Mentre in tutti gli Stati Uniti e in molte altre parti del mondo continuano le proteste per la morte di George Floyd, la politica americana si interroga sul futuro delle forze di sicurezza. Ieri, Medaria Arradondo, capo della polizia di Minneapolis (la città in cui è morto Floyd), ha annunciato un’ampia riforma del dipartimento di polizia locale. Arradondo ha spiegato che le questioni centrali saranno le regole sull’uso della forza e i meccanismi di supervisione e controllo, con l’obiettivo di avere un dipartimento che “la nostra comunità vede come legittimo”.
Nel dibattito statunitense si inserisce un articolo di Foreign Policy, autorevole rivista di politica internazionale, che cita a modello per la polizia statunitense i carabinieri, già protagonisti di molti programmi di cooperazione tra Italia e Stati Uniti oltre che apprezzati in diverse missioni internazionali — basti pensare all’impegno in Kosovo o a quello più recente in Iraq dove, richiesti dal governo locale per formare le proprie forze di sicurezza sul fronte dell’ordine pubblico, in quattro anni hanno addestrato più di 36.500 agenti.
“I carabinieri italiani sono una forza di polizia con uno statuto militare, che opera congiuntamente sotto il ministero della Difesa e il ministero degli Interni”, scrive Elisabeth Braw, a capo del progetto Modern Deterrence del think tank britannico Rusi. L’esperta definisce gli uomini dell’Arma dei masters of de-escalation (specie se messi a confronto con “la brutalità” della polizia statunitense). “Sono armati e conducono le indagini più pericolose del Paese, come l’arresto di boss mafiosi e la caccia ai terroristi. Ma forniscono anche cibo e generi di prima necessità agli anziani”, aggiunge evidenziando quello che sembra un contrasto: sono molto bravi con le armi, ma raramente le utilizza. Un contrasto apparente, risolto dal generale Massimo Mennitti, a capo del reparto delle relazioni esterne e comunicazione, dello Stato Maggiore del Comando generale dell’Arma dei carabinieri, che spiega: “Se agisci con rispetto, ricevi rispetto”.
Foreign Policy non ignora il caso di Stefano Cucchi ma scrive: “nel complesso, i carabinieri godono di enorme rispetto nella società italiana” grazie anche all’esperienza maturata durante gli Anni di piombo, tra terrorismo interno e proteste studentesche, come ricorda alla rivista Stefano Stefanini, ex ambasciatore alla Nato e consigliere dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
“Se i carabinieri possono arrestare i boss della mafia senza l’artiglieria pesante, gli agenti di polizia statunitensi dovrebbero essere in grado arrestare i criminali comuni senza ucciderli e senza usare proiettili, elicotteri e mezzi blindati”, conclude Foreign Policy pur non ignorando le differenze nelle organizzazioni delle forze di polizia e di sicurezza dei due Paesi messi a confronto. Per quanto imperfetta, l’Italia può insegnare agli Stati Uniti alcune cose. Una polizia forte senza l’uso della forza è sicuramente una di queste”.