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Africa, diritti umani e corsa al vaccino. Parla la viceministra Del Re

L’Africa, i suoi rischi e le sue opportunità, gli sforzi italiani e internazionali, l’impegno per la difesa dei diritti umani e la sfida della cooperazione emersa dopo il caso che ha riguarda Silvia Aisha Romano. Ne ha parlato in una lunga intervista con Formiche.net Emanuela Del Re, viceministra  agli Affari esteri e cooperazione internazionale oltre che deputata del Movimento 5 stelle.

Viceministra, oggi l’Italia presiede assieme agli Stati Uniti una riunione virtuale dei 32 membri del Gruppo ristretto della Coalizione globale anti-Daesh. Lo Stato islamico sta risorgendo?

Negli ultimi due mesi lo Stato islamico ha incrementato i suoi attacchi in Siria e in Iraq. Destano preoccupazione le modalità degli attacchi condotti contro le forze regolari perché questo fa pensare a una ritrovata capacità di raccolta di informazioni da parte del gruppo. Il parziale ritiro americano dalla Siria così come la stagnazione politica in Iraq è un terreno fertile per consentire all’Isis di recuperare uno spazio di manovra, sfruttando così il vuoto di sicurezza. La riunione di oggi serve per fare il punto sullo stato delle attività della Coalizione e aggiornare la strategia di contrasto all’organizzazione terroristica – anche alla luce dell’emergenza sanitaria globale – in attesa di poter ospitare in Italia la plenaria, che sarà programmata non appena le circostanze lo consentiranno.

Oggi si parla di Iraq e Siria ma anche di Africa occidentale e Sahel. Qual è l’impostazione italiana?

L’Italia, coerentemente con il suo impegno multidimensionale nell’area, promuove un maggiore coinvolgimento della Coalizione in questo quadrante, in un’ottica di rafforzamento della sicurezza dell’intero bacino del Mediterraneo. Il Sahel rappresenta un’area di interesse strategico per l’Italia, un’area del mondo caratterizzata da un impetuoso sviluppo demografico, che si giova di una componente umana giovane ed entusiasta. 

Quali sono le sfide e le opportunità di quell’area?

Ci sono numerosi problemi che affliggono la regione tra cui le condizioni climatiche che sono e saranno in futuro determinanti: nella regione vi è il più alto numero di persone vittime del riscaldamento globale, che ha un enorme impatto sull’agricoltura, sull’allevamento. La mancanza di opzioni e la sopravvivenza a rischio offre un humus fertile per gruppi jihadisti che reclutano membri di comunità nomadiche che attraversano crisi economiche come i Tuareg, i Peul e i Dossak. Un altro problema serissimo è costituito dall’alto numero di sfollati sia interni sia trans-border causato dalla violenza organizzata e dai conflitti locali. 

Esistono soluzioni?

Dovremmo riuscire a creare opzioni alternative soprattutto per i giovani nella regione. L’Italia partecipa allo sforzo condiviso della comunità internazionale per rafforzare gli stati della regione nel settore della sicurezza, del capacity building civile e con iniziative di cooperazione allo sviluppo. Sul piano securitario nella regione proliferano purtroppo gruppi armati ribelli affiliati alle principali sigle terroristiche (Al Qaeda e Stato Islamico). In risposta a tali fenomeni, accanto alla tradizionale presenza militare francese e a quella più recente degli Usa, i Paesi della regione hanno costituito le coalizioni G5 Sahel, cui fanno capo forze militari congiunte cui è andato il sostegno della comunità internazionale. Operano in loco anche missioni di capacity building dell’Unione europea e dell’Onu che vedono anche una presenza italiana.

E l’Italia, invece?

L’Italia fornisce un contributo crescente alla stabilizzazione del Sahel con un approccio multidimensionale, che prevede un costante dialogo politico, accompagnato da un concreto sostegno sul piano della sicurezza e dello sviluppo sostenibile. Abbiamo aperto negli scorsi anni nuove ambasciate nell’area e altre seguiranno; abbiamo anche intensificato le visite in loco di nostri esponenti di governo. Sul piano della sicurezza, inoltre, abbiamo stabilito accordi di cooperazione nel settore della difesa con i principali paesi del Sahel e opera in Niger la missione bilaterale di supporto Misin per dare assistenza e supporto. Rafforzeremo il nostro impegno militare, in coordinamento con i nostri principali partner internazionali. Infine, nel corso di quest’anno l’Italia consoliderà l’impegno sul piano della cooperazione allo sviluppo e migratoria: nel biennio 2017-2019, la Cooperazione Italiana ha destinato ai paesi G5 Sahel risorse a dono complessive pari a circa 120 milioni di euro, cui si aggiungono i progetti finanziati nel Sahel attraverso il Fondo Migrazioni, del valore di circa 120 milioni di euro, destinati a rafforzare le capacità operative dei Paesi del G5 nella gestione del fenomeno migratorio. 

Il Sahel è fondamentale per l’Italia anche in chiave libica.

È il confine meridionale della Libia, e per tale ragione è per noi cruciale. Si tratta di un vasto territorio desertico privo di controlli, ciò che ha storicamente contribuito a rendere la vasta regione sudooccidentale libica del Fezzan il crocevia di un articolato sistema di traffici di esseri umani, stupefacenti, armi, sigarette, carburante. La porosità del confine libico con la regione saheliana ha contribuito all’immissione nelle dinamiche del conflitto militare di mercenari provenienti da paesi della regione inquadrati a sostegno di entrambi gli schieramenti. 

Come agire?

In prospettiva è necessario un ulteriore rafforzamento del profilo internazionale a sostegno della stabilizzazione del Sahel, nella direzione di un maggiore coordinamento. Si sta profilando l’istituzione di una Coalizione internazionale per il Sahel per facilitare il dialogo tra le varie strutture di sostegno al Sahel nei qauttro pilastri di intervento: contrasto militare al terrorismo, capacity building in materia di sicurezza, capacity building in materia civile, cooperazione allo sviluppo. È stato parimenti prospettato un maggior coinvolgimento della Coalizione anti Daesh e della Nato nel Sahel. L’Italia contribuisce attivamente alla riflessione internazionale in corso su questi temi.

Arriviamo dunque al Nord Africa. Parliamo di Libia. Dati i recenti sviluppi sul campo, quale strada intende percorre il governo italiano?

Credo che sul dossier libico sia necessario ragionare in ottica europea e non nazionale perché nessun Paese, da solo, può risolvere la complessità della crisi libica. L’escalation degli ultimi giorni impone un maggiore sforzo da parte dei paesi dell’Unione europea nel sostenere, attraverso adeguati assetti, l’Operazione Eunavfor Med Irini, a comando italiano. Una operazione che presenta vari assetti, che deve attuarsi sul piano navale ma anche aereo per garantire la neutralità dell’intervento. La crisi libica e la stabilizzazione dell’area devono essere una priorità dell’Europa e un’area di attenzione anche per il fianco Sud della Nato. In questa cornice si colloca l’azione dell’Italia. Nell’ambito della Conferenza di Berlino sulla Libia l’Italia si è fatta attiva promotrice della valorizzazione del ruolo dei Paesi vicini della Libia, più direttamente esposti alle conseguenze dell’instabilità libica, attraverso una loro partecipazione attiva nei processi internazionali, a partire dal Processo di Berlino e dai suoi meccanismi di attuazione. 

Oggi giugno anche si tiene il summit del Gavi, la coalizione globale per i vaccini e l’immunizzazione, che vede il Regno Unito tra i principali contributi. L’Italia si è impegnata recentemente con uno stanziamento di 120 milioni di euro per il quinquennio 2021-2025. Anche pensando al coronavirus, come si possono unire l’universalità e l’equità del vaccino?

Quella del coronavirus è una crisi globale di proporzioni e con modalità inedite, che necessita di una risposta globale e coordinata. L’Italia ha promosso a tutti i livelli — in particolare in ambito Onu, G20, G7 e nell’Unione europea — la costruzione di una strategia globale, concertata, multilaterale e multi-dimensionale per fronteggiare tale crisi, anche per sostenere i Paesi con sistemi sanitari particolarmente fragili. Gli effetti negativi di questa crisi potrebbero essere non solo sulla salute ma anche sulla sicurezza alimentare, sul benessere e prosperità delle popolazioni e in ultima analisi sulla sicurezza e stabilità di questi Paesi. Anche per questo motivo, l’Italia è stato il primo Paese — con ferma volontà in primis del ministro Luigi Di Maio — a promuovere apertamente la costituzione di un’alleanza internazionale per il vaccino Covid-19, per accelerare la ricerca, lo sviluppo e l’equa distribuzione di un vaccino e la risposta sanitaria e multi-dimensionale alla pandemia. Il tutto con un convinto approccio multilaterale mettendo a disposizione risorse multilaterali in favore della Coalizione Cepi sulla ricerca del vaccino, dell’Alleanza Gavi sulla sua equa distribuzione e sull’immunizzazione globale e dell’Oms per il sostegno ai Paesi più fragili. Inoltre, l’Italia sta promuovendo una iniziativa innovativa in ambito Fao, la costituzione di una Food Coalition, un meccanismo multilaterale e multisettoriale che mira a creare una rete di solidarietà internazionale per rispondere alle nuove criticità emerse con la pandemia sul sistema di approvvigionamento alimentare, rafforzando la lotta contro la fame e la malnutrizione. 

E in vista del G20 del 2021 che l’Italia presidierà? 

Il nostro Paese assicurerà il massimo impegno nella risposta agli effetti di lungo termine della pandemia. Come ha scritto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte in una recente lettera aperta congiunta con altri quattro capi di Stato e di governo: “La posta in gioco è alta per tutti: nessuno è immune, nessuno può sconfiggere il virus da solo e nessuno sarà davvero al sicuro finché non lo saremo tutti, in ogni quartiere, in ogni città, in ogni regione, in ogni Paese del mondo. In questo mondo cosi interconnesso, la forza del sistema sanitario globale è pari a quella del suo anello più debole. Per proteggere ciascuno di noi, dobbiamo proteggerci a vicenda”.

Esistono i rischi del continente africano legati alla pandemia di Covid-19? A quali contromisure sta lavorando la Farnesina.

Nonostante i rischi e le preoccupazioni che suscita l’impatto del Covid-19 in Africa, va detto che alcuni Paesi stanno rispondendo in modo efficace. Penso al Senegal che ora sta sviluppando un kit per effettuare il test per il Covid-19 che potrebbe costare 1 dollaro a paziente. O al Ghana, che ha sviluppato un innovativo sistema di tracciamento, oggi allo studio dell’Organizzazione mondiale della sanità. 

Il maggiore problema in Africa sembrano essere gli effetti collaterali, giusto? 

Sì, come quelli legati all’interruzione delle catene alimentari che secondo diversi studi potrebbe portare a una grande carestia nel futuro prossimo. Inoltre, i sistemi sanitari di numerosi Paesi africani sono fragili, e si sovraccaricano per questa pandemia: il rischio che ne deriva è di non poter seguire adeguatamente altre patologie che in Africa mietono costantemente vittime. Covid-19, shock nel mercato petrolifero, questioni ambientali molto serie: è evidente che siamo di fronte a una profonda instabilità sistemica che richiede risposte strutturali molto serie, con prospettiva a breve, medio e lungo termine. 

È un dovere occidentale intervenire secondo lei?

Non v’è dubbio che si debba intervenire in Africa perché è la frontiera principale della lotta globale al coronavirus. È nostro interesse. Per fortuna l’attenzione nei confronti del continente è aumentata, con programmi di intervento articolati anche da parte dell’Ue, per esempio, cui partecipa attivamente l’Italia, che è sempre in prima linea di fronte a queste sfide. La nostra azione diplomatica nei consessi globali in favore di una risposta globale al Covid-19 continua su tutti i fronti, anche giovandosi di un tavolo operativo nazionale che sarà convocato a breve.

Dopo il caso di Silvia Aisha Romano. Pensa sia necessario una riforma del sistema della cooperazione per garantire nuovi standard di sicurezza?

La vicenda di Silvia Romano ha portato nuovamente all’attenzione dell’opinione pubblica il tema della sicurezza dei nostri cooperanti all’estero. Il tema è stato sempre curato con il massimo impegno dalla Farnesina ed è stato molte volte oggetto di dialogo tra le Osc e l’Unità di Crisi del ministero, sviluppatosi particolarmente negli ultimi anni. Il contesto attuale, caratterizzato da grande complessità, richiede certamente una più generalizzata presa di coscienza dei rischi. Il problema sicurezza va affrontato dotandosi di regole precise, anche attraverso la formazione degli operatori, e va vissuto e interpretato nella diversità delle realtà in cui ci si trova. L’osservanza delle regole e la maggiore attenzione non possono assicurare l’incolumità, ma sono validi strumenti per minimizzare i rischi.

Ma esistono Osc non sono iscritte nell’elenco delle idonee che operano egualmente sul terreno senza rapporti con la cooperazione italiana. Come fare in questi casi?

Va stabilito un contatto più informato con queste realtà, se possibile avviando percorsi preventivi di sensibilizzazione sui rischi nonché di formazione.

Lei ha fatto più volte riferimento alla prospettiva multilaterale. Un tema diventato se possibile ancora più urgente in questa fase è quello dei diritti umani. In che modo l’Italia è impegnata nella loro difesa? 

L’azione italiana a tutela dei diritti umani nel mondo si concentra da anni su alcune battaglie simbolo che vanno dalla moratoria universale della pena di morte alla promozione dei diritti delle donne e delle bambine (incluse le campagne contro le mutilazioni genitali femminili e i matrimoni precoci e forzati). Si tratta dei temi cardine del nostro mandato nel Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu 2019-2021: dalla tutela della libertà di religione e credo e dei diritti degli appartenenti alle minoranze religiose alla lotta contro il traffico di esseri umani; dalla protezione del patrimonio culturale contro ogni oscurantismo alla lotta contro il razzismo, la xenofobia e tutte le forme di intolleranza, antisemitismo; discriminazioni, incluse quelle basate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere. Battaglie che il nostro Paese conduce da tempo, che sono perdurate nonostante i cambi di governo. Come tali fanno parte del nostro bagaglio identitario nazionale, forti della consapevolezza che la promozione nel mondo dei nostri valori costituzionali e civili costituisce un preciso interesse nazionale oltreché un imperativo etico.

Promuoverli è l’obiettivo e l’imperativo, ma in che modo? 

Attraverso un pieno e convinto ancoraggio dell’Italia a un multilateralismo efficace. Più l’Italia partecipa ai fori multilaterali, maggiore è la nostra possibilità di incidere nelle dinamiche globali. Non vi è contraddizione, tutt’altro, tra perseguimento dell’interesse nazionale e multilateralismo. Le più difficili crisi del mondo si risolvono solo se vi è coordinamento e cooperazione tra Stati, in seno alle organizzazioni multilaterali. La Pandemia da Covid-19 lo sta drammaticamente confermando. Se vi sono delle deficienze o ritardi nella risposta delle organizzazioni internazionali, queste sono perlopiù da addebitare agli stati membri che ne fanno parte, e non alle istituzioni multilaterali in sé.  



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