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Stati Generali superati, resta il Mes. Il diario di Colombo

Dal giardino di villa Doria-Pamphilj, nella giornata conclusiva degli Stati Generali, il premier del governo giallorosso, Giuseppe Conte, fa sapere – al netto di una conferenza stampa finale di “sintesi” ancora non avvistata, mentre scriviamo – di essere “concentrato” sulla stesura del Piano di Rilancio (che andrà presentato alla Ue) e sulle contrattazioni politiche sulla linea Roma-Bruxelles per avere le risorse del Recovery Plan, con almeno 150 miliardi in arrivo, ma solo a partire dal gennaio 2021. E così, dagli Stati Generali, Conte lancia la volata estiva, che si concluderà a settembre, per un pacchetto di investimenti e riforme che andranno/verranno finanziati con i fondi Ue.

Il Consiglio europeo “informale” dei 27 capi di Stato e di governo della Ue si è chiuso, infatti, con un compromesso che ha “spostato in avanti”, cioè al prossimo Consiglio Ue (quello del 9-10 luglio che stavolta sarà “formale”) senza risolvere in nulla il tema dei Recovery Fund che la Ue dovrebbe (presto?) adottare, con ristoro per il nostro Paese. Ma è anche vero che il piano della presidente von der Leyen, fortemente sponsorizzato dall’Italia – oltre che, si capisce, da Francia e Germania – è stato sonoramente bocciato dai “Paesi frugali” o quelli del patto di Visegrad.

Il premier terrà, la prossima settimana, nuovi incontri bilaterali con i leader europei, ma l’idea – spiega – resta di “predisporre sostegni economici in forma di grants and loans per quei Paesi che, per fisionomia e struttura, capacità di spesa negli anni, hanno minore reazione, minore resilienza. Noi siamo tra quelli”. E, dalla maggioranza, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio rilancia: “L’Europa si gioca tanto. La strada è una, quella del Recovery fund, con le risorse già discusse da ottenere con tempi certi e celeri”.

Conte, invece, si sbottona di più sul Recovery Plan, dopo il mezzo passo avanti registrato nel Consiglio Ue di venerdì. Il negoziato è ancora in salita – il 9 e 10 luglio ci sarà il nuovo summit, quello definitivo, e dunque quello “formale” – ma il premier lascia trapelare tutto il suo ottimismo: “Lo presenteremo a settembre. Il fatto che l’Italia, anziché come spesso accaduto in passato, sia stato il primo Paese in Ue a predisporsi a questo rilancio è un valore aggiunto”.

Il Recovery plan per l’utilizzo dei fondi Ue sarà pronto non prima di settembre, ma per avere più forza al tavolo Ue, il premier vorrebbe presentare entro l’inizio di luglio un primo programma condiviso anche con le opposizioni, alla quale per la prima volta “apre” con una certa sincerità.

IL VERO “CAPOLAVORO” SAREBBE RICUCIRE CON LE OPPOSIZIONI

Infatti, Conte vuole ricucire lo strappo e riportare al tavolo di Palazzo Chigi l’opposizione di centrodestra. Per lui, sarebbe un capolavoro e, insieme, una forte legittimazione. Gli inviti non sono partiti, ma l’incontro dovrebbe esserci.

Da Forza Italia fanno sapere che si deciderà “tutti insieme”, ma il Cavaliere, concavo e convesso, e ormai tornato al ruolo di “statista”, oltre che di “moderato”, non si sottrarrà. Anche dalla Lega, dopo un”iniziale chiusura, aprono a un confronto purché il confronto sia a Chigi o in Parlamento. In conferenza stampa, stasera, il presidente del Consiglio presenterà le prime proposte “concrete” per il rilancio e rinnoverà l’appello a Matteo Salvini, Giorgia Meloni, Silvio Berlusconi a sedersi al tavolo per il bene del Paese, promettendo che “il piano sarà presentato in Parlamento”.

LE OPPOSIZIONI NON SI FIDANO, MA SONO PRONTE AL DIALOGO

Dal centrodestra, la richiesta è di non ridurre l’occasione a mero ascolto, ma di accogliere sul serio le proposte. “Non abbiamo bisogno di ville o sfilate”, dicono i salviniani aprendo alla possibilità di sedersi a Palazzo Chigi. La Meloni, pur critica (“Andremo a vedere il bluff”), ringhia un mezzo sì. Chi spinge da tempo per stare al tavolo è Silvio Berlusconi, ma anche lui avverte: “Non basta l’ascolto puramente ‘formale’, senza tener conto delle nostre indicazioni, è un comportamento del tutto inadeguato”. Certo è che il centrodestra, sul Mes e su come utilizzare i fondi Ue, è diviso come non era mai stato: Forza Italia preme perché l’Italia sia della partita, Lega e Fratelli d”Italia dell’elemosina interessata” della Ue non sanno che farsene: si accingono a votare contro, quando ci sarà il voto.

LE TURBOLENZE DENTRO LA MAGGIORANZA SONO TANTE, MA QUELLE PIÙ IRTE DI PROBLEMI RESTANO QUELLE SUL MES

Ma pure la maggioranza attraversa un nuovo periodo di turbolenze per il riaccendersi del dibattito interno a M5S e Pd. In Senato i numeri sono precari e, come dimostra il caso del decreto elezioni, l’incidente è sempre dietro l’angolo. Non tutti i nodi del decreto semplificazioni, atteso la prossima settimana in Cdm, sono sciolti. Al tavolo della modifica dei decreti sicurezza si consuma un braccio di ferro che difficilmente si chiuderà prima di luglio. Sulle missioni, la Libia in particolare, si annunciano problemi. Senza considerare l’atteso snodo cruciale del voto sul Mes.

Lo spettro del Mes agita i 5 Stelle, ma il guaio è se, quando verrà votato dal Parlamento passerà e con quali voti e di chi. Un primo, e cruciale, voto si terrà sulle risoluzioni parlamentari, che stavolta ci saranno e saranno messe ai voti, dalle Camere, dopo il Consiglio Ue di metà luglio. Poi, a settembre, un secondo voto dovrà dare il via libera all’utilizzo dei fondi del Mes, gli unici soldi “sporchi, maledetti e subito” che l’Italia può ritrovarsi tra le mani, entro fine anno. l’obiettivo è di sgravare un po” la prossima manovra economica finanziaria che si preannuncia altrettanto impegnativa delle due manovre “straordinarie” già varate finora (il dl “Cura Italia” e il dl “Rilancio”: 85 mld in due) e che, entro il 15 ottobre, va varata e portata alla Ue. Il sì, da parte di Pd e Italia Viva, e pure LeU, è sicuro. Si vedrà se arriverà pure l’apporto di tutto o un pezzo di M5S, se questo si spaccherà o meno, sul Mes e sulla manovra, e se, dunque, i voti di Forza Italia diventeranno decisivi.

Prima o poi, dunque, un voto sull’uso dei fondi del Mes dovrà arrivare e che lì si “parrà la nobilitade” della maggioranza. Si vedrà, cioè, se i numeri delle forze che appoggiano il governo basteranno da sole o se, causa i voti mancanti di una pattuglia di grillini dissidenti, arriveranno, in soccorso, ma non certo “a gratis”, i voti di Forza Italia.

IL PREMIER, ALLA FINE DEGLI STATI GENERALI, TIRA UN SOSPIRO DI SOLLIEVO: LA SETTIMANA DI SCARSI FATTI, MA NESSUN GUAIO

Tornando a un bilancio degli “Stati Generali sull’Economia”, voluti testardamente e isolatamente, dato lo scetticismo dei partiti che compongono la maggioranza (dal Pd al M5s, da Iv a LeU, o erano arrivate critiche feroci o silenzi imbarazzati anche solo sull’idea di tenerli), va detto che si sono chiusi assai meglio di come si sono aperti.

Non che la “passerella” inscenata dal premier, Giuseppe Conte, nella splendida cornice di villa Doria-Pamphilj abbia prodotto risultati concreti e rivoluzionari, ma non sono neppure accadute gaffe roboanti, interne o esterne.

I sindacati hanno, sostanzialmente, detto “sì al premier, Confindustria ha criticato il “vuoto” delle proposte del governo, ma senza picchiare duro più di tanto. Le opposizioni hanno protestato sì, ma blandamente, senza calcare troppo i toni, come invece fatto in Parlamento. Pure i pochi contestatori esterni (immigrati, cantanti…) sono stati, con grande bonomia, ricevuti e ascoltati dal premier.

Nessun avviso di garanzia per la “zona rossa” è caduto, come una tegola rovinosa, sul capo di Conte, da parte della procura di Bergamo (può sempre arrivare, si capisce, ma non è arrivato, quantomeno, durante questa settimana). Persino l’audizione del premier davanti alla commissione Regeni in merito all’imbarazzante vendita di due fregate militari all’Egitto, senza ottenere in cambio alcun passo avanti sul contesto e le responsabilità del regime egiziano sulla morte del nostro povero Giulio, è passata via liscia.

Infine, ciliegina sulla torta, il Parlamento ha approvato, seppur con una vera e propria pochade all’italiana andata in onda al Senato della Repubblica, il dl elettorale che fissa, al 20 settembre, l’election day, cioè l’abbinamento di sette elezioni regionali, mille elezioni comunali e un referendum costituzionale, che è sul taglio del numero dei parlamentari, per la gioia simmetrica del Pd (per la data delle regionali), dei 5Stelle (per il referendum) e la non ostilità sostanziale dei governatori che avevano minacciato fuoco e fiamme. Insomma, “tutto va bene, madama la Marchesa”, si potrebbe anche dire, volendo, in merito alla sempre perigliosa e spesso infruttuosa navigazione di governo e maggioranza.

MA IL BICCHIERE LO SI PUÒ VEDERE ANCHE “MEZZO VUOTO”…

Naturalmente, però, a voler vedere, invece, il bicchiere “mezzo vuoto”, e non “mezzo pieno”, i problemi restano. I 5 Stelle si sono avvitati in una crisi interna squassante, con lo scontro tra l’asse Grillo-Di Maio e quello Casaleggio-Di Battista che potrebbe anche finire con una mega-scissione.

Nel Pd si mette in dubbio la leadership di Zingaretti (ieri, il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, ha di fatto lanciato quella, alternativa, del governatore Stefano Bonaccini), i dossier aperti e mai risolti più scottanti sono tutti sul tavolo (Alitalia, Ilva, Autostrade, etc.) e, soprattutto, sulla revisione dei “decreti sicurezza” dell’allora ministro Salvini si preannuncia uno scontro al fulmicotone tra il Pd, che li vuole rivoltare come un calzino, e l’M5S, che li difende, pronto ad accettare solo i “rilievi” mossi dal Quirinale. Infine, il voto sul Mes, quando sarà, si preannuncia una prova “decisiva” per la tenuta della maggioranza di governo.

I “PROGETTI CONCRETI”. IN ARRIVO C’È IL “DL SEMPLIFICAZIONI”

Ecco perché il premier ci prova, nel giorno di chiusura degli Stati generali, a lanciare una road map precisa con “progetti concreti”, partendo dalla sburocratizzazione del Paese, per trovare un recupero in termini di produttività e di Pil.

La chiave di volta, secondo palazzo Chigi, sarà il decreto Semplificazioni, considerato di “grande importanza”. “Stiamo continuando a lavorare anche in questi giorni, per cui confido che saremo pronti già la settimana prossima”, spiega da Villa Doria Pamphilj il premier, per varare un “provvedimento mirato per intervenire su alcuni snodi, ma – avverte – un solo provvedimento normativo non può risolvere i problemi atavici di “incrostazione” burocratica”.

Insomma, alla fine degli Stati generali, il premier si mostra convinto che il metodo di “progettare insieme” il piano di rilancio pagherà: “Siamo i primi in Europa a farlo”, dice. Presto si vedrà se le sue resteranno pie speranze o realtà.



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