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Perché dico no alla Via della Seta. Scrive Silli (Cambiamo)

Di Giorgio Silli

Non tutti forse hanno ben chiaro che cosa abbiano apportato al mondo la storia e la cultura cinese. Un grande meraviglioso paese, la tradizione del quale affonda le proprie radici fino ad alcuni millenni or sono. Quasi nessuno ricorda che la Cina fu nostra alleata nella prima guerra mondiale. Pochi conoscono realmente quello che Deng Xiaoping (“non importa se il gatto è bianco o nero, l’importante è che prenda i topi”) riuscì a fare trasformando il sistema cinese nel sistema attuale, il cosiddetto “socialismo con caratteristiche cinesi”, quello che noi occidentali definiamo (forse erroneamente) come “capitalismo di stato”. 

Certo la Cina, negli ultimi anni, ha approfittato della globalizzazione per crescere a ritmi impressionanti, questo purtroppo non sempre senza problemi per il manifatturiero Italiano e occidentale in genere; ma si sa, il mercato è il mercato e probabilmente anche tutti noi avremmo fatto lo stesso. Lo stesso dicasi per l’illegalità diffusa nel nostro Paese all’interno delle comunità cinesi. Illegalità che, ormai possiamo dirlo con certezza, dipende anche in parte dalla debolezza, in alcuni casi, del nostro Stato, oltre che dall’intenzione e dalla predisposizione a delinquere di alcuni imprenditori che sfruttano la manodopera clandestina. 

Non posso quindi che accogliere con favore l’intervista, seppur irrituale e inusuale, del console cinese Wang Wengang, che si appella all’amicizia fra i nostri popoli, promette un graduale ripristino della legalità e prospetta grandi vantaggi economici per tutti grazie alla nascente Via della Seta. Bozza di accordo che fu votata lo scorso anno dalla maggioranza parlamentare formata da Lega e 5 Stelle. Bozza di accordo che credo la Lega non rivoterebbe nuovamente. Bozza di accordo che, penso, non avrebbe la maggioranza del parlamento qualora venisse posta nuovamente in votazione nelle prossime settimane. 

Questo non certo per una sorta di antipatia nei confronti del popolo cinese, tutt’altro. Questo perché la geopolitica — per molti questa sconosciuta — ha regole ben precise che non permettono di saltare da un “gruppo di amici” all’altro con leggerezza, soprattutto quando all’orizzonte si sta profilando, serpeggiante, una nuova Holodnaja Vaina, come la chiamavano i russi. Un nuova guerra fredda che sarà combattuta, ancor più di prima, sui piani della tecnologia, dell’economia, dell’intelligence. 

Per questo, ultimamente, a Roma e negli ambienti dove la politica estera e le politiche di difesa fanno da padrone, ogni mano tesa da parte della Cina viene percepita, spero a torto, come una sorta di captatio benevolentiae con una regia ben definita dietro le quinte. Noi non possiamo dimenticare la nostra storia. L’Italia, dopo la guerra e dopo il cambio di sponda era un Paese distrutto, umiliato, povero, mortificato, oltraggiato, vilipeso. Gli americani hanno fatto in modo di difenderci, resuscitarci, rilanciarci. Per questo, e non solo per questo, una scelta di campo netta, in politica estera, è indispensabile. Senza tentennamenti. La nostra storia degli ultimi 75 anni è sempre stata a fianco degli Stati Uniti e degli altri Paesi del blocco Nato. Ancora oggi l’export di Made in Italy diretto e indiretto verso gli Stati Uniti è una componente indispensabile del nostro Pil. Una scelta di campo che, almeno per adesso, i nostri usi e costumi ci suggeriscono essere con i nostri simili; simili intesi da un punto di vista culturale; paesi come il nostro dove vige la libertà religiosa e di culto, dove vi è libertà di pensiero e di espressione, dove la democrazia è un valore irrinunciabile. 

Credo comunque che il dialogo e la diplomazia debbano sempre essere anteposti a qualsiasi altra forma di confronto. Non posso quindi che accogliere con favore le parole del console seppur rimarcando quelli che sono i confini dell’alveo dove da 75 anni scorre il fiume della nostra politica estera. Speriamo entrambi in un futuro roseo per il nostro pianeta e, a Dio piacendo, un futuro che porti sempre più a distensioni e non a nuove tensioni. In Europa ci stiamo provando da decenni.


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