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Trump ordina il ritiro dei militari Usa dalla Germania. Ecco perché

Di Stefano Pioppi ed Emanuele Rossi

Strappo tra Donald Trump e Angel Merkel. Il presidente americano ha ordinato al Pentagono di ritirare dal territorio tedesco all’incirca 9.500 unità, ridimensionando in modo importante la presenza nel Paese. Dopo le insoddisfazioni degli Usa per l’impegno della Germania al 2% del Pil da spendere in Difesa e il dibattito al Bundestag sulla partecipazione al sistema di dissuasione nucleare dell’Alleanza Atlantica, la goccia a far traboccare il vaso potrebbe essere stato il rifiuto della cancelliera a partecipare al G7 negli States. Sullo sfondo, si aprono scenari di ri-equilibrio che coinvolgono anche l’Italia.

L’ORDINE

Secondo il Wall Street Journal, primo a riportare la notizia, la richiesta di Trump sarebbe di ridurre, entro settembre, il contingente impegnato in Germania di circa 9.500 unità. Considerando l’attuale presenza di 34.500 militari americani nel Paese (con picchi di 52mila a seconda delle varie rotazioni), significherebbe arrivare a 25mila nel giro di meno di tre mesi. L’ordine al Pentagono arriva nella forma del memorandum dal consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca Robert O’Brien.

IL QUADRO GEOPOLITICO

La notizia arriva in un momento delicato per i rapporti tra Washington e Berlino. La cancelliera Angela Merkel ha evitato di partecipare al vertice del G7 convocato da Trump per problemi legati al Coronavirus, almeno formalmente. A livello informale, si sa che la Germania non vede di buon occhio la lettura che The Donald vuole dare del sistema dei grandi, ossia la linea anti-Cina. Successivamente, Merkel ha fatto saltare il summit Cina-Ue, sempre per ragioni formalmente connesse al Covid. Berlino sta organizzando la riunione da un anno, e intende usarla come coronamento del proprio semestre europeo. La decisione di rinviarlo potrebbe essere legata sia al rapporto con gli Usa (che al vertice con Pechino sarebbero stati i convitati di pietra), sia alle problematiche interne all’Ue (emerse anche durante il coronavirus). Presentarsi indecisi davanti alla Cina era una debolezza strategica, secondo Merkel.

LE DIFFICOLTA’ CON BERLINO

Al quadro geopolitico si aggiungono questioni puntuali che hanno fatto vibrare il rapporto tra Berlino e Washington. Resta nota l’insoddisfazione degli Usa di Donald Trump all’impegno dedicato da Berlino alla Difesa. Nel summit Nato del 2019, le strigliate del presidente americano sulla lontananza dal 2% del Pil per la spesa dedicata al settore da parte di alcuni alleati europei (Germania in testa) rischiarono di far saltare il vertice. A Washington non sono piaciute nemmeno le discussioni delle ultime settimane sulla partecipazione tedesca alla dissuasione nucleare della Nato.

Nonostante le rassicurazioni della ministra Annegret Kramp-Karrenbauer, si sono fatte sentire le rinnovate insofferenze dei socialdemocratici dell’Spd all’interno della Grosse Koalition guidata da Angela Merkel. Insofferenze per l’impegno tedesco (promesso all’Alleanza) di dispiegare armamenti nucleari americani, intrecciatisi al complesso dibattito sulla sostituzione dei Tornado per la Luftwaffe. Dopo la rumorosa esclusione dell’F-35 dalla gara, la scelta del dicastero tedesco della Difesa per un mix tra i Super Hornet di Boeign e gli Eurofighter, non ha soddisfatto nessuno.

LE PROSPETTIVE (PER L’ITALIA?)

In ogni caso, il ritiro corposo dei militari americani apre scenari importanti anche per gli altri alleati europei, Italia in testa. Difficile immaginare che il personale Usa rientri totalmente in Patria. Nonostante il richiamo continuo al Vecchio continente ad assunzioni di responsabilità sulle questioni della sicurezza internazionale, gli Stati Uniti non intendono (almeno per il momento) abbandonare la presenza in Europa, particolarmente rilevante sia nel tradizionale confronto con la Russa, sia nella nuova corsa con la Cina. C’è dunque da capire chi prenderà il posto della Germania.

LA SPONDA POLACCA

A fronte delle difficoltà con i tedeschi, l’amministrazione Trump ha già rispolverato la solida sponda polacca. All’incirca un anno fa, l’incontro alla Casa Bianca con il premier Andrzej Duda rilanciava l’asse tra Washington e Varsavia, condito dalla richiesta polacca per una trentina di F-35. In quell’occasione si confermava inoltre l’incremento di mille soldati americani nel Paese, in rotazione dalle basi tedesche, da aggiungere ai 4.500 già lì presenti; si ufficializzava poi il dispiegamento di uno squadrone di droni MQ-9 Reaper della US Air Force, nonché il via libera a stabilire in Polonia capacità di Special Operations da parte degli americani, un nuovo Combat Training Center (Ctc) congiunto a Drawsko Pomorskie e nuove infrastrutture per le truppe. Non emergeva tuttavia nulla di nuovo sul “Fort Trump”, la mega struttura per un’altra base Usa nel Paese proposta da Varsavia al fine di incrementare la capacità di deterrenza nei confronti della Russia. Chissà che non venga ora nuovamente rispolverata.

LA QUESTIONE AL PENTAGONO

Intanto, resta da capire come l’ordine di Trump venga accolto dal Pentagono. Per quanto una mossa simile sia in discussione da tempo, molte strutture della Difesa a stelle e strisce non vedono di buon occhio l’indebolimento dei rapporti con le controparti tedesche. Il tutto si inserisce nei minimi storici del rapporto tra il presidente e il segretario alla Difesa Mark Esper, tra i più autorevoli membri dell’amministrazione a prendere le distanze dalla linea dure di Trump sulle proteste in corso. Secondo diversi quotidiani Usa, la posizione di Esper al vertice del Pentagono potrebbe essere a rischio. L’ordine per la riduzione della presenza in Germania potrebbe incrinare ulteriormente i rapporti.

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