La scena, in effetti, ha una sua plasticità. Sembra proprio di stare a teatro. Giuseppe Conte si presenta, di buon mattino, alle 9.30, alla Camera dei Deputati, per l’informativa informale – trucco semantico che il presidente della Camera, Fico, sono già due volte che concede al premier: essendo il Consiglio europeo “informale”, non c’è bisogno che, in Parlamento, si tenga un voto, dopo l’informativa – sul Consiglio europeo che si terrà, in videocall, venerdì.
Il presidente del Consiglio si presenta, come da calendario, attorno alle 9 (replica intorno alle 11, al Senato, dove interverranno, poi, pure i big: Salvini, Renzi, Bonino, ecc.) e parla per circa venti minuti in vista del Consiglio europeo di venerdì prossimo. Non si tratta di una “comunicazione”, appunto, come avrebbe gradito la coalizione di centrodestra e che avrebbe previsto il voto di una o più risoluzioni, ma di una informativa. Di conseguenza, non si vota un bel nulla. Il tutto succede con i banchi delle opposizioni semideserti, deputati per lo più distratti, il Transatlantico che è stato adibito – per l’emergenza Covid-19 e per volontà di Fico – a propaggine fisica dell’Aula praticamente vuoto, deserto. Inoltre, fuori piove che Dio la manda, quindi i deputati neppure si sognano di sostare nel cortile d’onore, unico luogo, ormai, dove possono fumarsi in santa pace un sigaro o una sigaretta e, anche, unico luogo dove i cronisti possono stazionare, visto che il Transatlantico, essendo stato trasformato in un pezzo d’Aula, è interdetto a loro come a tutti gli altri frequentatori abituali del Palazzo che non hanno la fortuna di essere stati eletti in Parlamento.
Succo del discorso dell’Avvocato del popolo: “Il Consiglio europeo sarà di natura consultiva. Speriamo che il prossimo sarà risolutivo”. Si leva un coro di urla e fischi dai banchi dell’opposizione. E ancora: “Già in questi giorni ho avviato un’ampia consultazione per elaborare un piano di rilancio da cui potrà essere preparato un più specifico Recovery Plan che l’Italia presenterà a settembre”. Quando il progetto sarà più definito, spiega, “verrò doverosamente in Parlamento per riferire dei suoi contenuti pronto a raccogliere proposte e suggerimenti”.
Ancora urla e brusii dai banchi dell’opposizione. I toni sono di apertura alla parte centrale (FI) dell’emiciclo: “È il momento di agire con spirito di piena coesione anche sul piano nazionale”.
C’È CONTE! LE OPPOSIZIONI (LEGA E FDI) ESCONO DALL’AULA MA NON TUTTI LA PRENDONO BENE. GIORGETTI E BRUNETTA
Dopo l’intervento di Conte, tocca parlare ai capigruppo delle opposizioni. Il capogruppo della Lega, Riccardo Molinari – piemontese cortese, ma arcigno – ha da poco finito di pronunciare il suo intervento ed ecco che i suoi deputati, a un suo cenno, escono in massa dall’aula, in segno di protesta perché, appunto, sull’informativa non è previsto il voto. Fratelli d’Italia, il partito della Meloni, ha però – e non è la prima volta che succede, di questi tempi – già battuto d’anticipo i leghisti. I meloniani sono assenti dall’inizio della seduta e alla deputata di FdI Wanda Ferro tocca tenere il suo discorso in un emiciclo vuoto, almeno sui banchi della destra: insomma, manco i suoi l’ascoltano.
Il capogruppo Molinari parte all’attacco: “Conte da avvocato è diventato il commissario liquidatore del Paese”. Stessi toni da parte di Wanda Ferro (“Il premier si sottrae dal confronto in aula e poi va a Villa Pamphili”). Poi, però, Bruno Tabacci, contiano in versione pre-partito di Conte in fieri, sferza Salvini e Meloni: “Mi viene da sorridere che ormai i Paesi di Visegràd chiedano più Recovery Plan”.
Il guaio, però, visto con gli occhi del centrodestra che ormai “fu” è che, dopo Molinari, tocca al berlusconiano Renato Brunetta prendere la parola per replicare al premier. E l’ex ministro, ex capogruppo, ex consigliere economico di Berlusconi, non la prende bene: si dirige verso il microfono – ormai, causa disposizioni da Covid-19, alla Camera si parla come nello speak corner del Central Park: in mezzo all’aula e non seduti al proprio banco – si guarda intorno e colpisce con una staffilata delle sue: “Un saluto ai colleghi presenti e a quelli non presenti”. Ecco, Brunetta s’è adirato, con i suoi colleghi di opposizione e l’ira di Brunetta è di quelle che è sempre meglio non provocare, come si sa.
Ma, non a caso, anche Giancarlo Giorgetti, tessitore di una tela di unità nazionale e promotore di un’altra Lega, quella di Zaia più che quella di Salvini, esce dall’emiciclo, ubbidendo agli ordini, ma a testa bassa. Forse, mormorano, “avrebbe preferito evitare questa buffonata”. Ma tant’è. Ed è in questi istanti di tensione che dai banchi dei democratici si leva più di un sospiro che va in una sola direzione: “Ora siamo presenti tutti quelli di noi che caldeggiano una legge elettorale proporzionale”. Ovvero, da Leu (il cui capogruppo, Federico Fornaro, un giorno sì e l’altro pure, ormai loda “lo statista Berlusconi…) fino a Forza Italia.
BRUNETTA CHIEDE AL GOVERNO DI ‘COINVOLGERE’ FORZA ITALIA E, INTANTO, I VECCHI SAGGI AZZURRI TRAMANO CON I CONTIANI
Ma non solo il responsabile economico degli azzurri – che tiene un intervento bello, intelligente, arguto, ricco – ha riservato la stoccata ad alleati – quelli di Lega e FdI – con i quali, ormai, i distinguo azzurri sono più delle convergenze. Prima le alleanze per le Regionali (La Lega vuol far saltare la candidatura di Stefano Caldoro in Campania e Berlusconi è furibondo). Poi il come stare in piazza (il 2 giugno il Cav ha spedito il povero, e uso a obbedir tacendo, Tajani nella fossa dei Leoni di una manifestazione scollacciata e confusa, facendogli rimediare una figuraccia causa confusione, zero mascherine, etc.). E, ovvio, il come rapportarsi alla Ue sui nodi cruciali che attendono l’Italia nei mesi futuri (Mes e non solo Mes).
I “destini incrociati” di Lega e FdI da una parte, FI dall’altra si vanno separando. Berlusconi, da giorni, anzi da settimane, avrebbe tracciato la linea. “Se Conte rompe con i 5 Stelle e i nostri voti risulteranno decisivi, sul Mes – spiega l’europarlamentare, ex Dc, Giuseppe Gargani, a un altro “contiano” che la sa lunga, l’ex dc Angelo Sanza, quando ormai, dentro Montecitorio, non c’è più nessuno – potremmo appoggiare anche un nuovo governo, un Conte ter, per capirci, ma il premier si deve liberare di quei matti dei 5 Stelle che sono contro l’Europa e contro la Nato e sono peggiori persino di Salvini. Se Conte lo fa – conclude il suo ragionamento Gargani – e si tiene con sé un pezzo di M5S, quello “buono”, ed “europeista”, al prezzo di provocare una scissione nel Movimento, possiamo lasciarlo al governo, naturalmente dopo una crisi e un passaggio parlamentare che preveda il nostro ingresso nell’esecutivo e dopo il pieno riconoscimento del nostro ruolo. Se Conte, invece, non lo fa e beh, allora, caro Angelo, se la deve vedere lui, coi “matti”. Noi non possiamo aiutarvi a costo zero. I nostri voti, sul Mes come su altri temi, saranno decisivi, non aggiuntivi. Altrimenti, coi 5 Stelle, e pure col Pd, ve la sbrigate da soli”.
IL PD SPERA CHE FI DIA “UN AIUTINO” SULLA LEGGE ELETTORALE
Insomma, il quadro è chiaro: Berlusconi arriva in soccorso se i suoi voti sono decisivi, non aggiuntivi, altrimenti resta all’opposizione. FI è pronta darlo, inoltre, il ‘soccorso azzurro’, non solo sul Mes, ma anche sulla legge elettorale, il Germanicum. Spiega il dem Stefano Ceccanti al suo collega di maggioranza, il radicale di +Europa, Riccardo Magi che lo ascolta scettico: “Iv è contro la riforma della legge elettorale in senso proporzionale, è vero, e i suoi voti possono affossare, in Aula, quella legge, ma se FI si smuove si muove, e dei segnali interessanti ora arrivano, allora potremmo davvero tirare fuori la legge proporzionale dai cassetti della commissione e portarla in Aula. Anche senza i renziani, ma con i voti di FI, può passare ed essere approvata. Anche quello sarebbe un segnale interessante”.
BRUNETTA CHIEDE DI SCRIVERE “INSIEME” (FI E GOVERNO) IL “PIANO NAZIONALE PER LE RIFORME” E LA LEGGE DI BILANCIO
Tornando alle parole di Brunetta, in Aula, anche lui – pur non potendo, ovviamente, lanciarsi in retroscena politici – è stato chiaro, limpido, nell’offerta lanciata al governo. “Non voglio fermarmi agli errori passati – rammenta – adesso è tempo del Piano nazionale delle riforme che deve diventare lo strumento per dialogare in Europa, settembre è troppo tardi. Facciamo insieme il piano nazionale delle riforme in Parlamento e non a Villa Pamphili. E il governo anticipi la legge di bilancio” chiude il suo invito Brunetta. Succo della interessante e fulminante “brunettata” è: “Scriviamo insieme il “Piano nazionale per le Riforme” (nessuno sa bene cosa sia, ma si fa ogni anno come misura di “accompagno” al Def, quindi va scritto entro giugno: serve per presentare le misure economiche di ogni Paese membro alla Commissione Ue, ndr.), ragioniamo insieme sul Mes, che all’Italia serve, spingiamo il nostro Paese a ottenere di più, dalla Ue, sul Recovery fund che sarà varato, coinvolgete le opposizioni sul Recovery Plan che l’Italia, Conte dice, andrà presentato a settembre, etc…”. Gli azzurri, insomma, si stanno muovendo, fanno politica, e il fatto che non si smuovano dai banchi dove sono seduti è un altro fattore indicativo del ‘nuovo’ clima che si è creato.
LA STANCA REPLICA DEL SENATO
Si tratterebbe, ora, di raccontare di Conte al Senato, dove si presenta alle 11 e 30, ma ripete le stesse parole pronunciate alla Camera. Anche qui FdI è assente. Primo a replicare al premier, il decano ex Dc di lungo corso Pierferdinando Casini: “È inevitabile che l’Italia utilizzi il Mes”. Al suo fianco c’è Matteo Renzi. Il leader di Iv segue Casini, si lascia andare con le citazioni colte e utilizza toni concilianti nei confronti del premier, a tratti persino elogiativi: “Molti degli impegni presi da Conte stanno diventando realtà”. Il tutto non senza riservare una stoccata a Lega e FdI: “Il sovranismo ha perso”. Il democrat Marcucci plaude Conte ed è una piccola notizia, essendo Marcucci un suo critico. Annamaria Bernini, capogruppo dei senatori di Forza Italia, invece, rimbrotta Conte per un affronto ‘personale’ (“mi guardi quando parlo, o forse lei fa come gli alunni a scuola con le maestre”) e anche lei apre al Mes, pur mettendo in guardia il premier: “Lei ha un approccio napoleonico: promette tutto e non mantiene nulla. Ascolti invece gli appelli disperati della gente che soffre”. Insomma, accenti assai diversi da quelli di Brunetta, anche perché la Bernini è considerata assai vicina alla Lega, a differenza del grosso degli azzurri, Berlusconi in testa.
Le ultime note di una seduta a tratti inutile, a tratti noiosa, sono quelle di Matteo Salvini. Il Capitano mette in fila la lista della spesa che ripete da giorni (stralcio delle cartelle esattoriali, modello Genova per i cantieri, revisione del decreto liquidità, sospensione dei trattati di libero scambio), ma il tono è guardingo e sospettoso. Salvini teme che FI possa ‘smottare’ verso il governo e lui resti all’opposizione col cerino in mano, per di più in compagnia di una Meloni che, ormai, gli crea più concorrenza e fastidio che alleanza. “Fino alle Regionali di settembre non succede nulla – è la saggia profezia di un dem che conosce i “polli” azzurri – perché Berlusconi non si può permettere di perderle, e Salvini neppure, ma da ottobre può succedere di tutto…”. Compreso un Conte ter retto da una maggioranza di governo che, a quel punto, andrà chiamata giallorosazzurra.