Alla fine è accaduto ciò che noi su Formiche.net scriviamo ormai da settimane (non che fosse una difficile previsione, sia chiaro): nonostante gli ultimi disperati tentativi della diplomazia tedesca, il summit tra Unione europea e Cina, previsto a settembre a Lipsia, in Germania, è stato rinviato. L’ha annunciato il governo tedesco. La ragione ufficiale? Coronavirus.
Rinviato, non cancellato. È un aspetto non secondario. Già il rinvio pesa molto al governo di Angela Merkel, visto che la Germania da luglio presiederà il Consiglio dell’Unione europea e l’appuntamento di Lipsia è ritenuto a Berlino il sigillo sulla linea imposta a Bruxelles nelle relazioni con la Cina.
Ma rinviato a quando? La Germania ha tempo fino a fine anno per non regalare una ghiottissima opportunità (quantomeno d’immagine) al Portogallo, che la succederà alla guida del Consiglio dell’Unione europea dal primo gennaio 2021. Si è parlato di ottobre e novembre, ma entrambi i mesi sono stati scartati. Più fattibile sembra dicembre, che lascerebbe alla cancelliera Merkel l’occasione tanto desiderata di avere il presidente cinese Xi Jinping a Lipsia.
Ci sono altre ragioni dietro il rinvio e la possibile scelta di dicembre. La prima: dare tempo ai diplomatici di lavorare su temi complessi come gli investimenti e il clima. La seconda: evitare di dover parlare di Hong Kong lasciando così decantare la crisi attuale. La terza: evitare di lanciare segnali a Washington di unità tra Unione europea e Cina in una fase tanto delicata per i rapporti tra le due superpotenze (con il Vecchio continente che rischia di diventare terreno di lotta e di conquista). La quarta: dopo aver rifiutato di partecipare al G7 “fisico” convocato dal presidente statunitense Donald Trump, la cancelliera tedesca Angela Merkel non può permettersi di partecipare a un vertice di così alto livello, per giunta con la superpotenza rivale (quel Paese che, meglio non dimenticarlo, l’Unione europea ha definito “rivale sistematico” soltanto un anno fa). La quinta: aspettare le elezioni presidenziali negli Stati Uniti sperando in una sconfitta di Donald Trump e quindi in una vittoria del democratico Joe Biden, ben più convinto — come Berlino — che Pechino possa aprirsi al mondo (anche lato diritti umani) attraverso il dialogo, gli scambi commerciali e gli investimenti.