A me piace. Senza ombra di dubbio. E piace alla stragrande maggioranza dei lobbisti. È un tema che gode anche di un apprezzamento generale, come tutti i principi che non sono ancora stati calati nel particolare e beneficiano del fascino dell’affermazione astratta e, in quanto tale, largamente condivisibile. Le cose, come sempre, cambiano quando si affronta la questione nello specifico. Chi deve assicurare la trasparenza? Il lobbista, giusto. Ma non basta un singolo attore per garantire la completezza, quando si parla di un triangolo i cui tre vertici sono rappresentati, oltre che dal lobbista, dall’azienda rappresentata e dall’istituzione che ha il compito della decisione politica.
Ne ha parlato Marco Sonsini, partner di Telos A&S, nel suo intervento nel webinar “Lobbying al tempo del Coronavirus: la regolamentazione della rappresentanza di interessi” organizzato dal Centro Studi Geopolitica. Guarda il suo intervento qui.
“La trasparenza dei processi decisionali richiede un impegno non soltanto da parte del lobbista ma impone uno sforzo anche da parte di chi il processo decisionale lo guida” afferma Marco Sonsini. Quindi il lobbista deve giustamente rendere conto del suo lavoro, e su questo punto sembrano tutti d’accordo, ma le Istituzioni devono fare altrettanto. E su questo ultimo aspetto sembra che le certezze comincino a vacillare. Di trasparenza nel processo decisionale ce n’è ben poca. Ma qual è il valore di un processo del quale si conosce solo una parte?
Torniamo al triangolo, perché Sonsini parla anche del terzo vertice, ossia quello che riguarda l’azienda rappresentata dal lobbista. “Forse questo entusiasmo per la trasparenza non lo condivide, in parte, nemmeno il mondo dell’impresa, e questa è una questione culturale che dovremmo avere presente. […] c’è una chiusura, la paura di come il circuito mediatico potrebbe reagire alle iniziative esposte alla pubblica opinione”.
In conclusione, le istituzioni che decidono la politica spesso frenano la condivisione e le aziende temono di non saper gestire l’impatto mediatico. Quindi, torno alla domanda: a chi piace la trasparenza delle lobby? Forse solo ai lobbisti?