“Intrappolata tra una Cina sempre più aggressiva e un’America in ritirata dal multilateralismo”, l’Unione europea sta cercando di fondare il suo ruolo globale sulla sua influenza commerciale. E, come nota Bloomberg, questo elemento è più che mai evidente nei suoi “rapporti complicati” con la Cina. Per questo i 27 stanno cercando strumenti per rafforzare l’industria europea da una parte e per fronteggiare le aziende che ricevono aiuti da governi stranieri dall’altra. Basti pensare che, come sottolineato su Formiche.net, nel piano di ricostruzione per l’Europa da 500 miliardi presentato meno di un mese fa dalla cancelliera Angela Merkel e dal presidente frase Emmanuel Macron c’era un riferimento alla creazione di “campioni europei” dell’industria per sfidare la Cina (anche sul 5G).
Dopo aver annunciato dazi contro le sussidiarie egiziane dei colossi cinesi che producono fibra di vetro sulla Via della Seta (come raccontato ieri su Formiche.net) e a pochi giorni dal lancio del nuovo sistema di screening degli investimenti diretti esteri, oggi la Commissione europea ha pubblicato il suo Libro bianco sugli investimenti esteri e in particolare, come si legge nel comunicato stampa, sugli “effetti distorsivi causati dai sussidi esteri nel mercato comune”. Vi è, infatti, “un numero crescente di evidenze” di tali effetti, ha spiegato l’esecutivo comunitario.
Leggasi cinesi, certo. Ma non soltanto. Perché, per le ragioni di cui sopra, l’Unione europea ha deciso di accendere un faro su tutti gli investimenti “stranieri”, cioè extracomunitari. Quindi, anche quelli che provengono da Paesi come Stati Uniti e Russia. “Dopo il coronavirus, abbiamo bisogno del mercato comune più che mai”, ha spiegato in conferenza stampa la vicepresidente della Commissione europea con delega alla Concorrenza Margrethe Vestager (che in conferenza stampa è tornata più volte, anche dopo aver dichiarato che il Libro bianco non è pensato per uno Stato in particolare, sul tema della reciprocità, notoriamente al centro delle insoddisfazioni di Bruxelles verso Pechino). La consultazione pubblica, che sarà aperta fino al 23 settembre 2020, aiuterà la Commissione a preparare adeguate proposte legislative in questo settore. “Siamo aperti agli investimenti ma non a quelli che distorcono il mercato”, ha aggiunto Vestager.
Il commissario per il Mercato interno, Thierry Breton, ha spiegato che “la parità di condizioni nel mercato comune è al centro di questa iniziativa e aiuterà le nostre imprese a operare e competere a livello globale, promuovendo così l’autonomia strategica aperta dell’Unione europea”. Il commissario per il Commercio, Phil Hogan, ha invece evidenziato che “la nostra apertura viene sempre più messa in discussione dalle pratiche del commercio estero, compresi i sussidi che distorcono le condizioni di parità per le società dell’Unione europea”.
C’è dunque una “lacuna normativa” che il Libro bianco propone di riempire entro il 2021 con tre diversi approcci, tre opzioni, i cosiddetti “moduli, che mirano ad affrontare gli effetti distorsivi causati dai sussidi esteri. Il primo nel mercato comune in generale. Il secondo nelle acquisizioni di società dell’Unione europea. Il terzo nel caso di procedure di appalto pubblico dell’Unione europea. Si tratta di moduli che possono essere complementari tra loro, oltreché alternativi.
Stando alle bozze circolate sui giornali in queste ore, le società “straniere” che intendono acquistare una quota superiore al 35% di imprese europee con un fatturato di oltre 100 milioni di euro dovranno informare la Commissione se hanno ricevuto più di 10 milioni di euro in aiuti di Stato. Inoltre, le società già presenti nei 27 Paesi potrebbero essere costrette a denunciare eventuali sussidi esteri alla Commissione se questi superano i 200.000 euro.
Intervistato da Formiche.net, Michael Pettis, professore di Finanza all’Università di Pechino, non-resident senior fellow del Carnegie-Tsinghua Center for Global Policy, ha spiegato la scorsa settimana che “c’è una percezione generale che gli investimenti diretti esteri cinesi siano buoni per l’Europa, non è vero. Questi investimenti sono buoni per Paesi in via di sviluppo dove ci sono istituzioni che risparmiano per andare incontro ai bisogni domestici, come nel caso degli Stati Uniti nel XIX secolo”, ha continuato il professor Pettis. “Oggi in Europa c’è un’enorme liquidità, le aziende poggiano su grandi quantità di cash, i capitali si muovono liberamente. L’unica giustificazione per cercare investimenti diretti esteri è che portino tecnologia di cui l’Ue non sia in possesso, ma questo è improbabile. I benefici di questi investimenti sono molto sopravvalutati. Quando il denaro estero entra nel tuo Paese, o vanti un disavanzo corrente, o i tuoi risparmi aumentano. L’Ue è composta di nazioni sviluppate, non riesce nemmeno a usare tutto il capitale di cui dispone. Non trae beneficio dagli investimenti diretti esteri, che non fanno che aumentarne il debito e la disoccupazione”.