Aprire gli archivi, a cominciare da quelli dei servizi segreti. O meglio, continuare a “desecretare” gli archivi, dopo la prima ondata di documenti riversati all’Archivio di Stato e alla Commissione Moro 2 a partire dal 2014.
Ma, questa volta, la richiesta del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir) presieduto da Raffaele Volpi (vicepresidente Adolfo Urso) è temporalmente molto ben mirata. Il Copasir auspica che divengano accessibili i documenti custoditi negli archivi delle agenzie di informazione, relativi al sequestro e all’omicidio di Aldo Moro, alla strage di Bologna, a quella di Ustica. Insomma la richiesta si concentra su un arco temporale di soli tre anni: dal 1978 al 1980.
Tre anni in cui avvennero gli attentati più gravi che la storia repubblicana ricordi: il sequestro del presidente della Dc (marzo-maggio 1978), la strage nei cieli dell’isola siciliana (27 giugno 1980), la strage alla stazione del capoluogo emiliano (2 agosto 1980) e la scomparsa in Libano dei giornalisti Italo Toni e Gabriella De Palo (2 settembre 1980).
Il Copasir ha chiesto anche la loro consegna “in toto” alla magistratura, “pur con i limiti imposti dalla tutela dei rapporti con gli apparati di informazione di altri Paesi”.
Ci sono infatti indagini penali aperte sia a Roma (Moro, scomparsa Toni-De Palo), come a Bologna (strage alla stazione, con il ruolo dei finanziatori ). “Finora – ci spiega Urso – se la magistratura aveva bisogno di documenti li chiedeva e naturalmente li otteneva, ma poter consultare tutto l’archivio di quegli anni, permetterà di vedere il contesto, in particolare, internazionale di quei fatti: sarà finalmente possibile vedere quelle stragi da una prospettiva più completa”. Il vicepresidente del Copasir fa poi un esempio: “Se io sto affacciato a una finestra e vedo due bambini giocare e poi sparire, non necessariamente dalla stessa posizione posso vedere una rapina che è in corso più avanti sulla stessa strada e che potrebbe aver portato al rapimento dei bambini . Si tratta di ricostruire il contesto, appunto”.
E aggiunge: “Desecretare gli atti è il modo migliore per ricordare Aldo Moro e le vittime del terrorismo. Ho fatto questa proposta e ne è venuta fuori una lettura condivisa, dopo aver visionato i documenti”.
Ecco, Urso ha già visto i documenti e per questo è sicuro che serviranno. Il vicepresidente del Copasir (così come altri componenti del Copasir) infatti si è recato due volte alla sede dell’Aise (ex Sid ed ex Sismi a Forte Braschi) dove sono concentrati le migliaia di atti riguardanti quei tre anni tremendi per la storia dell’Italia del Dopoguerra, anche quelli provenienti dall’archivio dell’Aisi (ex Sisde) e del Dis (organismo di coordinamento dei servizi segreti). “La mia seconda visita risale a cinque mesi fa. Ecco leggendo quegli atti, mi è stato chiaro che è necessario per la storia del Paese, che essi vengano conosciuti. È giunto il momento di desecretare ogni atto, compresi quelli che fanno riferimento al cosiddetto “lodo Moro”. Cioè quell’accordo siglato nel 1973 tra i nostri servizi segreti e quelli delle organizzazioni palestinesi per ‘tener fuori’ l’Italia da attentati. In realtà il Lodo Moro – che si dovrebbe chiamare più correttamente Lodo Andreotti ( che allora era presidente del Consiglio) – è servito a tutti tranne che a Moro. Non gli è servito per non essere rapito né per essere salvato”.
Dopo la richiesta del Copasir la parola ora passa al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che per legge è il responsabile politico dei servizi: spetta a lui adesso impartire una specifica direttiva.
Il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica “apprezza e condivide” inoltre anche il recente appello dei presidenti del Senato e della Camera, affinché si prosegua e si porti a conclusione il percorso di desecretazione dei documenti relativi ad attentati ed altri atti terroristici che, per un lungo periodo, hanno insanguinato il nostro Paese. In questo caso si tratta però della desecretazione degli atti già raccolti dalle varie commissioni parlamentari d’inchiesta, a partire dalla Commissione stragi, che sono “chiusi” negli archivi parlamentari.
C’è infine un altro aspetto da sottolineare. Il Copasir si è mosso “anche alla luce delle rilevanti novità riportate nei mesi scorsi dagli organi di stampa, da cui emergerebbero scenari in parte difformi rispetto a quelli accertati dai processi, e che potrebbero in ogni caso permettere una più adeguata comprensione delle vicende, interne e internazionali, all’interno delle quali tali eventi sono maturati”.
Ho seguito il caso Moro per decenni. Altri colleghi hanno seguito i singoli processi, ecc. Qualcuno è stato, forse inconsapevolmente attivo nella “costruzione” di quella “forma di una verità necessaria”, l’unica possibile prima della caduta del Muro di Berlino, e in Italia , fino a dopo il 2014. Ma è una “verità” che ora è in pezzi.
Come giornalista del Corriere della Sera ho avuto l’opportunità di indagare su alcuni punti di svolta che mi hanno permesso di “ leggere” le novità che sono emerse già con la prima “desecretazione”, quella del 2014.
Ad esempio, la pubblicazione dell’archivio Mitrokhin decretata alla fine degli anni Novanta dal presidente del Consiglio D’Alema (in cui emergeva la figura di Dario Conforto padre dell’ospite di Valerio Morucci e Adriana Faranda), le interviste (2001 ) ai responsabili del Sismi in cui si spiegava per la prima volta cosa era accaduto durante il rapimento di Aldo Moro. Seguire gli eventi del Vaticano ha dato un significato al fatto che l’ultimo fuggitivo del caso Moro, l’uomo che non ha mai trascorso un giorno in prigione, un uomo che ha sparato in via Fani, era il figlio di un ex numero 2 dell’ufficio stampa Vaticano, per trent’anni e sotto tre papi. Eccetera.
Le nuove acquisizioni mi hanno portato a leggere gli atti desecretati e le scoperte della seconda Commissione Moro, in un modo potenzialmente unificato, e mi hanno portato a definire alla fine del 2019 il rapimento e l’uccisione del presidente della Dc italiana, “come la più grande operazione della guerra fredda, prima della caduta del muro di Berlino”.
Un buon analista deve esaminare la realtà senza pregiudizi. Deve trovare notizie inaspettate, mentre le informazioni che possono confermare posizioni tradizionali, sia storiografiche che politiche, sono normalmente più apprezzate. E la disinformazione “per esagerazione” lo è ancora di più.
Il ruolo di storici e giornalisti è invece quello di studiare informazioni obiettive. Fatti oggettivi che possono mostrarci qualcosa di nuovo, fatti che possono aumentare la nostra conoscenza e non passare da un mistero all’altro.
Sui tre anni terribili del Dopo Guerra (dal 1978 al 1980) non vanno svelati misteri, ma rivelati segreti. Segreti che speriamo saranno portati alla luce (dopo il lavoro della Commissione Moro 2 ) anche da questa richiesta del Copasir. In questo la ricostruzione del caso Moro è centrale. Il rapimento e l’assassinio di Moro non hanno a che fare solo con il passato del nostro Paese, ma con il presente e il nostro futuro. Il motivo per cui non è stato possibile finora è non solo perché alcuni dei grandi protagonisti sono ancora vivi – e il reato di strage, bisogna ricordarlo, non si prescrive – ma soprattutto perché alcuni contesti geopolitici non si sono potuti affrontare. Per questo il sequestro di Moro si dimostrerà sempre più collegato ad altre decine di delitti (compreso quello del giornalista del Corriere della Sera Walter Tobagi il 28 maggio 1980) – finora rimasti non chiariti nel loro contesto.
C’è un ultimo aspetto che voglio sottolineare. Un muro di specchi (il ruolo della “disinformazione”, delle cosiddette “misure attive”), non meno solido di quello di Berlino, per decenni ha modulato la versione “mediatica” del caso Moro, ben oltre la fine della Guerra Fredda, e fino ai nostri giorni. “Oggi che è in corso di fatto una nuova Guerra fredda – conclude Urso – sarà interessante apprendere dai documenti del passato chi sono stati i nemici del nostro Paese e chi gli amici”.
Il filosofo greco Platone affermò che i costruttori di fiabe governano il mondo. Ed è successo proprio così. Ma quarant’anni dopo gli eventi, è tempo di rompere il muro di specchi, come contributo alla storia del nostro Paese.
(Foto-Umberto Pizzi-riproduzione riservata)