Entro il 2023 l’Italia avrà altri sei F-35, i velivoli di quinta generazione richiesti a gran voce dalle Forze armate, utili a rinsaldare i rapporti transatlantici e a dare lavoro al comparto industriale nazionale, dai big alle Pmi.
IL CONTRATTO
Il Pentagono ha assegnato a Lockheed Martin un contratto da 368 milioni di dollari per sei F-35 destinati all’Italia, cinque in versione A (a decollo e atterraggio convenzionale), e uno in versione B (decollo corto e atterraggio verticale). Autorizza anche il “common capability scope” affinché sia coinvolto nella lavorazione la linea di assemblaggio e verifica finale di Cameri, in provincia di Novara, alla testa dell’ampia filiera italiana che partecipa al programma F-35 (nel 2019 il programma è valso 63 milioni di euro di export per le aziende della Penisola, in crescita rispetto ai 20 del 2018). Il contratto copre i relativi equipaggiamenti, ma probabilmente non le parti di ricambio e la manutenzione, ragion per cui il prezzo unitario appare molto basso rispetto al previsto.
I LOTTI PRODUTTIVI…
C’è comunque da considerare la discesa rapida dei costi registrata negli ultimi anni. I sei velivoli destinati all’Italia rientrano nel lotto produttivo numero 14, su cui Lockheed Martin e Pentagono si sono accordati lo scorso ottobre, insieme ai lotti 12 e 13. In tutto, l’accordo ha riguardato 478 velivoli per 34 miliardi di dollari, comprendenti 291 velivoli per le Forze armate Usa, 127 per i partner internazionali (tra cui l’Italia) e 60 per Paesi clienti che acquistano il Joint Strike Fighter attraverso la formula del Foreign military sales.
… E LA DISCESA DEI COSTI
L’accordo di ottobre certificava la riduzione dei costi, con il raggiungimento in anticipo di un anno dell’obiettivo di scendere al di sotto degli 80 milioni per un F-35 in versione convenzionale (A), prezzo inferiore a molti velivoli di quarta generazione. Nel corso del 2019, Lockheed Martin ha consegnato 134 velivoli, superando il target di 131 fissato a inizio anno e registrando un aumento del 47% sul 2018 e del 200% sul 2016. Per l’Italia, gli impegni fino al lotto 14 sono precisati nel Documento programmatico pluriennale (Dpp 2019-2021) della Difesa, dove si legge il programma d’acquisto di 28 velivoli totali fino al 2022. In questi numeri rientrano i sei velivoli contrattualizzati con Lockheed Martin.
IL DIBATTITO ITALIANO
La discesa dei costi e la partecipazione del comparto italiano al programma non ha placato le consuete polemiche politiche intorno al programma. Lo scorso novembre, il nodo F-35 era venuto al pettine della maggioranza giallo-rossa, con una mozione alla Camera presentata dalla Lega (poi bocciata) che puntava a vincolare l’esecutivo alla conferma degli impegni presi su un totale di 90 velivoli. Il dibattito è terminato allora con l’approvazione di una mozione di maggioranza (con il parere positivo del governo) per “valutare nel tempo il programma”. Oltre le formule lessicali, rappresentava il compromesso tra le forze di maggioranza, con la scomparsa dei termini “rinegoziazione” e “rimodulazione”, a favore di una sostanziale conferma degli impegni accompagnata da un atteggiamento più valutativo.
IL RUOLO DI CAMERI
Quel dibattito lanciò però un altro messaggio importante: la centralità, oltre le esigenze operative delle Forze armate, delle ricadute industriali del programma, a partire dallo stabilimento novarese di Cameri fino a tutta la filiera coinvolta. A Montecitorio, lo scorso novembre, il terzo punto della mozione di maggioranza è stato votato anche dall’opposizione, ricevendo 477 voti favorevoli su 482 votanti. Cosa diceva? Di valorizzare gli investimenti fatti a Cameri e di “allargare ulteriormente gli ambiti di cooperazione internazionale nel campo aerospaziale e della difesa, al fine di massimizzare i ritorni economici, occupazionali e tecnologici del distretto”. A leggere il contratto assegnato a Lockheed Martin dal dipartimento della Difesa Usa la linea sembra confermata. Il 28% del lavoro per i sei F-35 sarà realizzato a Cameri.
LA PUNTATA RECENTE…
Nonostante la presa di posizione del ministro Lorenzo Guerini da diversi mesi (anche sui lotti successivi al 14, dal 2023 in poi), il dibattito è tornato ad accendersi ad aprile, con l’interrogazione rivolta al titolare di palazzo Baracchini dal capogruppo del M5S in commissione Esteri a palazzo Madama, di Gianluca Ferrara e firmata da una cinquantina di compagni di partito. Si chiedeva di sospendere il programma per un anno e di rivalutarlo nel suo complesso così da destinare più risorse alla sanità. A bloccare la richiesta è intervenuto compatto il Pd (e Italia Viva con Laura Garavini), pronto a difendere la scelta strategica per le relazioni transatlantiche, l’operatività delle Forze armate e i ritorni per l’industria. Linea ribadita su queste colonne dal ministro Guerini.
…E GLI IMPEGNI OPERATIVI
Nel frattempo, sei velivoli F-35 del 32esimo Stormo dell’Aeronautica italiana sono tornati da qualche giorno in Islanda. Dalla base di Reykjavík, garantiranno la difesa aerea islandese per due mesi dopo l’apprezzato impegno dello scorso autunno, sempre nell’ambito dei compiti di Air policing della Nato. Il precedente impegno islandese fu contraddistinto dall’ennesimo primato per l’Arma azzurra nel programma Joint Strike Fighter (dopo la prima capacità operativa iniziale in Europa e la prima integrazione per la Difesa aerea nazionali). In quell’occasione, gli F-35 italiani furono infatti i primi assetti di quinta generazione a partecipare a una missione Nato, ottenendo per primi la certificazione alla piena capacità operativa dal team di valutatori del Combined air operations centre (Caoc) di Uedem, in Germania. In circa due settimane di attività, i velivoli italiani realizzarono venti scramble addestrativi (i cosiddetti Tango Scramble) raggiungendo quota 150 ore volate, tutte con un grado di efficienza vicino al 100%.