“Dopo i terrapiattisti e i gilet arancioni di Pappalardo, pensavo di aver visto tutto. Ma ecco l’assemblea costituente delle anime del Movimento. Ci sono persone che hanno il senso del tempo come nel film Il giorno della marmotta!” è il post, lapidario quanto velenoso, lanciato oggi su Twitter dal fondatore e grande saggio del M5S, Beppe Grillo.
Parole dure – e, di fatto, a difesa a spada tratta di Conte e del suo governo – che vanno a controbattere a quelle del descamisado Alessandro Di Battista. Il quale, intervistato da Lucia Annunziata nel corso della trasmissione di Rai 3, In mezz’ora, oltre a picconare Conte e il governo M5s-Pd, proprio quello aveva chiesto: “un’assemblea costituente”.
“Il M5S- sostiene Dibba, storico competitor di Di Maio – deve organizzare un congresso, un’assemblea costituente. Chiedo formalmente – ha aggiunto l’esponente dei 5 Stelle – il prima possibile un’assemblea in cui tutte le anime possano costruire una loro agenda e vedremo chi vincerà”. Parole cui, a stretto giro, ha replicato Grillo in malo modo.
DI BATTISTA “SI FIDA” DI CONTE MA PICCONA IL SUO GOVERNO
L’esponente M5s – oggi in teoria “fuori” da tutto, cioè non solo dal Parlamento, ma anche dai vertici del Movimento – pur mettendo le mani avanti (“Conte non deve temere colpi bassi da parte mia”) – aveva attaccato il governo a testa bassa e su vari fronti (Mes, Regeni e ponte sullo Stretto), pronosticato, da vera Cassandra del malaugurio, una “situazione economica e sociale, in autunno, peggiore di quella del 2012, quando Grillo era riuscito a incanalare la rabbia sociale”. E poi, appunto, chiesto il congresso del M5s, aggiungendo, perfido, che se Conte volesse davvero guidare il Movimento, dovrebbe presentarsi: “Se Conte vuole guidare il M5S si deve iscrivere al M5S e al prossimo congresso, chiamiamolo così, deve farsi eleggere”. Insomma, una sfida vera e propria, dentro il Movimento, scoppiata per il suo controllo presente e, soprattutto, futuro, ma anche un ‘segnale’ di sfida lanciato al premier Conte, accreditato di cifre sempre più lusinghiere, nei sondaggi.
Que pasa, ormai da settimane, dentro il Movimento? Innanzitutto, dato che la Politica è una scienza esatta e dato che, in absentia di elezioni politiche generali, esistono i sondaggi, sono state due rilevazioni demoscopiche a mettere a soqquadro la scena politica italiana e, in particolar modo, quel mare magno in gurgure vasto, cioè in tempesta, che risponde al nome di Movimento 5Stelle. Il primo sondaggio è “vecchio”, nel senso che è di una settimana fa, il secondo invece è fresco fresco, cioè è stato sfornato oggi.
I SONDAGGI CHE TERREMOTANO IL GOVERNO (E I 5 STELLE): IL “PARTITO DI CONTE” E CONTE “CAPO” DEL MOVIMENTO
Se Giuseppe Conte fosse il leader del Movimento 5 Stelle, per i grillini la cosa significherebbe un aumento dell’elettorato potenziale dall’attuale 19,8% al 29,9%. Insomma, l’M5S guadagnerebbe 10 punti in un colpo solo, rivela l’ultimo sondaggio di Nando Pagnoncelli (Ipsos) pubblicato oggi per il Corriere della Sera. “Senza” Conte, invece, il partito di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia, vola al 17,5% e supera l’M5s, fermo al 17,1% (alle Politiche prese il 32%, primo partito in Parlamento), mentre primo partito si conferma la Lega al 23,5%, seguito dal Pd al 21,3%.
Sempre secondo Ipsos, inoltre, un eventuale partito del premier si attesterebbe al 14,1% collocandosi al quarto posto dopo la Lega (23,2%), Fratelli d’Italia (16,6%), Pd (che scenderebbe al 15,8%) e davanti al M5S (12,7%).
Un movimento con a capo Conte prenderebbe i voti in larga misura (62%) da M5S, Pd e resto del centrosinistra, in subordine dall’astensione (20%), quindi dal centrodestra e da altre liste minori (18%). Insomma, per i partiti ‘reali’ e il loro tradizionale assetto, una vera e propria catastrofe.
Ma il campanello d’allarme era già suonato una settimana fa. Un sondaggio di Emg-Acqua per Agorà (Rai 3) testava, per la prima volta, un possibile partito guidato da Giuseppe Conte e lo quotava al 15 %, con conseguente prosciugamento sia del Pd (al 15%, cioè -5 punti) e del M5S (sempre -5 punti, ma con gli stellati finiti al 10%).
E così, nonostante le ripetute smentite ufficiali e ufficiose del premier (“Io fare un partito? Non ci penso proprio!”), già quel sondaggio aveva provocato, dentro la maggioranza e, dunque, dentro il governo, vari sommovimenti tellurici.
I 5 STELLE ERANO GIÀ ANDATI, E SUBITO, IN FIBRILLAZIONE. A GETTAR BENZINA SUL FUOCO LO SCONTRO SUL “DOPPIO MANDATO”
A partire da quel giorno, e a maggior ragione oggi, i 5Stelle hanno iniziato a guardare il premier con occhio sempre più torvo a tal punto che i ‘contiani’ pentastellati vengono apertamente boicottati e malvisti, dentro il Movimento. Inoltre, dentro i 5 Stelle, è iniziato il tormentone sulla necessità di ‘derogare’ o meno alla regola del doppio mandato. Quella regola – più che altro una tavola della legge – fissata ab origine, nella storia del Movimento, dai suoi due padri fondatori, Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio che prevede che, qualsiasi candidatura nel M5s e a qualsiasi livello (consigli comunali, regionali, Camere), non possa superare il “tetto” dei due mandati consecutivi (dieci anni). Il figlio di Gianroberto, Davide Casaleggio jr, ha ribadito – a chi sperava potesse saltare – tutta la sua, ostinata e caparbia contrarietà: “Come diceva mio padre, se fai delle eccezioni a un regola, non esiste più la regola”.
Una doccia gelata per molti big e tanti peones pentastellati. La regola, infatti, proprio in questa fase di ‘torbidi’, per un Movimento che continua a perdere parlamentari come una barca che fa acqua da tutte le parti, ha provato a contestarla prima la sindaca di Roma, Virginia Raggi, che si vuole ricandidare alla guida del Campidoglio, ma che oltre a questa consiliatura, ne ha già fatta un’altra, in precedenza, come consigliere comunale. Stesso si pone per il sindaco di Torino, Chiara Appendino, ma anche e soprattutto per molti big presenti in Parlamento: da Roberto Fico fino a Luigi Di Maio e passando per quasi tutti i ministri, sottosegretari e parlamentari, non si potrebbero ricandidare.
A BRIGANTE, BRIGANTE E MEZZO. I 5 STELLE STANNO CERCANDO DI TOGLIERE A CASALEGGIO&CO LA GESTIONE DI ROUSSEAO
A dirla tutta, il “povero” Vito Crimi, teorico ‘reggente di un Movimento che sbanda e che lui proprio non riesce a governare, ci aveva provato – in vista degli Stati generali dei 5Stelle che, causa Covid19, sono slittati all’autunno e che dovrebbero strutturare politicamente il Movimento con l’elezione di un capo politico e di una segreteria – a proporre alcune eccezioni e deroghe alla Bibbia grillina, ma Casaleggio (e Grillo) da quell’orecchio non ci sentono.
Come contromossa, della serie a brigante, brigante e mezzo, i 5 Stelle “parlamentari” – come nella migliore tradizione dei partiti socialisti dell’Ottocento quando i gruppi parlamentari consumavano scissioni su scissioni contro la Direzione del partito per motivi nobili e meno nobili – hanno architettato un “piano” per togliere alla Casaleggio&associati la gestione della piattaforma Rousseau. Vero gioiello dell’associazione e, fin qua, anche del Movimento, la piattaforma Rousseau – cui deputati e senatori versano sempre più di controvoglia 300 euro al mese con i quali, in teoria, Casaleggio fornisce loro una lunga serie di “servizi”, servizi sempre più contestati e che, dicono, “servono a Davide per non pagare lui l’affitto” – è di proprietà della Casaleggio che, in questo modo, controlla il Movimento.
Il quale, per Statuto, cambiato due anni fa, prevede Casaleggio jr. e Di Maio come soci fondatori dell’Associazione M5s al posto dell’Associazione originaria fondata nel 2011 da Beppe Grillo che si tirò indietro un po’ stufo della politica e un po’ delle cause giudiziarie che piovevano, una via l’altra, sul suo capo. Titolare del dominio registrato, e del sito blogdellestelle.it, è Casaleggio, tramite l’Associazione Rousseau che ha sede in via Morrone 6 a Milano, cioè allo stesso indirizzo dove, fino alla fine del 2018, risiedeva l’azienda di famiglia, la Casaleggio&Associati. Secondo i “movimenti” e le trame in corso – di cui si dice che il primo ispiratore sia proprio Di Maio che punta a riprendersi la guida del Movimento – la piattaforma Rousseau dovrebbe diventare “solo” un supporto tecnico e i soldi dei parlamentari andrebbero direttamente al Movimento che, a quel punto, forse già diventato un partito vero e proprio (e, quindi, potendo accedere ai contributi statali, fino ad oggi esclusi o rifiutati) e potrebbe stipulare con la Casaleggio rapporti di appalto e di consulenza, ma riprendendosi la gestione della politica.
SE IL MOVIMENTO DIVENTA UN “PARTITO” PUÒ CAMBIARE TUTTO
Senza dire del fatto che, se il Movimento diventasse un vero e proprio “partito”, le decisioni che contano – eleggere nuovi parlamentari, stabilire nuove regole, appoggiare o meno un governo – le deciderebbero gli organi direttivi e non la “trimurti” composta da Grillo, Casaleggio, Di Maio. Insomma, chi ha “più filo e lana da tessere”, cioè più voti, imporrebbe la sua linea e sulle scelte politiche più cruciali. Insomma, se il “congresso” – gli Stati generali del M5s dovrebbero tenersi a Torino nel prossimo ottobre – lo vincesse Di Battista ci sarebbe da aspettarsi una rottura nella coalizione di governo e il “disarcionamento” di Conte, con relativa apertura di una crisi di governo dagli esiti, ad oggi, imprevedibili. Se nell’assise prevalesse la linea Fico, – cioè, di fatto, anche l’attuale linea di Beppe Grillo, diventato uno dei più grandi sponsor di Conte e del governo – il patto con il Pd e il sostegno a Conte resterebbero tali.
Se, invece, come è più probabile e lecito attendersi, a prevalere fosse la linea Di Maio potrebbe succedere sia che il governo Conte continui la sua navigazione perigliosa, più o meno in modo indenne, ma sia anche – anzi, forse, di più – che Di Maio organizzi una congiura di Palazzo per far cadere Conte e far nascere un nuovo governo con Pd e Iv. Non è infatti un caso che, proprio ieri, Franceschini abbia rotto un lungo silenzio non per “lodare” il premier, ma per dire che “la sintonia con Di Maio è totale” e che Renzi abbia ripreso a “sfottere” Di Battista(“Fidanzarmi in casa con Di Battista? Ma anche no!”), ma non certo Di Maio, con il quale, anzi, i suoi rapporti sono, oggi, più che ottimi. I tre caballeros Di Maio-Renzi-Franceschini potrebbero, si dice nei Palazzi, fare qualsiasi cosa: anche un governo del dopo-Conte e contro Conte per liberarsi di un pericoloso avversario, così forte ei sondaggi, in vista di elezioni future.