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Se Di Maio impara l’arte della diplomazia. Dagli Esteri alla politica interna

Sin dall’inizio è stato selezionato perché il più talentuoso. Da vicepresidente della Camera a membro del primo gruppo di reggenza, da capo politico a candidato premier e infine da vice premier e doppio ministro a super ministro degli Esteri. La parabola politica di Luigi Di Maio è a prova di smentita per chiunque volesse denigrarlo come meteora della politica italiana.

Ha dimostrato capacità di tenuta e insieme grande velocità di pensiero (e di azione). Dove ha dimostrato maggiore intelligenza strategica è stato quando ha scelto di fare un passo indietro dalla guida (formale) del Movimento 5 Stelle. Una mossa che paradossalmente gli ha restituito centralità e ridotto l’esposizione alle polemiche. Altro passaggio decisivo è stato quando ha deciso di trasferirsi alla Farnesina. Il ministero degli esteri offre infatti una significativa visibilità interna e internazionale, consente di essere su tutti i dossier in posizione più prudente e con uno staff ministeriale molto qualificato.

La diplomazia è un’arte fondamentale in politica e siccome cambiare è segno di intelligenza, Di Maio – che pure non è mai stato un radicale – ha lasciato i panni dell’inquisitore grillino per indossare quelli più raffinati del tessitore politico. Diplomazia quindi con il gotha dell’economia, con l’establishment internazionale (dalla Cina agli Usa passando per la Francia) ma anche con i protagonisti della politica interna.

Da ultimo, ha fatto notizia un suo incontro con Matteo Renzi. C’è poco da essere stupiti. Luigi Di Maio ha da tempo ormai una comunicazione diretta con l’ex premier così come non ha mai smesso di dialogare con Salvini. Passione per i Matteo? Si, ma non solo. La sua linea telefonica è spesso impegnata con i vertici del Pd, da Nicola Zingaretti a Lorenzo Guerini. Dalla Farnesina viene tessa una tela ad ampio raggio e senza riflettori accesi.

Nessuno può dire dove porterà questo lavoro diplomatico di Di Maio e non sorprende che Conte tema questo attivismo. Se il premier pensa ad un suo partito (ipotesi peraltro da lui sempre smentita), il ministro degli Esteri rafforza la sua rete. Servirà a proteggerlo nella crisi o per avvolgere gli avversari (anche interni)? Intanto, la rete c’è. Ed è robusta.

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