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Dalle regionali al governo: il centrodestra fra logoramento e spallate. La bussola di Ocone

“Tre mesi son lunghi da passare”, cantava tanti anni fa Rosanna Fratello. Qui si tratta di tre anni, addirittura. Se la legislatura dovesse continuare fino alla sua scadenza naturale, questa è la prospettiva che attende Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi: lontani dal potere per più di mille giorni!

Uno dei paradossi italiani attuali è che però proprio un governo debole al suo interno e sorretto da una maggioranza che tale non è nel Paese, che si trova fra l’altro ad affrontare quella che si preannuncia come la più devastante crisi economica mai vissuta in età repubblicana, ha molte probabilità di portare a termine la sua “missione impossibile”. Solo una “spallata” oggi improbabile potrebbe cambiare questo stato di cose, né, per il bene del Paese, ci si può augurare che a spazzare via tutto sia una situazione di emergenza sociale.

Il rischio più concreto è che, per tutta una serie di motivi, il centrodestra (o destracentro se preferite), non solo non riesca a far fruttare politicamente il consenso che ha attualmente nel Paese, ma che addirittura se lo veda giorno dopo giorno erodere dalle circostanze. Perché il vecchio Andreotti aveva ragione: il potere, alla fine, logora chi non ce l’ha! L’unico nel centrodestra ad aver tentato di smuovere le acque è stato il vecchio Cavaliere, che si è prima proposto come “stampella” a Conte, si dice tramite i buoni uffici di Gianni Letta, qualora Renzi avesse fatto cadere il governo; e poi ha cominciato a “dialogare” con i vari Zingaretti, Franceschini, Speranza, certo sulla riforma elettorale ma anche per una maggioranza allargata qualora avessero deciso di disarcionare il premier.

Come è andata a finire, lo abbiamo visto. Sulla carta, una “spallata” al governo potrebbe arrivare pure da un risultato catastrofico della maggioranza alle prossime elezioni regionali, un tennistico sei a zero visto che si vota in sei regioni (Campania, Liguria, Marche, Puglia, Toscana e Veneto). È un’ipotesi anche questa molto difficile a realizzarsi, ma è evidente che la scelta dei candidati come governatori dovrebbe essere ben ponderata. Il problema è che però, per motivi di ambizione politica più che di inconciliabilità dei programmi, i tre partiti del centrodestra sono entrati sul punto in una competizione che non era auspicabile.

Neanche ieri sera, quando passate le 22 si è tenuto un incontro formalmente cordiale, Salvini, Meloni e Tajani (che rappresentava un Berlusconi ancora in lockdown in Provenza) sono riusciti a cavare il cosiddetto ragno dal buco. Come è noto, la partita si gioca soprattutto sulle due maggiori regioni meridionali, Campania e Puglia, che, in vecchi accordi, sarebbero toccate rispettivamente a Forza Italia e a Fratelli d’Italia. Partiti, questi ultimi, che hanno persino già i candidati, due politici di lungo corso (quindi con molta esperienza) ed entrambi anche già presidenti di regione negli anni passati: l’ex socialista Stefano Caldoro a Napoli e l’ex eurodeputato allora di Forza Italia Raffaele Fitto a Bari.

Ora è però il leader della Lega che non è più convinto di quell’accordo, che fu preso in effetti in un momento in cui fra i tre partiti c’erano diversi rapporti di forza. Per Salvini, che a quanto risulta non ha ancora un suo candidato, avere il presidente in almeno una delle due regioni faciliterebbe molto quell’operazione di “atterraggio al Sud” che gli è fondamentale in un’ottica di partito “sovranista” e nazionale.

Tutte considerazioni legittime e importanti, sia quelle di Salvini sia di chi è fermo ai vecchi patti, ma bisognerebbe oggi forse lavorare seguendo una sola stella: non dividersi internamente e puntare su un candidato forte che abbia possibilità di uscire vincitore nello scontro con due vecchie “volpi” come De Luca ed Emiliano. Almeno per tentare quella “spallata”, in verità molto ipotetica, a cui si accennava.

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