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Gollismo in salsa Dc. I partiti di Conte e del Cav destinati a incontrarsi? La bussola di Rotondi

Di Gianfranco Rotondi

È bastato che il Giornale svelasse l’ipotesi di un partito di Giuseppe Conte perché i sondaggisti piombassero sul ghiotto boccone, sfornando una cifra quasi tonda sulle potenzialità del nuovo partito: quattordici per cento.

Del partito di Conte si parla da tempo, esattamente da quando il premier fu mio ospite ad Avellino per il centenario di Sullo: in quella occasione la Dc più blasonata d’Italia riconobbe a Conte un linguaggio e un profilo assai lontani dalla media pentastellata e quasi assimilabile ai grandi della Dc.

Di qui alla suggestione di Conte neo Dc il passo fu breve. In politica tutto sta nell’iniziare a parlare, e le cose verosimili pian piano diventano vere.

Diciamolo subito: il futuro di Conte non può che essere in politica. Ha dimostrato di saperla fare, e a quanto pare agli italiani non dispiace il suo profilo da presidente per caso che impara il mestiere di governare quasi assieme a loro.

Io auguro a Conte ogni bene, soprattutto perché il suo successo ora coincide con la tenuta del Paese. Non so dire però se nel suo futuro ci sia davvero una nuova Dc, e se di conseguenza le nostre strade saranno destinate a incrociarsi. Ad Avellino Conte disse una cosa molto importante, e cioè che le culture politiche sono importanti, e la sua è il cattolicesimo democratico.

Parole pesanti: le culture politiche, il cattolicesimo democratico. Altro che gli slogan da postare in 140 caratteri, Conte focalizza il tema del ritorno delle culture politiche. A ben vedere, dopo le elezioni politiche del 2018 sono tornati i partiti che c’erano prima della discesa in campo di Silvio Berlusconi. Nel 1993 Fini e la Lega occupavano la riva destra, e il Pds quella sinistra. La Dc resisteva al centro in forma di partito popolare al 14 per cento (guarda caso la cifra che i sondaggi assegnano al partito di Conte).

Oggi il quadro politico è sorprendentemente simile: a destra ci sono Salvini e la Meloni, eredi di Bossi e Fini; a sinistra il Pd rappresenta la continuità del Pci/Pds. Manca all’appello il Centro, la Dc.

Conte potrebbe colmare questo vuoto. Ma potrebbe farlo anche Berlusconi. È questo il punto: Silvio accetterà di consegnare a Salvini le spoglie di FI, definendo la sua esperienza politica come una lunghissima parentesi?

Molti parlamentari di FI sperano in questo epilogo: Silvio consegna trenta dirigenti a Salvini, e FI diventa una specie di corrente moderata della Lega.

Ma non andrà così. Intanto Salvini non sa che farsene di Forza Italia: gli basta saccheggiarne il residuo elettorato, e ci riesce abbastanza. Non a caso il capitano ha dato l’ok alla legge elettorale proporzionale, con conseguente fine del paracadute maggioritario per gli alleati minori.

E Berlusconi? La sua parabola politica può completarsi ancora nella fondazione di una sorta di gollismo italiano, erede a un tempo della Dc e di Forza Italia. Ci vorrebbero facce fresche, carismi nuovi, senza mortificare naturalmente il consiglio e l’esperienza di quanti – anch’io fra questi – sono rimasti accanto a Silvio in tutte le traversate nel deserto. Ciò detto, dobbiamo avere l’umiltà di riconoscere che per noi non è più il tempo della prima linea.

La sfida del proporzionale dà a Berlusconi la possibilità di un nuovo inizio. Questo gollismo in salsa democristiana sarebbe naturalmente in concorrenza col partito di Conte. O forse no, chissà: il premier non ha spigoli, e Silvio ama definirsi “concavo e convesso”.

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