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Il cerchio e la botte. Così Conte sorride. Il diario di Colombo

Dato che, oggi, del secondo giorno degli Stati generali dell’Economia voluti dal premier, quello di domenica, non ha parlato praticamente nessuno perché tutta l’attenzione si è concentrata sulla guerra interna deflagrata dentro i Cinque Stelle (Grillo contro Dibba, Dibba contro Di Maio, e Di Maio contro Dibba, e contro Conte, ma pure contro Grillo), il premier, ieri, ha disperatamente cercato di riprendersi la scena, facendo grosse aperture e concessioni ai sindacati.

E, in effetti, oggi era proprio il giorno propizio per farlo. Infatti, a villa Doria-Pamphilj, sono sfilati, per essere ‘ascoltati’, manco fossimo al ‘tavolo verde’ di palazzo Chigi, proprio i sindacati: la cara, vecchia, ‘Trimurti’ di Cgil, Cisl e Uil, cioè i tre sindacati confederali (gli altri, Ugl in testa e Cobas in coda, non sono pervenuti, dal governo) che sono sempre meno rappresentativi e sempre meno importanti e decisivi sulla scena pubblica italiana, ma che vogliono, a tutti i costi, far sentire la loro voce. Inoltre oggi sarà la volta di Confindustria, il cui presidente (Carlo Bonomi) ha inaugurato il suo quadriennio alla guida degli industriali italiani sparando ad alzo zero ‘contro’ la Politica e, di fatto, ‘contro’ il governo.

CIG, FINALMENTE

Il premier, dunque, doveva e voleva metterci una pezza e, non potendo avere proprio ‘tutti-tutti’ i Poteri che contano nel Paese ‘contro’, ha fatto l’annuncio ad effetto: “L’obiettivo del governo è garantire la cassa integrazione a tutti i lavoratori, per tutto il tempo che sarà necessario nella fase di debolezza dell’attività economica” è stato l’impegno preso da Conte coi sindacati nel corso degli Stati generali. “Abbiamo predisposto un decreto legge, che adotteremo oggi stesso, in un consiglio dei ministri che si svolgerà a margine degli incontri odierni, grazie al quale le aziende e i lavoratori che hanno esaurito le prime 14 settimane di cassa integrazione potranno richiedere da subito le ulteriori quattro settimane approvate con il decreto Rilancio”. Non a caso, proprio gli industriali – come i sindacati – avevano segnalato, e per tempo, che il meccanismo di una cig che funzionava ‘a singhiozzo’, come prevedere il dl Cura Italia (14 settimane subito e solo dopo un mese altre 4 settimane) non funzionava, costringendo gli imprenditori a licenziare i loro dipendenti in tronco, i lavoratori a non volerla neppure.

Il CERCHIO E LA BOTTE

Insomma, in un colpo solo, il premier ci mette ‘una pezza a colore’ o, meglio, dà un colpo al cerchio (le parti sociali) e un colpo alla botte (il Pd, ma anche i 5Stelle), cioè ai due maggiori partiti che reggono la sua maggioranza di governo su un tema ‘sociale’ assai sensibile e delicato come la cig. Non a caso, e ormai da settimane, i pochi partiti che ancora tengono le ‘orecchie a terra’, come direbbe Bersani, sanno che la situazione sociale del Paese, in autunno, sta per esplodere, dato che la recessione cavalcherà impetuosa.

Già che c’è, in apertura della seconda giornata di lavori, il premier ha anche ringraziato la task force del piano Colao, cioè di quel manager che detesta dal profondo del cuore: un piano di “ampio respiro – l’ha definito Conte -, un contributo importante per il confronto di questi giorni ai fini dell’elaborazione del piano di governo”. Dopo il saluto del premier, del resto, toccava allo stesso Colao intervenire. Il quale ha ricambiato la cortesia, ovviamente: il capo della task force “Ricostruzione” ha ringraziato Conte e i ministri per la “proficua collaborazione” di queste settimane per poi illustrare il suo ‘piano’, di cui però si sapeva già tutto e che già aveva collezionato critiche di tutte le parti politiche (destra, sinistra e centro….) come pure di quelle sociali. Ma al di là di parole di circostanza di Colao, che suonano farisee, resta il punto che proprio Pd e M5S sollevano, pur se, per ora, ancora in forma anonima ma con la virulenza di esponenti di opposizione: “Questo governo, non Colao, ‘non’ ha un piano, non ha una visione, fa solo passerelle”.

Per il resto, Conte le prova tutte: dice che “bisogna lavorare tutti insieme per trasformare la crisi in opportunità”, ribadisce che vuole un ‘dialogo’, serio e serrato, con l’opposizione (glielo chiedono i partiti di governo e glielo chiede pure il Colle, a ‘non’ chiederlo sono Lega e FdI…) e, appunto, prova a risalire nei consensi delle forze sociali che, di fatto, dall’inizio della crisi, lo hanno osteggiato.

Ma se teme ogni giorno di più, e con buone ragioni, che Pd e M5s vogliano fargli le scarpe, Conte un punto di forza ce l’ha, e sono i tanto sospirati e compulsati sondaggi.

VENTO IN POPPA…A PALAZZO CHIGI

I sondaggi, infatti, sono tutti favorevoli al premier: anche ieri una rilevazione dell’Ipsos per il Corriere della Sera rivela che l’indice di gradimento per il suo operato è passato dal 48% di febbraio al 66% di aprile, per poi assestarsi al 61%. Gli italiani sembrano continuare ad avere fiducia nel loro premier nonostante la grave crisi provocata dalla pandemia.

Ma è bastato il solo sospetto che Conte possa avvalersene per mettersi alla guida di un suo partito per scatenare il putiferio, specie dentro gli stati maggiori di Pd e M5s che lo temono. Senza dire che c’è anche chi insinua che voglia candidarsi per le elezioni supplettive che si dovranno tenere entro novembre per un seggio uninominale del Senato, diventato vacante per la morte di un senatore, con l’obiettivo di insediarsi e ‘scendere’ davvero in politica.

E, del resto, il campanello d’allarme – e non solo dentro casa del M5s, ma anche in casa del Pd – era già suonato una settimana fa. Un sondaggio di Emg-Acqua per Agorà (Rai 3) testava, per la prima volta, un possibile partito guidato da Giuseppe Conte e lo quotava al 15 %, con conseguente prosciugamento sia del Pd (al 15%, cioè -5 punti) e del M5S (sempre -5 punti, ma con gli stellati finiti al 10%).

GUAI GIALLOROSSI

Dati che hanno fatto entrare anche il Pd in fibrillazione, con relative ‘fughe in avanti’ e ‘strappi’ della dirigenza dem contro i propositi di Conte, sia su Stati generali che sono piombati sul collo del Pd senza che il Pd ne sapesse nulla, sia sui tanti dossier – e soprattutto, crisi industriali – aperte (Ilva, Alitalia, etc.) fino alla ‘provocazione’ – fatta per suscitare un vespaio dentro l’M5s e destabilizzare Conte – di chiedere “il superamento e la revisione dei dl sicurezza”, decreti emanati da Salvini ma ancora oggi difesi dal M5s.

Ma anche i Cinque Stelle – pur presi dallo scontro al fulmicotone che gli è scoppiato in casa domenica scorso con il duro botta e risposta tra Grillo e Di Battista – sono sempre più inquieti. Di Maio ha dovuto, di fatto, smentire il Corsera, che riportava il suo ‘desiderio’ di far cadere Conte per dare vita, sempre con il Pd, a un altro governo, ma sono proprio i ‘dimaiani’ gli imputati numero 1 per il ‘delitto eccellente’, cioè la defenestrazione di Conte e l’incoronazione di un nuovo premier scelto di comune accordo tra Pd e M5s: c’è chi fa il nome del ministro alla Difesa, Lorenzo Guerini, chi di quello alla Cultura, Dario Franceschini, chi sostiene che lui, Di Maio, nutrirebbe, in prima persona, tale velleità. Magari è fantapolitica, ma nei Palazzi se ne parla molto e si indica in settembre, quando molti nodi verranno al pettine, il ‘turning point’ che potrebbe portare al change al governo, magari aprendone, finalmente, le porte agli ‘amici’ di FI.

L’ASSE DI MAIO-FRANCESCHINI

Per restare alla Politica, e lasciando perdere la fantapolitica, però, non è forse un caso che, mentre infuriava lo scontro in casa 5Stelle, domenica scorsa, Di Maio confidava di aver sempre “lavorato in perfetta sinergia” con il ministro e capo delegazione dem nel governo, Dario Franceschini, il quale ricambia subito la cortesia. Come ai tempi della Dc, i nuovi ‘colonnelli’ dorotei della Dc, i Forlani e Moro 2.0, sono cioè pronti a stipulare un ‘patto di ferro’ contro i ‘vecchi’ (Grillo nel M5s e Zingaretti nel Pd) con il malcelato intento finale di detronizzare Conte e farlo loro un nuovo governo.

E anche il Renzi che si mette a ‘sfottere’ Di Battista (“Fidanzarmi in casa con Di Battista? Ma anche no!”), ma non certo Di Maio, con il quale, anzi, i suoi rapporti sono, oggi, più che ottimi, è indicativo del possibile futuro. I tre ‘caballeros’ Di Maio-Renzi-Franceschini potrebbero, si dice nei Palazzi, volere e fare qualsiasi cosa: anche un ‘dopo-Conte’. Sia per liberarsi di un pericoloso avversario, oggi così forte nei sondaggi, in vista di elezioni future, sia per spingere il M5s verso posizioni più ‘ragionevoli’ e ‘moderate’. Uno scenario che aprirebbe le porte al terzo governo della legislatura, un governo ‘rosa-giallo-azzurro’ (cioè con il contributo fattivo di FI) che dovrebbe, in un colpo solo, liberarsi di Conte come ‘concorrente’ politico pericoloso e dare un nuovo, e finale, assetto alla legislatura. Il premier-avvocato, in buona sostanza, sarà bene che si guardi le spalle: tranne Grillo, dentro l’M5s, molti altri puntano a prendersi il suo scalpo e a offrilo ‘in dote’ al Pd come a FI.

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