Matteo Salvini si è rimesso a fare politica, in modo furbo. Dopo mesi di proclami lanciati nel vuoto e dopo aver annaspato in contraddizioni inconciliabili e fughe in avanti (con dietro nessuno), ha capito che l’aria è cambiata: la maggioranza traballa pericolosamente e vuole approfittarne.
Se fosse il letterato (che non è) si potrebbe dire che il Capitano sente ‘l’odore del sangue’. Certo è che il leader della Lega, Matteo Salvini, s’è ringalluzzito. Si prepara a un’altra ‘estate italiana’, stile quella che, l’anno scorso, lo portò dal Paapete a toccare tutti i lidi italici sicuro di stare aprendo non solo una crisi di governo, ma le porte per elezioni politiche anticipate. La Storia, come si sa, è andata diversamente, ed è nato il Conte bis grazie all’asse Di Maio-Renzi-Zingaretti che lo ha costretto a restare dov’è ancora oggi, all’opposizione, ma sempre meno autorevole e insidiato, come premiership nel centrodestra, dalla Meloni.
In ogni caso, ieri ha fatto due mosse, entrambe accorte. Prima, annuncia di voler ‘aprire le porte’ ad eventuali altri fuoriusciti dal Movimento 5 stelle, come avvenuto nelle ultime settimane (ben due: una al Senato, la Riccardi, nella Lega, e uno alla Camera, Ermellino, finito al Misto).
Il ‘Capitano’, poi, chiede nuovamente di “dare la parola gli italiani”. Secondo Salvini, “non sarò io” a dare la spallata, “saranno gli italiani a chiedere le elezioni”. E qui ci si immagina che il leader della Lega pensi che, alle Regionali, il Pd e il centrosinistra perdano quasi ovunque (tranne in quella Toscana dove la ‘sua’ candidata è data, da tutti, perdente) e che Zingaretti paghi pegno, dentro il Pd, mentre i pentastellati si spaccherebbero ulteriormente al loro interno, in vista dei nuovi assetti degli ‘Stati generali’.
“L’elezione del nuovo Presidente della Repubblica – nota poi Salvini, tornando su un tema da lui già toccato, la corsa al Colle – sarà tra un anno e mezzo. Il Pd non può tenere ferma l’Italia perché vuole nominare il suo presidente”. Già giorni fa il leader leghista aveva lanciato un amo ai 5Stelle, chiedendo loro di scegliere ‘insieme’ il futuro inquilino del Colle (si voterà febbraio 2022) per eleggere “un presidente di tutti, tranne che con i voti del Pd” (bella contraddizione).
IL GOVERNO C’È (MA TRABALLA)
Salvini ha del resto facile gioco, a parlare e a tuonare, davanti a un governo che – prima ‘tripartito’ (Pd-LeU-M5s) e oggi ‘quadripartito’ (con la nascita di Iv) – balla e traballa, praticamente, su ogni dossier e su ogni tavolo da aprire.
Dopo due manovre ‘straordinarie’ (il dl ‘Cura Italia’, da 25 miliardi, e il dl ‘Rilancio’, da 55 miliardi), Gualtieri prepara la manovra economica ‘aggiuntiva’, da 20 miliardi, di luglio. Poi, in vista dell’autunno, vanno scritti il Def (in teoria, andrebbe presentato entro dopodomani, 30 giugno), il Piano nazionale di rilancio, da presentare all’Europa, per farsi ‘giudicare’ su come verranno spesi i (tanti) soldi del Recovery Fund e, dulcis in fundo, la legge di Stabilità (ex legge Finanziaria), cioè la manovra economica ‘solita’, quella ‘classica’ che va approvata dal governo entro il 15 ottobre (subito dopo l’approvazione del Nadef, la Nota di variazione al bilancio, entro il 30 settembre) e poi spedita a Bruxelles per essere validata dal 15 ottobre in poi, quando, sempre in Parlamento, si apre la ‘sessione di bilancio’ che tiene impegnate le Camere fino alla fine di ogni anno. Nel mezzo, per non farsi mancare niente, ecco l’election day del 20/21 settembre: elezioni regionali in sette regioni, elezioni amministrative in mille comuni e referendum costituzionale sul taglio del numero dei parlamentari. Un calendario ‘da paura’ che rischia di trasformarsi in un calvario, per Conte.
MES O NON MES?
In mezzo a tutti questi impegni e queste scadenze, ci sono le tante, troppe, e arcinote ‘emergenze’ economiche che gravano sul nostro Paese come una spada di Damocle. Le manovre ‘aggiuntive’ (85 miliardi finora, 100 entro breve) non bastano mai, la legge di Bilancio dell’inverno ne dovrà aggiungere almeno altri 30-35, ma i soldi – e i saldi – vanno reperiti, in qualche modo. E, paradossalmente, i ‘soldi’ che ci presterà la Ue, pur tanti che siano, non basteranno: sia perché arriveranno non prima del 2021 sia perché una parte saranno prestiti e non finanziamenti a fondo perduto. Morale: lo Stato dovrà mettere nuove tasse o compiere operazioni di bilancio spericolate che già fanno dormire sonni inquieti al Mef come a Conte e alla sua maggioranza. In sovrannumero, c’è l’ormai arcinota questione del Mes.
Il Meccanismo europeo di Stabilità, in questa occasione, a differenza del passato, sono soldi cash, pronti a essere concessi con una sola ‘condizionalità’: essere spesi solo e soltanto per spese sanitarie. Trattasi di 36 miliardi che sono importanti come l’oro, per l’Italia, ma sui quali è iniziata la ‘guerra’ interna alla maggioranza. Il Pd vuole usarli, LeU pure, Iv non ne parliamo, i 5Stelle oppongono resistenza.
Sembra un minuetto, un ballo accademico dalla ‘facile’ conclusione: i 5Stelle si convinceranno e il Parlamento darà ‘via libera’ al Mes con i voti della ‘sola’ maggioranza. Il guaio è che uno straccio di certezza, sul tema, non c’è. Non a caso, Conte ha dovuto, sul punto, persino ‘rimbrottare’ frau Angela Merkel, cioè uno dei migliori e più solidi amici dell’Italia, in questa fase, una che il Recovery Plan vuole usarlo e aumentarlo, ma che ha chiesto, senza troppi giri di parole, all’Italia di “utilizzare subito il fondo Mes”. “Ce ne occuperemo qui in Italia, io e il ministro Gualtieri” l’ha rimbeccata il premier, come a dire: ‘fatti i fatti tuoi’.
Il problema, tanto per cambiare, sono i 5Stelle che, in vista del voto del Parlamento che deve dare il via libera al Mes, hanno resistenze, dubbi, riottosità e perplessità di ogni tipo.
Ora, al di là dei tecnicismi (ci sarà un voto ‘unico’ sul Mes e, insieme, sul Recovery Plan, per fa ‘indorare la pillola’ ai grillini? Ci saranno due voti separati? Il Parlamento voterà il Mes entro la fine di luglio o il voto arriverà a settembre?), quello che conta sono i numeri della maggioranza in Parlamento e, in particolare, al Senato. Infatti, alla Camera, dovrebbe (dovrebbe!) andare tutto liscio: Pd+LeU+Iv+M5s hanno, sulla carta, la bellezza di 333 deputati (quorum fissato a 316) cui andrebbero aggiunti almeno 10 del Misto.
I CONTI DELLA SERVA AL SENATO
I guai, come si sa, sono tutti al Senato. E qui bisogna prendere la calcolatrice e fare di conto con grande attenzione. In teoria, il plenum del Senato è composto da 321 senatori (315 più cinque senatori a vita e ‘viventi’ e un presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano), ma da mesi il plenum è sceso a 319 perché due seggi sono oggi vacanti (due senatori eletti sono deceduti e le elezioni supplettive per sostituirli non sono state ancora indette). La maggioranza assoluta, dunque, cioè il quorum del plenum, è fissato a 160 membri. Non sempre, va detto, sulle leggi, serve la maggioranza assoluta (anzi: quasi mai). Basta, infatti, ottenere la maggioranza semplice, cioè che i ‘sì’ battano i ‘no’, ma il magic number di 160 (o, a regime, di 161 membri, ha un chiaro, netto, logico, significato politico.
Bene, oggi la situazione è questa: l’M5s, che ne ha persi 13 in meno di due anni, conta su 95 senatori, il Pd su 35, Iv 17, LeU ne ha 5. La maggioranza politica, dunque, che regge il governo può contare solo su 152 senatori. Ben lontana dai 160, la maggioranza di governo, al Senato, si ‘regge’ sugli otto senatori del gruppo Autonomie (gruppo cui sono iscritti il centrista Casini e l’ex dem Bressa, come pure i senatori a vita Cattaneo e Napolitano, spesso assenti) e 7 del gruppo Misto che, però, votano un po’ come gli pare (molti sono ex grillini), ma spesso appoggiano il governo.
In buona sostanza, contando sui voti ‘stretti’ governativi, la maggioranza oscilla tra i 160 voti e i 165 ma, appunto, solo grazie agli ‘esterni’ alla maggioranza (Misto-Autonomie). Certo, le opposizioni (Lega 63 senatori, FI 60, FdI 17, più dieci senatori del Misto che spesso votano col centrodestra) arrivano ‘solo’ a 150 voti, oggi, ma l’equilibrio è instabile, precario, e Salvini, appunto, annuncia ‘nuovi arrivi’ di transfughi grillini che, entro breve, passerebbero alla Lega: si parla, per ora, di due senatrici M5s, Pacifico e Drago.
Inoltre, sul Mes, sarebbero almeno sette i senatori stellati pronti a votare contro o, comunque, ad astenersi dal voto. Inutile fare i loro nomi perché variano di giorno in giorno, ma di certo il governo, sul Mes, al Senato rischia parecchio. Certo, potrebbe sempre arrivare, come dice Matteo Renzi, “il soccorso azzurro”, cioè i voti di Forza Italia, dato che Berlusconi sostiene che il Mes, al nostro Paese, “ci serve”. Ma a quale prezzo e in cambio di cosa? Presto si saprà.