Dopo avere annunciato la controversa decisione di riprendere i suoi comizi a Tulsa, in Oklahoma, proprio nel “Juneteenth”, il 19 giugno, e averla difesa in un’intervista alla Fox News, il presidente Donald Trump si è apparentemente arreso alle pressioni e ha rinviato l’evento al 20 giugno, così, almeno, da evitare la coincidenza con il giorno in cui si celebra la fine della schiavitù nell’Unione. Tulsa fu teatro, nel 1921, di uno dei peggiori massacri di neri della storia americana.
La celebrazione di “Juneteenth”, com’è tradizionalmente chiamata, nasce dal fatto che il 19 giugno 1865, alla fine della Guerra civile, le truppe unioniste, giunte in Texas, vi lessero la proclamazione d’emancipazione, che annunciava la liberazione degli schiavi. Degli Stati confederati, il Texas era l’ultimo a esserne ufficialmente informato.
La decisione di Trump di fare ripartire la sua campagna proprio nel “Juneteenth” e a Tulsa aveva suscitato diffuse e vibrate proteste, dopo tre settimane di tensioni anti-razziste in tutta l’Unione, dopo l’uccisione di un afro-americano inerme di 46 anni, George Floyd, ad opera di un poliziotto, lunedì 25 maggio a Minneapolis.
Con un tweet Trump, ieri sera, ha segnalato che il comizio si farà sempre a Tulsa, ma il 20 giugno. Poche ore prima, intervistato su Fox News, aveva sostenuto che la manifestazione nel ‘Juneteenth’ voleva essere “una celebrazione”, non una provocazione.
Nella stessa intervista, Trump ha assicurato che, se sarà sconfitto alle elezioni, farà “altre cose”, replicando dichiarazioni del suo rivale Joe Biden, secondo cui il magnate potrebbe non volere lasciare la Casa Bianca, se battuto al voto il 3 novembre. “Se non vinco, non vinco. Vado e faccio altre cose”.
Negli ultimi giorni, Biden ha intensificato le prese di posizione e gli attacchi al presidente: è favorevole al cambio dei nomi delle basi militari intitolate ai generali confederati – Trump è contrario – e a riforme della polizia. Politico attribuisce al candidato democratico questa posizione: “I nomi delle installazioni militari devono onorare la diversa eredità e il sacrificio della leadership. Sostengo la creazione di una commissione bipartisan per cambiare entro tre anni i nomi delle basi militari intitolate a generali confederati”.
Il contrasto tra Trump e Biden sulle risposte da dare alle proteste razziali delle ultime settimane nasce, secondo la Cnn, anche dal fatto che il magnate punta a trasformare la campagna in una sorta di “guerra culturale”, ritenendo che alimentare scontri tra ‘liberal’ e conservatori lo favorisca. Però, a giudicare dai sondaggi, suoi recenti atteggiamenti suscitano dubbi in parte del suo elettorato, specie fra le donne che non vivono in grandi città: controverse appaiono, soprattutto, le posizioni sulle proteste per l’uccisione di Floyd.
Anche sulla gestione della pandemia da parte di Trump, Biden è molto critico, ma rischia d’essere contraddittorio. La definisce “quasi criminale” e dice: “Ci sarà qualche forma di seconda ondata … Il presidente ci ha cacciato nella peggiore crisi del mercato del lavoro da più di un secolo”.
Secondo i dati della Johns Hopkins University, venerdì i morti per coronavirus negli Stati Uniti sono stati 839 e i nuovi contagi circa 20 mila, per un totale rispettivamente di quasi 2.050.000 milioni e 114.669. Preoccupa soprattutto l’aumento di casi in tre Stati fra i più popolosi, California, Texas e Florida, che compensa la riduzione dei casi a New York e nel New Jersey, dove l’epidemia ha inizialmente colpito più duro. Resta da chiarire se l’aumento dei casi rilevati è funzione dell’aumento del numero dei test o di una reale maggiore propagazione del virus.
Secondo un modello scientifico elaborato dall’Institute of Health Metrics and Evaluation (Ihme) della Washington State University, una seconda ondata potrebbe colpire gli Usa verso settembre. Si prevede – riferisce il Seattle Times – che il bilancio delle vittime negli Usa raggiunga i 170 mila decessi entro il primo ottobre. Un dato, però, attenuabile, con misure di prevenzione adeguate.