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Così l’Italia può tornare a contare. La ricetta del generale Cucchi

Intorno a noi stanno succedendo da anni avvenimenti che dovrebbero da tempo averci convinto non soltanto che la Seconda guerra mondiale e poi la Guerra fredda siano da tempo finite, ma anche come sia definitivamente terminato l’ordine mondiale che da tali conflitti aveva avuto origine, nonché ovviamente anche le regole che lo governavano e reggevano.

Per non parlare poi delle mutazioni subite dai maggiori protagonisti: dagli Stati Uniti, attivamente impegnati a rifugiarsi di nuovo in un guscio di non interventismo, alla Cina, proiettata verso un tumultuoso percorso di conquista della leadership mondiale, fino alla Russia, che nonostante l’efficace recupero di Vladimir Putin rimane soltanto l’ombra dell’Urss di un tempo, e all’Unione europea, speranza probabilmente condannata a non trasformarsi mai in compiuta realtà da Francia e Regno Unito, aggrappate ad una poltrona con diritto di veto del Consiglio di Sicurezza che nulla più giustifica, al gruppo dei Brics, di andamento alquanto altalenante.

Per tacere poi di tutte le potenze regionali che stanno emergendo e approfittando dell’assenza di un tutore severo che impedisca loro di cercare di utilizzare a proprio beneficio qualsiasi vuoto di potere che si verifichi in una area di loro interesse. E pazienza se ciò comporterà sofferenze e tempi difficili per parecchi dei loro vicini.

In mezzo a questo ciclone che sta coinvolgendo con i suoi effetti l’intera periferia dell’Europa – dalla frontiera Ucraina all’area mediterranea allargata – noi rimaniamo invece assolutamente immobili, ancorati sul piano internazionale a una Alleanza Atlantica che, pur rivelandosi ancora indispensabile ed insostituibile, andrebbe comunque seriamente ridiscussa, per non dire radicalmente riformata.

IL PIANO INTERNO

Su quello interno, poi, la situazione è addirittura ancora più grave, considerato come da un lato questo stato di fatto, unito a lunghissimo periodo di pace, abbia prodotto una visione irenica della politica internazionale che al momento attuale non ha più pressoché alcun fondamento.

D’altro canto, inoltre, se vogliamo specificamente riferirci al nostro caso nazionale, ciò è aggravato da una complessa serie di fattori che vanno da un dettame costituzionale costruito su misura per tenere a freno una potenza dittatoriale sconfitta all’idea, consolidatasi negli anni, che alla difesa del nostro territorio ci penserà comunque sempre il nostro grande fratello d’Oltreoceano.

Non indifferente risulta anche il permanente effetto della presenza del Vaticano sul nostro territorio – cara Santa Caterina, ma perché non li hai lasciati ad Avignone? – con tutto quello che ne deriva in termini di ciò che un tempo veniva classificato come catto-pacifismo.

Da considerare, infine, anche il costante buonismo di una sinistra nazionale che, nonostante le esperienze di governo degli ultimi venticinque anni, non ha mai voluto comprendere come il perseguimento del reale interesse nazionale possa richiedere in particolari momenti di rimettere in discussione tanto se stessi quanto i propri principi.

Ogni volta che una vera crisi si presenta ci troviamo ad arrampicarci sui vetri per cercare di proteggere quanto ci sta a cuore attraverso gli unici strumenti di cui disponiamo.

IL QUADRO INTERNAZIONALE

Infatti, quando iniziò il processo di dissoluzione della Federazione jugoslava puntammo tutto su una influenza politica, che allora in Europa occidentale ancora avevamo, nonché sulla massiccia promessa di aiuti economici, di cui potevamo in effetti disporre, per cercare di fermare la corsa verso il baratro.

Il risultato fu un terribile gorgo insanguinato da cui riuscì a trarci più tardi soltanto la decisione statunitense di far intervenire l’Alleanza Atlantica prima in Bosnia e poi in Kosovo. Chi pagò il conto in sostanza furono i “Boots on the ground”, vale a dire gli scarponi dei nostri soldati sul terreno, che riuscirono a essere considerati moneta adatta alla situazione.

In tempi più recenti, tanto in Georgia quanto in Ucraina, abbiamo poi avuto una terribile lezione di realpolitik dalla Russia che con tre successive mosse da scacchista consumata, propiziate dall’uso disinvolto ed efficace delle sue risorse militari, è riuscita in successione a creare due Repubbliche autonome satelliti sulla frontiera georgiana, ad annettere la Crimea e a portare la guerra civile nella regione del Donbas ucraino.

Adesso la Turchia avanza con piedi di piombo ed uno stile molto simile a quello russo in aree del Mediterraneo di rilevante interesse per tutto il mondo Atlantico e probabilmente di interesse vitale per noi italiani, e lo fa nel completo disinteresse di una Nato come sempre dominata dai Paesi del centro nord del continente, ben poco interessati a quanto non succeda alla loro porta di casa.

La seconda parte dell’articolo è stata pubblicata su AffarInternazionali mercoledì 24 giugno 2020. 

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