insorgere FdI (“Un insulto” dice la Meloni) ma è, ovviamente, la Lega a cavalcare subito il cavallo dell’indignazione popolare. Salvini si dice “disgustato” e annuncia una raccolta firme “per abolire una volta per tutte i vecchi vitalizi ancora in vigore. Siamo orgogliosi – aggiunge – di aver votato contro i privilegi anche in commissione, unici ad averlo fatto”.

E qui si torna alla Riccardi. Se fosse rimasta nei Cinque Stelle, avrebbe, forse, impedito la decisione. Invece è passata alla Lega, cui ha fatto fare la figura dei ‘paladini’ anti-Casta, e ora, venuto meno il suo voto, al Senato la maggioranza sarà costretta a ‘ballare’ su temi ben più seri che i vitalizi.

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