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Gli F-35 italiani tornano a volare sull’Islanda. Ecco perché

Sei velivoli F-35 italiani sono in Islanda e, con le dovute precauzioni da Covid-19, vi resteranno per circa due mesi con l’obiettivo di garantire a Reykjavík la difesa aerea. Dopo l’apprezzato impegno dello scorso anno, i velivoli di quinta generazione del 32esimo Stormo di Amendola dell’Aeronautica militare sono tornati nell’isola nord europea. Con l’alzabandiera solenne nella base di Keflavik, domenica scorsa è iniziata ufficialmente la missione Northern Lightning II, nell’ambito dei compiti di Air policing della Nato.

IL PRIMATO ITALIANO

L’impegno segue quello dello scorso autunno, contraddistinto dall’ennesimo primato per l’Arma azzurra nel programma Joint Strike Fighter (dopo la prima capacità operativa iniziale in Europa e la prima integrazione per la Difesa aerea nazionali). In quell’occasione, gli F-35 italiani furono i primi assetti di quinta generazione a partecipare a una missione Nato, ottenendo per primi la certificazione alla piena capacità operativa dal team di valutatori del Combined air operations centre (Caoc) di Uedem, in Germania. In circa due settimane di attività, i velivoli italiani realizzarono venti scramble addestrativi (i cosiddetti Tango Scramble) raggiungendo quota 150 ore volate, tutte con un grado di efficienza vicino al 100%.

IL VALORE STRATEGICO

Oltre gli aspetti strettamente operativi, l’impegno valse all’Italia qualche punto in più ai tavoli dell’Alleanza Atlantica. Negli incontri che seguirono la missione in Islanda, compreso il delicato vertice a Londra di dicembre, i vertici Nato (dal segretario generale Jens Stoltenberg) e diversi alleati citarono a più riprese l’importante obiettivo raggiunto dal nostro Paese. È stata la conferma di quanto gli impegni operativi possano rappresentare credenziali importanti a livello diplomatico e strategico. Soprattutto per un Paese che fatica sul lato del “cash” (il famoso 2% del Pil da dedicare alla Difesa), l’aspetto del “contribution” (unito alle “capability”) appare determinante per poter presentare agli alleati anche i propri interessi.

IL RITORNO IN ISLANDA

Sull’esperienza di ottobre si basa il ritorno in Islanda, questa volta per un periodo più lungo. Come per il precedente impegno, i velivoli di quinta generazione sono assegnati alla Task Force Air 32nd Wing, al comando del colonnello Michele Cesario e alle dirette dipendenze del Comando operativo di vertice interforze (Coi) guidato dal generale Luciano Portalano. Vi fanno parte il gruppo volo (Task group), il personale tecnico e logistico e il team di controllori della difesa aerea, che opereranno in coordinamento con la Guardia costiera irlandese. Assicureranno le funzioni di sorveglianza e identificazione, fino al controllo degli intercettori chiamati ad eventuali attività di scramble, tutte capacità di cui Reykjavík è sprovvista.

LO SFORZO LOGISTICO

Il tutto rientra nell’attività di Air policing, termine con cui si indica la difesa aerea in tempo di pace, operazioni a cui l’Aeronautica militare italiana, oggi guidata dal generale Alberto Rosso, contribuisce sin dal primo impiego in Slovenia nel 2004. Notevole lo sforzo logistico messo in piedi per il rischieramento dalla Forza armata, per lo più ai tempi del Covid-19. Sono stati coinvolti la 46esima Brigata aerea di Pisa e il 14esimo Stormo di Pratica di Mare, rispettivamente con i vettori C-130J e KC-767. Ha partecipato al dispiegamento anche il personale dei reparti dipendenti dalla terza divisione del Comando logistico, chiamato ad assicurare i sistemi di telecomunicazioni e assistenza al volo.

L’IMPATTO DELLA PANDEMIA

Un attività corposa, che ha richiesto un’attenzione particolare per via dei rischi connessi alla pandemia. Per questo, ha spiegato l’Aeronautica militare, “tutti gli uomini e le donne impiegati sono stati sottoposti ad un adeguato screening sanitario prima dell’immissione in teatro operativo, effettuando inoltre un periodo di isolamento cautelativo sia in Italia che in Islanda”. Nonostante tali accortezze, aggiunge la Forze armate, “il protocollo sanitario non ha condizionato l’operatività della Task force che, sin dal primo giorno del rischieramento, ha svolto le attività di predisposizione tecnica e logistica per l’avvio della missione”.

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