Che ce ne accorgiamo o no, camminiamo nel profondo dei mondi perché questa è la nostra vocazione di esseri umani. Tutt’altro che facile, anzi rischioso, tale cammino ci mette di fronte a una infinità di differenze spesso negate.
Il fenomeno che chiamiamo globalizzazione ha una impronta solo occidentale. È come se i nostri paradigmi, che certo non vogliamo sminuire per importanza, potessero racchiudere l’intera esperienza umana e renderla adeguata a essi, al di là di ciò che essa davvero rappresenta in tutte le sue complessità.
Dobbiamo uscire da questa considerazione unilaterale del mondo, guardando al mosaico globale con un occhio finalmente pluralista e transculturale. Ci siamo illusi che bastasse globalizzare, inondare il mondo di un modello di vita occidental-centrico, senza contestualizzare.
Guardare dentro
È rischioso, lo sappiamo, guardare ai contesti dall’interno. Fino a oggi, in una sorta di festival dei mondi, ci siamo soddisfatti di un approccio “turistico” alle culture, non sostanziale. Ora sembra che tale semplificazione porti con sé l’urgenza di cambiare passo.
Abbiamo sacrificato le differenze, anzitutto definendole diversità. Abbiamo scavato pericolosi fossati, guardato alle altrui tradizioni in termini “esotici”, roba da villaggio turistico, quasi maschere per divertire l’annoiato paradigma occidentale.
Tutto questo va (ri)pensato. Se ragioniamo in termini di differenze, e di pensiero nelle differenze, risulta oltremodo chiaro come i muri (culturali e fisici) che abbiamo alzato rispetto all’altro, nostro oltre, fanno male alla nostra stessa tradizione occidentale. Senza l’incontro con il differente siamo destinati a sclerotizzarci, proprio nel non più problematizzarci.
Dall’incontro al dialogo
Questo passaggio, non indolore, serve per cambiare davvero strada. Se l’incontro è importante, il dialogo è decisivo.
L’incontro non risolve il tema, oggi necessariamente tra le più importanti priorità di classi dirigenti che non vogliano nascondersi nelle proprie certezze, della risoluzione degli esasperati conflitti tra diversità. Questa risoluzione è possibile solo se i conflitti entrano in metanoia, se si trasformano in opportunità di crescita comune, anzitutto tornando al valore della differenza e delle differenze.
Il dialogo è il passaggio per la metanoia. Ciò non significa, naturalmente, negare i rapporti di forza e gli interessi in campo, tutt’altro. Significa, al contrario, prenderne atto e tenerne in conto nella dimensione dialettica del dialogo che, per diventare effettivamente dialogo, deve aprirsi alla logica dialogale. Ci vuole coraggio, bisogna essere radicali, diremmo realisti.
Il mondo così com’è, secondo chi scrive, non è più sostenibile. Manca un pensiero critico che vada oltre le semplificazioni degli slogan accondiscendenti o antagonistici, manca il talento politico della mediazione e della visione, manca la capacità di (ri)fletterci nelle verità delle realtà. Urge liberarci dalle catene dei punti di vista assolutizzati ed escludenti, presunti onnicomprensivi e onnipotenti.
(Professore di Istituzioni negli Stati e tra gli Stati e di History of International Politics, Link Campus University – Editor, The Global Eye, http://globaleye.online – autore di “La grande metamorfosi. Pensiero politico e innovazione”, Eurilink University Press 2020, http://eurilink.it/prodotto/la-grande-metamorfosi-pensiero-politico-e-innovazione/)