Skip to main content

Inizia il gran ballo del Quirinale (ma senza Mattarella). Il diario di Colombo

È iniziato il “Gran Ballo del Quirinale”. E cioè la lotta, i posizionamenti e le candidature – per ora solo indicative e pronunciate, dai candidati in pectore (Franceschini, Prodi, Veltroni, solo per parte dem; Conte, per parte M5S, Draghi, Visco e Cartabia per parte presidente “di tutti”, etc. etc.) solo a mezza bocca – di chi sogna, spera o è così ambizioso da credere di poter succedere a Sergio Mattarella. Il quale è, oggi, come si sa, il XII Presidente della Repubblica italiana.

LA RATIO DI UNA NORMA. IL “SEMESTRE BIANCO”

Ora, prima di esaminare i candidati e le forze in campo, vale però la pena di fare un minimo di chiarezza sui “paletti” inderogabili che preesistono alla competizione stessa, quella per il Colle più alto. Va detto, innanzitutto, che i “giochi” veri e propri non si aprono certo oggi, ma tra qualche mese. Per la precisione, anche formalmente, si apriranno quando scatterà il famoso “semestre bianco”, cioè gli ultimi sei mesi di mandato presidenziale in cui, come prevede la Costituzione, l’inquilino del Colle non può, neanche volendo, sciogliere le Camere. Sì, ma il semestre bianco scatterà a partire dal prossimo 3 agosto 2021, il che vuol dire che, realisticamente, sarà “questo” Parlamento, coi suoi rapporti di forza, ad eleggere l’inquilino del Colle.

LA “BASE ELETTORALE” CHE ELEGGE IL CAPO DELLO STATO

Sempre che, ovviamente, le Camere non vengano sciolte in via anticipata. Il che è sempre possibile, certo, ma anche molto difficile, a causa di una serie di motivi tecnici, che si possono ridurre a due, ma ben corposi, e in base ai quali è molto difficile, se non impossibile, che l’attuale legislatura, la XVIII dell’era repubblicana, venga sciolta. Difficile, dunque, che la “base” elettorale della prossima elezione presidenziale cambi e, con essa, cambi la maggioranza parlamentare che dovrà decidere il nuovo Capo dello Stato. “Base elettorale” fissata per Costituzione. E, dato l’attuale numero dei parlamentari, più i 58 delegati regionali (tre per ogni regione, tranne che per la Valle d’Aosta, che ne ha uno solo) tale base arriva a quota 1008 “Grandi elettori”. Un totale che deriva dalla somma dei 945 parlamentari eletti, di 58 delegati regionali e di cinque senatori a vita “in vita”.

REFERENDUM COSTITUZIONALE E NUOVA (?) LEGGE ELETTORALE: LE DUE “IMPOSSIBILIA” ALLO SCIOGLIMENTO DELLE CAMERE

Due i motivi che rendono difficile uno scioglimento anticipato delle Camere. Il primo è il referendum costituzionale: si terrà il 20 settembre, nel cd. Election day, e dovrà stabilire se il Parlamento italiano deve continuare a essere composto da 945 membri (630 deputati e 320 senatori, cioè 315 più 5 senatori a vita) o se, invece, dovrà essere decurtato di 345 di loro, scendendo a 600 membri (400 deputati e 200 senatori, più i cinque senatori a vita). Difficile pensare, in buona sostanza, che le attuali Camere, presumendo che, ragionevolmente, al referendum i “sì” al taglio dei parlamentari battano i “no”, abbiano una insana voglia di auto-castrarsi, rinunciando a un”occasione ghiotta come quella di partecipare, appunto, al gran ballo del Colle.

La seconda ragione, strettamente imparentata con la prima, è data dalla necessità – una volta entrata in vigore la riforma costituzionale, entrata in vigore che, per una serie di complicate ragioni tecniche, si mangerà diversi mesi – di adattare, al nuovo numero di deputati e senatori l’attuale legge elettorale, il Rosatellum. Un “adattamento” che, a causa del “combinato disposto” tra il taglio dei parlamentari e la legge elettorale, per un terzo basata sui collegi uninominali maggioritari, comporterebbe una forte sotto-rappresentazione di alcune regioni, specie le più piccole. Meglio, molto meglio, sarà scrivere, a quel punto, una legge elettorale nuova. Nel cassetto, ma pronta all’uso, c’è il Germanicum: una legge elettorale di tipo proporzionale che attenuerebbe la rappresentanza specie di quelle regioni. Ma dato che, sia per ridisegnare i collegi, sia per approvare una nuova legge elettorale, “ci vuole il tempo che ci vuole”, è realistico pensare che l’attuale legislatura resterà in carica e che, dunque, saranno i suoi numeri la base elettorale per la nuova elezione presidenziale che si terrà a febbraio 2023. Certo, una finestra elettorale tecnicamente ancora “aperta” c’è, ed è quella della primavera del 2022 (ad agosto, come si diceva, inizia il “semestre bianco”), ma se nessuno è pronto a scommettere sulla durata dell’attuale governo, molti scommettono sulla fine “naturale” della legislatura.

L’ATTUALE CAPO DELLO STATO E COME SI ARRIVÒ A ELEGGERLO

L’attuale Capo dello Stato è in carica dal 3 febbraio 2015 (giorno dell’insediamento), dopo la sua elezione, a scrutinio segreto, avvenuta il 30 gennaio, al IV scrutinio, quando venne scelto da poco meno dei due terzi dei “grandi elettori” del Parlamento di allora, quello della XVII legislatura.

La convergenza sul nome di Mattarella arrivò grazie a una delle solite “strambate” di Matteo Renzi che prima voleva accordarsi con Berlusconi e il centrodestra (che, alla fine, si astenne) e poi strinse un patto con la sinistra interna del Pd, nella “speranza” che quel patto avrebbe garantito lunga vita al suo nascente governo, cosa che, invece, poi non fu.

Ma uno dei pochi punti fermi della prossima corsa al Colle è che Mattarella – ex ministro della sinistra Dc prima e PPI poi, giudice della Consulta, etc., caratura di cattolico democratico a tutto tondo, personalità ferma e inflessibile quanto gentile e disponibile all’ascolto, amato da tutti – non ha alcuna intenzione di farsi rieleggere, né per un periodo breve, né tantomeno per un periodo lungo, alla carica che, nel 2022, avrà ricoperto per i canonici sette anni del suo mandato presidenziale. Lo dice la sua storia, personale e politica, lo dicono i suoi consiglieri più fidati e gli amici.

“MATTARELLA NON HA INTENZIONE DI SUCCEDERE A SE STESSO”. L’OPINIONE DI CHI CONOSCE BENE L’ATTUALE CAPO DI STATO

“Mattarella non è Napolitano – spiega proprio uno di loro – ha interpretato il suo mandato in senso del tutto opposto a quello del suo predecessore, i suoi interventi politici e formali – tranne quelli, necessitati, sul “cancro” che si sta mangiano la magistratura – sono stati pochissimi e mirati, i “rilievi” del Colle, tranne su poche leggi (vedasi i decreti Sicurezza di Salvini, ndr) sono stati rari ed eccezionali. Il Presidente ha avuto, è vero, un ruolo maieutico nelle ultime due crisi di governo che si è trovato a gestire (la nascita del Conte I, nel 2018, e quella del Conte II, nel 2019, ndr), ma anche la popolarità, la stima, l’affetto che si sono rafforzate, durante la pandemia, e di cui gode presso l’opinione pubblica, dicono, in buona sostanza, che Sergio Mattarella non ha né avrà alcuna intenzione di succedere a sé stesso. I giochi dei partiti sulla sua poltrona li lascerà… ai partiti. Ma nessun leader di partito potrà costringerlo a restare – chiude il “ragionamento” l’amico personale di Mattarella – oltre ai canonici sette anni. Forse qualcuno si dimentica che Mattarella è un giurista e un cultore della Costituzione. Per lui, quello che hanno deciso i padri costituenti, un mandato presidenziale di sette anni, è legge, anzi tavola della legge”.

I “VERI”, TANTI, CANDIDATI AL COLLE DI DESTRA, SINISTRA, M5S

Sgombrato il campo dal grande equivoco della rielezione di Mattarella alla stregua di quanto avvenne con Napolitano, resta da capire quali sono i “veri” candidati al Colle.

Per parte dem, il gioco, paradossalmente, è facile. Ci punta, sopra ogni altra cosa, il ministro ai Beni culturali, l’ex Dc- ex PPI, amico personale di Mattarella, Dario Franceschini, non a caso uno dei più tenaci propugnatori e sostenitori dell’alleanza “organica” tra Pd e M5S. Ma ci puntano pure, anche se senza darlo troppo a vedere, l’ex premier e fondatore dell’Ulivo, Romano Prodi, l’ex segretario del Pd, Walter Veltroni, e l’ex premier Enrico Letta. Solo che, mentre Prodi ha l’età giusta, ma ci ha già provato, e gli è andata assai male, senza dire che sconta la piena ostilità della destra, Veltroni, Letta e Franceschini sono ancora troppo “giovani”, per poter ambire di sedersi al Colle. Inoltre, i dem stanno scoprendo – come ha scritto oggi Massimo Franco sul Corriere della Sera – che “i 5 Stelle diranno di no a un candidato comune al Quirinale”. Il che, ovviamente, mette il Nazareno di cattivo, pessimo, umore, ma tant’è.

A questo punto, dunque, entra in gioco la destra e, in particolare, Silvio Berlusconi. Salvini e Meloni sognano, finalmente, di riuscire a imporre, proprio grazie al M5S, un candidato con le stimmate “di destra” incorporate, al Colle – una figura che, in 70 anni, non c’è mai stata: Leone e Cossiga, pur di “destra”, erano sempre della Dc – mentre Berlusconi è pronto, al solito, a giocare in proprio e “di sponda” con il Pd, ove se ne presentasse l’occasione, pur se ancora “scottato” dalla scelta di Renzi che, nel 2015, gli impose Mattarella (FI non lo votò e il Cav poi se ne dolse). Due, in questo caso, i candidati possibili: il senatore Pier Ferdinando Casini, le cui quotazioni sono in ascesa, e la presidente del Senato, Alberti Casellati (quotata in discesa). Solo i 5 Stelle, allo stato, non hanno – e difficilmente avranno, anche tra un anno – candidati seri e “papabili” allo scranno presidenziale, ma i loro voti fanno gola a tutti: sono e restano la forza politica più grande presente in Parlamento e difficilmente, senza di loro e senza il loro gradimento, uno dei due schieramenti “canonici”, il centrodestra come il centrosinistra, può ambire a portare un suo uomo al Colle. Salvini, come la Meloni e, obtorto collo, pure Berlusconi, lo sanno: proprio con loro devono fare i conti, se vogliono riuscire nell’impresa. Come, ovviamente, lo sa bene il Pd. Dunque, come sempre, sarà “al centro” dell’area politica, e dei gruppi parlamentari, che si consumerà la lotta per conquistare il Colle, pur se il “centro”, oggi, vuol dire M5S. Lì, al centro, si bruceranno e si accavalleranno i candidati.

Infine, se nessuno di tali candidati dovesse avere chanches di vittoria o dovesse finire “bruciato” nelle prime votazioni (nei primi tre scrutini serve la maggioranza dei due terzi, dal quarto scrutinio in poi “basta” la maggioranza assoluta), tornerebbero in gioco figure istituzionali e super partes come Mario Draghi o la presidente della Consulta, Marta Cartabia, che ha il pregio di essere donna (mai una donna è salita al Colle) e di essere la candida in pectore del Colle o, meglio, del suo attuale inquilino. Una sola cosa è certa: Mattarella non si ricandiderà e non si farà mai ricandidare.


×

Iscriviti alla newsletter