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Perché gli Stati generali di Conte rischiano il flop. Il punto di Colombo

“Comunque vada, sarà un disastro”. Gli Stati generali di Conte, nati sotto una cattiva stella, rischiano il flop.

Gli invitati glamour che danno buca. L’opposizione che li boicotta. I due principali partiti della maggioranza (Pd e M5S) che, piuttosto che andarci, si vogliono dare “malati”. Le associazioni datoriali, imprenditoriali e sindacali che considerano l’iniziativa “una inutile, ridicola, perdita di tempo”. Il Capo dello Stato che vigila, dal Colle, corrucciato per un’iniziativa fatta nelle sedi “improprie” (quella “propria”, per Mattarella, è una sola, il Parlamento). Senza dire che il Colle è perplesso per come è stato accolto (male, malissimo) quello che era un suo pupillo, il manager ex ad di Vodafone Vittorio Colao, il cui “piano”, da giorni, viene sbertucciato in lungo e largo da tutti, Conte in testa. Persino la pioggia battente, a Roma, gioca contro Conte.

E, infine, ci si mette pure la pioggia battente, incessante, che sta creando un clima plumbeo – atmosferico e politico – che aleggia su Roma e che non fa vedere a un palmo dal naso. Insomma, persino tutti quegli incantevoli giardini – la “splendida cornice” di Villa Pamphilj – oggi saranno zuppi, inzaccherati di acqua e fango. “Comunque vada, sarà un disastro” si potrebbe dire, parafrasando l’arcinoto e storico claim di Piero Chiambretti (“Comunque vada, sarà un successo”), in merito agli Stati generali sull’Economia che il premier, Giuseppe Conte, ha voluto a dispetto dei santi.

GLI STATI GENERALI SARANNO “LUNGHI COME UNA QUARESIMA”

Certo, gli invitati importanti, i nomi di grido, ci saranno, e spalmati in più giorni. Infatti, gli Stati Generali “all’italiana” dureranno da sabato 13 giugno a domenica 21, cioè saranno “lunghi come una Quaresima” sfotticchia un big del Pd di matrice cattolica. Un record negativo che ricorda proprio i veri Stati generali, quelli della Francia pre-rivoluzionaria: iniziati il 5 maggio 1789, si risolsero in un bisticcio continuo e petulante tra il Clero e l’Aristocrazia (Primo e Secondo Stato) contro la Borghesia (Terzo Stato), fino al 20 giugno, data del giuramento della Pallacorda e inizio della Rivoluzione francese che Luigi XVI decapitò.

Oggi, venerdì 12, si tratterà di una falsa partenza: le opposizioni hanno deciso di disertare l’appuntamento in massa (Berlusconi voleva mandare Tajani, persino Salvini sembrava disponibile, ma alla fine si è imposta la Meloni, il che, nel centrodestra, succede sempre più di frequente…) perché “non è una sede istituzionale, ci chiamassero a Chigi”, ma la notizia è stata appresa da Conte con sollievo. Lui come pure molti dei ministri del governo devono rispondere all’inchiesta dei pm lombardi sulle “zone rosse” e “sgarbugliare” la grana scoppiata sul caso Regeni-Egitto. Insomma, oggi il governo avrà ben altre gatte da pelare.

VILLA DORIA-PAMPHILJ UNA CORNICE MOZZAFIATO, MA UTILE?

Le danze, dunque, si aprono solo sabato 13 in quel posto da “Mille e una Notte” che corrisponde al nome di Villa Doria-Pamhilj: voluta da papa Innocenzo X come residenza di campagna per la sua famiglia, realizzata a metà Seicento e poi passata alla famiglia Doria, oggi è del comune di Roma e i suoi giardini sono uno dei posti più belli della Capitale.

E i cittadini, che di norma invadono il parco per correre e giocare, già protestano, raccontano le cronache locali, contro “la solita invasione di auto blu, boyguard e divieti”.

“Per cosa poi? – ringhia un democrat romano, romanissimo, e molto vicino a Zingaretti – per far fare la passerella delle vanità a Conte?! Maddai, che scandalo, che schifo!”. Ecco.

TRA GLI INVITATI VARI NOMI DI PRESTIGIO, MA NIENTE DRAGHI

Gli invitati, in realtà, ci saranno e alcuni sono anche di peso, anche se, per lo più, con la scusa del lockdown, “in collegamento” (Zoom o Skype, si vedrà): sabato, il giorno di apertura, parleranno il presidente della Banca Mondiale, Kristalina Geergieva, il presidente della commissione Ue, Ursula Van der Leyen, il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli. Non pervenuti, a oggi, il presidente della Bce, Christine Lagarde, e il suo ex commander in chief, quel Mario Draghi che rende nero l’umore di Conte come Otello se Desdemona gli nominava “l’amico” Jago. Sarà del panel, invece, il governatore di BankItalia, Ignazio Visco, mentre il commissario Ue Paolo Gentiloni non è, ad oggi, pervenuto e nessuno del cerimoniale di Palazzo Chigi ha usato la cortesia di invitare i molti ex premier “viventi” (Dini come Monti, Prodi come Berlusconi, Letta e Renzi).

IL DOCUMENTO DEL PREMIER E “QUEL CHE RESTA DI COLAO”

Il premier attuale arriverà con un documento scritto, “sintesi” delle varie proposte raccolte dal suo staff e dai ministri “auscultati” (poco e male: erano e sono ancora tutti furibondi per essere stati tenuti all’oscuro per settimane, dal Mef in giù, ministri Pd come M5S, dicasteri di peso e non) sulla base di tre capisaldi: il dossier semplificazione (ci tiene il Pd), il rilancio delle infrastrutture e Alta velocità (le invoca, da mesi, Renzi) e gli incentivi per gli investimenti.

Nelle more, forse nelle note a piè pagina, del documento di Conte ci sarà un “contentino” per Colao e il suo piano, ma nulla più. Il dossier della task force di Colao è già stato affondato, e da tutti: premier stesso, partiti, forze sociali. A Colao, però, per carità di patria, verrà riservato uno spazio lunedì 15, quando sarà il turno di far parlare le forze sociali, a partire dal segretario della Cgil, Maurizio Landini – che a ieri ancora aspettava l’invito – alle associazioni datoriali, da Confindustria in giù, dovrebbero intervenire martedì 16.
Infine, ovviamente, ci sarà sia il coté del “dibbattito” che piace tanto alla sinistra, con economisti di fama mondiale (sabato), sia la presenza di ad e/o presidenti delle principali realtà finanziarie ed industriali italiane, delle aziende partecipate statali (Eni, Enel, Leonardo, Fincantieri) e di imprenditori e archistar vari (Farinetti, Piano, Fuksas, ecc.).

I GIORNALISTI RESTANO FUORI DALLA PORTA, IL PAESE RINGHIA 

Ma la “dieci giorni” si svolgerà tutta a “porte chiuse” e quelli che, di sicuro, non sono stati invitati sono i giornalisti cui, forse, sarà riservata una conferenza stampa alla fine dell’intensa settimana di lavori della jam session. Conte dovrebbe graziosamente incontrarli, forzando la sua natura. Un po’ come re Luigi incontrava, senza alcuna gioia e con grande fastidio, quegli “straccioni” del Terzo Stato. I quali, però, alla fine, ne ottennero l’abdicazione. E, contro Conte, sono schierati, di fatto, non solo l’intero centrodestra, non solo umori popolari sempre più negativi e incattiviti (come si è visto nella “passeggiata” fuori Palazzo Chigi di Conte), non solo le forze sociali, ma pure i mass media del Paese. Un particolare di cui anche i partiti che ancora appoggiano, sempre più riluttanti, il governo, sanno tener debito conto.

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