Man mano che emerge un ordine globale post Covid-19, la frammentazione domina sempre più il panorama geopolitico. La spaccatura fra Cina e Stati Uniti si espande in modo esponenziale mentre il Partito comunista cinese si confronta con l’influenza globale degli Stati Uniti e i vicini asiatici, sfruttando rapidamente le debolezze in Europa e in gran parte dei Paesi in via di sviluppo.
Nonostante il triplice assalto — crisi di sanità pubblica, paralisi economica vicina e tensioni razziali in rapido aumento — il forte consenso bipartisan al Congresso negli Stati Uniti contro la Cina resisterà a qualsiasi potenziale cambiamento dell’amministrazione presidenziale o della leadership alle Camere dopo le elezioni del 2020 e oltre. Inoltre, questo sentimento sarà sempre più sostenuto da un ampio consenso popolare e giustificato dall’establishment della politica estera americana.
Sotto la guida del presidente Xi Xinping, il Partito comunista cinese rafforza in modo aggressivo la percezione dell’unità nazionale in patria e all’estero. Ciò è stato recentemente sottolineato durante la riunione parlamentare annuale. Oltre a reprimere qualsiasi dissenso domestico con un pugno di ferro, il Partito comunista cinese ha esercitato attivamente un’enorme pressione diplomatica ed economica su ogni critica estera. Come avvertimento per gli altri, la Cina ha recentemente imposto dazi punitivi sull’Australia che aveva guidato con successo gli sforzi per un voto di maggioranza presso l’Organizzazione mondiale della sanità per un’inchiesta internazionale sulle origini e la risposta globale al Covid-19. Fondamentalmente, la Cina vuole che l’Australia e le altre nazioni del Pacifico riconoscano la supremazia regionale della Cina in parole e azioni. Tuttavia, il pushback regionale è in aumento. Il Vietnam, la Malesia e l’Indonesia continuano a esercitare pressioni sulle rivendicazioni cinesi nella Cina meridionale, così come il Giappone nel Mar Cinese orientale. L’Australia mantiene costantemente la sua posizione contro la Cina su più fronti.
Pur vantando la più grande democrazia del mondo, l’India non ha ancora realizzato il suo vero potenziale in patria o all’estero. Le sfide interne continuano a ostacolarne l’evoluzione. Le sue prospettive e ricadute economiche del Covid-19 appaiono cupe. A livello regionale, l’India è costantemente oscurata dalla rapida crescita e dall’influenza della Cina sulla porta di casa e anche sull’Asia-Pacifico. Nella nuova geopolitica, l’India necessità di una seria correzione di rotta. Deve migliorare la sua diplomazia e accelerare il suo impegno e l’integrazione regionale. In alternativa, rischia, alla meglio, nel lungo periodo uno status di seconda potenza nella regione con portata globale limitata. Gli accordi militari India-Australia firmati di recente sono stati un primo passo importante nella giusta direzione, volti in gran parte a contrastare il rapido espansionismo regionale della Cina. Tuttavia, nel complesso l’India rimane notevolmente indietro nell’assumersi il proprio ruolo nella storica rivalità con la Cina.
Nel nuovo paradigma geopolitico, la pandemia di Covid-19 presenta chiaramente all’Unione europea la sua più grande crisi esistenziale dalle sue origini, nel 1957 (cioè dell’istituzione della Comunità economica europea). Più che mai, le sue debolezze e divisioni interne rappresentano occasioni di massimo sfruttamento da parte della Cina e di altri attori globali. L’unità europea è richiesta dal basso verso l’alto e dall’alto verso il basso per garantire la sopravvivenza dell’unione. Stando a un recente rapporto dell’Unione europea sulla disinformazione durante pandemia, la pressione cinese è riuscita a far cadere le accuse verso Pechino di star conducendo una “campagna di disinformazione globale per deviare la colpa” sulla diffusione del virus. Ulteriori interferenze e manipolazioni della sfida interna dell’Europa sono facilmente prevedibili nel prossimo futuro.
Nell’ordine mondiale post Covid, la Russia continuerà a perseguire in modo aggressivo la propria agenda politica globale indipendente, nonostante spesso si schieri con la Cina al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite alla luce di determinati interessi convergenti. Nel complesso, la Russia punta a evitare di avere un ruolo subordinato alla Cina o alla dipendenza all’Occidente e di diventare una carta geopolitica tra le due parti. Sebbene priva della schiacciante potenza di fuoco economica, le vaste risorse naturali della Russia, l’arsenale nucleare e la volontà di proiettare il potere militare all’estero — in Siria, in Libia, nei vicini o in regioni ex sovietiche — continueranno a garantirgli un posto al tavolo delle Grandi potenze. Inoltre, nonostante il forte calo globale del prezzo del petrolio e le conseguenze del Covid-19, il presidente Vladimir Putin è determinato a mantenere il controllo a tutti i costi. I cambiamenti costituzionali proposti potrebbero mantenere lui — o qualche suoi fedelissimo — al potere fino al 2036.
Fino a questo momento, la Turchia si è sottratta alle peggiori aspettative sul Covid-19. Continuerà a riaffermare la sua influenza sfidando spesso altre grandi potenze, in particolare negli ex domini ottomani nei pressi dei suoi confini. Che si tratti di trivellazione petrolifere nelle acque contese nel Mediterraneo orientale, di impegnarsi in conflitti quasi diretti con la Russia in Libia o in Siria, o di lottare per avere influenza contro l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti nella regione del Golfo o nel Medio Oriente. Nella nuova geopolitica, la Turchia farà sempre più strada, nonostante l’appartenenza alla Nato. Non esiterà a mostrare i muscoli ogni qualvolta possibile e necessario, in quanto attore regionale determinato in un crocevia strategico globale.
Dopo anni a perseguire ambiziose espansioni regionali e guerre per procura, l’Iran ha superato il limite. Le paralizzanti sanzioni statunitensi e le ricadute economiche del Covid-19 freneranno, ma non completamente, l’agenda regionale dell’Iran. Rimarrà una potenza regionale da non sottovalutare. Si avvicinerà sempre più alla Cina e continuerà a sfidare la presenza americana e i suoi alleati in Medio Oriente.
La pandemia di Covid aggraverà ulteriormente le difficoltà facendo calare per la prima volta in oltre 60 anni i mercati emergenti e costringendo milioni di persone alla povertà estrema. Da sola, l’America Latina subirà il calo più marcato: 7,2 per cento del Prodotto interno lordo. Con il terzo tasso di mortalità Covid più alto del mondo, il Brasile rimane impantanato in una crisi costituzionale che ha condotto presidente, congresso e magistratura a un punto morto La politica interna mantiene il Brasile in gran parte confinato nella sua storica posizione di mediocrità quasi perpetua e con uno status secondario, nella regione e oltre.
In Messico, il crollo del prezzo del petrolio ha fatto crescere il bilancio mentre i suoi alti numeri di Covid-19 attualmente minacciano le catene di approvvigionamento degli Stati Uniti. Tuttavia, il Messico trarrà beneficio a lungo termine dal momento che le società statunitensi si allontanano sempre più dalla Cina. Inoltre, il suo accordo di libero scambio rinegoziato con gli Stati Uniti e il Canada lo proteggerà ampiamente da qualsiasi retorica o azione protezionistica durante o dopo le imminenti elezioni statunitensi.
Nel nuovo paradigma geopolitico, molti attori regionali nei Paesi in via di sviluppo, in particolare in Africa, rimangono pronti per lo sfruttamento interno ed esterno. Corruzione dilagante, cattiva gestione economica, inettitudine politica e disuguaglianze estreme ostacolano il raggiungimento del pieno potenziale. Qualsiasi crescita reale è spesso marginale nella migliore delle ipotesi. L’incapacità generale di molte potenze regionali, come il Sudafrica e la Nigeria, di fornire una leadership significativa in patria o nel vicinato, ha creato vuoti di potere abilmente riempiti dalla Cina negli ultimi due decenni. Come per molte altre tendenze, le ricadute del Covid-19 possono solo accelerare questo processo.