Tra i banchi della Camera dei deputati si combatte una battaglia che denota immaturità da parte della classe politica. Lo dice a Formiche.net Giuseppe Fioroni, ministro della Pubblica Istruzione durante il secondo governo Prodi, che auspica un dibattito più improntato sulla sinergia e sulla valorizzazione della scuola italiana. Dopo l’impatto del Covid-19 sull’anno scolastico in corso si cercano soluzioni per ripartire lavorando sulle misure da adottare per settembre, ma bilanciare diritto all’istruzione e diritto alla salute è un esercizio tutt’altro che scontato, soprattutto se nell’equazione si inseriscono le migliaia di insegnanti precari che di fatto sono parte organica del comparto scolastico.
Come giudica l’operato del governo nel campo dell’istruzione durante la gestione della pandemia?
Da ex ministro della Pubblica Istruzione non sono abituato a giudicare l’operato degli altri, perché so bene quanto sia complesso ricoprire un ruolo del genere. So però alcune cose che giudico fondamentali, una delle quali è che la scuola italiana non è un’azienda, con un capo che decide, dispone e premia. È una comunità educante fondata su capacità di ascolto, dedizione e sulla straordinaria risorsa che sono il milione di docenti presenti in Italia. La scuola è il frutto di quello straordinario incontro tra il docente e il discente, tra insegnante e alunno. Il ministero può fare da cornice di questo gigantesco quadro, ma il quadro lo dipinge l’incontro studente-docente tra i banchi. La capacità di ascolto e di condividere è sempre una grande risorsa per la scuola italiana, figuriamoci in un momento di crisi dovuto alla pandemia che l’ha vista passare dall’oggi al domani all’insegnamento a distanza. Questa reazione è stata frutto di sacrifici e bisogna rendersene conto. I precari che insegnano da decenni nella nostra scuola non sono furbi che hanno messo la freccia per superare la coda, sono le vittime del sistema legislativo. La scuola italiana è diventata un sistema precarizzante fin da quando hanno revocato quello che decidemmo con Prodi sulle graduatorie a esaurimento. Noi dobbiamo portare rispetto a questi precari a cui affidiamo i nostri figli, dobbiamo essere in grado di esaurire questo sistema per tornare ad un reclutamento normale.
La volontà di Conte, condivisa anche da Azzolina, è quella di far tornare gli alunni tra i banchi a settembre con le dovute precauzioni.
Logico che l’Italia torna normale se i ragazzi tornano a scuola, ma gli studenti non possono essere legati al tavolo con le corde. Dobbiamo prendere in considerazione tutto ciò che favorisce il ritorno a scuola ampliando gli spazi, valutando anche di ampliare il numero dei docenti: se la pandemia non dovesse rallentare non potremo permetterci classi pollaio, i plexiglass non basteranno. Dobbiamo ragionare su come aiutare i sindaci a riattivare plessi scolastici che per il calo degli alunni sono stati chiusi, fare un attento mix tra lezioni a distanza e in presenza. Se serve qualche doppio turno è un sacrificio che si può fare, così come se serve qualche docente in più un Paese che guarda al futuro deve investire sui propri giovani e investire su chi li forma non sono mai soldi buttati ma un investimento per la crescita del Pil.
Un rapporto, quello tra studente e docente, che si scontra con la realtà.
Curare un sano per un medico è andare in vacanza, bisogna concentrarsi sui malati gravi. Allo stesso modo la scuola non deve pensare esclusivamente a chi ce la fa da solo, grazie ad esempio a famiglie abbienti alle spalle: la scuola è eccezionale se non lascia indietro nessuno. E questo costa sacrifici perché dobbiamo pensare a dare pari opportunità a chi parte in condizioni di svantaggio, che siano dovute a sesso, composizione di nucleo familiare. Anche qui dobbiamo investire le risorse perché le emergenze siano affrontate senza perdere i ragazzi.
E adesso il dl scuola tanto inviso all’opposizione, che da più parti lamenta l’apposizione della fiducia e lo svolgimento di una seduta fiume per arrivare al voto finale prima di domenica. È un ostruzionismo legittimo?
Sono convinto che sia un grande segno di immaturità da parte di una classe politica non rendersi conto che la pubblica istruzione – perché ricordiamoci che il termine “pubblico” sta per un servizio che dobbiamo garantire a tutti – non è né di sinistra, né di destra né di centro. Figuriamoci se è di maggioranza o di opposizione. La scuola è dei nostri figli ed è perciò un terreno in cui la politica dovrebbe fare un passo indietro, guardando al futuro del Paese e mettendo insieme le migliori proposte e sinergie. Il Parlamento deve avere questa capacità; se pensa che anche la scuola sia un grande risiko su cui proiettare battaglie campali non dà un grande contributo alla Repubblica italiana.
I precari della scuola, intanto, si apprestano a scioperare. Non manca forse loro una voce univoca, che ne porti avanti le istanze?
Il mondo della scuola è bello e interessante. Io faccio sempre una battuta: persone a cui affidiamo l’educazione dei nostri figli, che devono lavorare mattina e pomeriggio cercando di trasmettere loro il tarlo della curiosità e della voglia di conoscere, guadagnano meno di un parcheggiatore abusivo. Se ciascuno di loro ha anche l’ambizione di avere la ricetta per poter meglio educare i nostri figli, questo è espressione di una pluralità di cui dobbiamo fare tesoro. Il precario come ho detto non ha usurpato nulla, è qualcuno che quando lo Stato era in difficoltà si è rimboccato le maniche ed è andato a educare i nostri figli. Prendiamone atto e facciamo in modo che questo loro sforzo non venga ripagato con la generalizzazione. Io vedrei molto bene che venga data opportunità ai docenti di poter fare dopo anni di lavoro in classe un periodo sabbatico che consenta loro di riaggiornarsi e riqualificarsi, fatto in presenza e che termini con una valutazione, che diventi – oltre ad una rivalorizzazione del personale umano – una base per poter affidare sempre più al merito il procedere della carriera di un docente invece che sottometterlo ad altri artifizi. Io più che accanirmi con i precari avrei colto questa occasione per formare, aggiornare e riqualificare i docenti, perché c’è necessità di farlo periodicamente. Non è un diritto degli insegnanti ma un loro dovere, e lo Stato deve consentire loro di farlo a spese della comunità: un docente aggiornato e riqualificato è un docente che produce di più per la crescita e lo sviluppo dello Stato, formando i nostri figli.