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Lo Spazio a stelle e strisce. La missione di SpaceX secondo Darnis

Gli Stati Uniti stanno attraversando un momento difficile, segnato dal moltiplicarsi delle violenze e dal peso umano ed economico della pandemia di Covid-19. Il successo del lancio della capsula Crew Dragon rilancia le capacità statunitensi di volo umano, e ha pure aperto una finestra di positività in un momento di tensione.

Con l’epopea di SpaceX e il successo del lanciatore Falcon 9 osserviamo un ritorno alle origini della conquista spaziale, quando lo spazio extra-atmosferico rappresentava un’ulteriore illustrazione del destino manifesto di una nazione volta ad allargare sempre di più l’esplorazione delle nuove frontiere.

Vestendo le tute spaziali disegnate da Jose Fernandez, stilista che ha lavorato per le produzioni Marvel, i piloti della Crew Dragon, i colonnelli Bob Behnken e Doug Hurley, incarnano un ponte fra la Nasa tradizionale, dove hanno svolto la loro carriera, e il futuro, con un richiamo all’estetica sviluppata da Stanley Kubrick e George Lucas.

COME SI È ARRIVATI ALLA STORICA MISSIONE

Per la prima volta una società privata lancia uomini nello spazio. La capsula Crew Dragon è stata costruita dalla SpaceX, la società creata nel 2002 da Elon Musk, il tycoon di origine sudafricana che deve l’inizio della sua fortuna al successo di PayPal. Musk è un appassionato di tecnologia che ha sempre coltivato il sogno spaziale, una visione alimentata da riferimenti che mischiano sia una profonda conoscenza dei programmi spaziali sia elementi di fantascienza. L’inizio fu difficile, con tre fallimenti del razzo Falcon 1 (nome che ricorda il Millenium Falcon, astronave dell’universo Star Wars).

Il quarto andò bene, e da lì Musk ha saputo sviluppare la società in un modo spesso percepito come dirompente da un ambiente tradizionalmente conservatore. Il punto di svolta fu nel 2008, quando la Nasa affidò a SpaceX un contratto commerciale di 1,6 miliardi di dollari per servizi di rifornimento della stazione spaziale internazionale con il lanciatore Falcon 9. SpaceX è riuscita a sviluppare parti riutilizzabili dei razzi, come i booster, e ad abbassare i costi: oggi un lancio del Falcon 9 è stimato intorno a 50-60 milioni di dollari, un prezzo nettamente inferiore alla concorrenza.

Tutto questo non sarebbe stato possibile senza il cambio di paradigma operato dalla Nasa nel XXI secolo, quando, dopo la rimessa in questione del programma Shuttle, chiuso in modo definitivo nel 2011, si ritirò dal suo ruolo di produttore per diventare cliente delle aziende private, offrendo sia sostengo tecnologico sia mercato. Tutto questo porta ad una maggiore efficienza nella spesa pubblica. Dati gli ottimi risultati raggiunti con l’attività di cargo, la Nasa affidò nel 2014 un contratto a SpaceX e a Boeing per riprendere i voli umani a destinazione della stazione spaziale internazionale che erano stati affidati dal 2011 in poi ai sistemi russi.

LE NUOVE FRONTIERE DELLA POLITICA SPAZIALE STATUNITENSE

Mentre Boeing ha accumulato ritardi con il programma Starliner, SpaceX è riuscita a trasferire sul volo umano le soluzioni competitive e affidabili che aveva sviluppato per il trasporto spaziale. Una delle grandi qualità di Elon Musk è di aver saputo strutturare un team solidissimo per competenze ingegneristiche e spaziali sotto la guida operativa di Gwynne Shotwell. Dopo il volo umano la Nasa ormai sta pianificando una stazione spaziale commerciale, ulteriore tassello nella trasformazione della politica spaziale statunitense.

È importante notare come l’investimento pubblico, che rimane essenziale, viene usato come base e incubatore per ulteriori investimenti privati, che rimangono però controllati e regolamentati dalle autorità statunitensi.

Ma Musk non è solo in questo movimento che molti hanno descritto come new space economy. Jeff Bezos, fondatore di Amazon, che ha anche lui sviluppato tecnologie spaziali con il razzo Vanguard della sua società Blue Origin, sta ormai puntando allo sviluppo di un veicolo per l’esplorazione lunare e marziana. Abbiamo assistito durante gli ultimi anni negli Usa a una frenesia di start up spaziali emerse seguendo il modello della Silicon Valley, un connubio fra visioni tech e disponibilità di investitori pronti a scommettere capitale, aziende che potrebbero rivelarsi anche fragili nel difficile contesto economico post-Covid.

Lo stesso Elon Musk non nasconde il suo interesse nell’esplorazione del pianeta Marte, ad esempio con i suoi numerosi interventi nella serie di anticipazione “Mars” prodotta da National Geographic. La visione marziana di Musk si ritrova anche nelle parole del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che ha celebrato il successo della Crew Dragon dichiarando che a breve gli americani atterreranno su Marte.

Da anni gli Stati Uniti appaiono ripiegati su se stessi, al punto che l’universalismo statunitense sembrava essere sparito dopo il pragmatismo obamiano e la ristrettezza trumpiana. Vedere Washington rilanciare l’avventura umana nello spazio rappresenta un segnale positivo con una portata universale. E dobbiamo augurarci che questo Paese torni a dare non soltanto le tristi immagini di violenze e populismo, ma anche visionari che riescano ad incitare l’intero pianeta – per dirla con Star Trek – ad arrivare audacemente là dove nessun uomo è mai giunto prima.

(Articolo pubblicato su Affarinternazionali)


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