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Ue-Cina, ecco cosa ci lascia il summit di lunedì

Di Francesca Ghiretti

Le premesse del summit del 22 giugno 2020 tra Unione europea e Cina non erano delle migliori. Se da un lato la pandemia ha costretto i rispettivi leader a incontrarsi online, anziché di persona come di consueto, dall’altro il summit ha avuto luogo in un clima meno disteso ed ottimista del solito. Il tanto atteso summit di Lipsia, occasione in cui Bruxelles e Pechino avrebbero finalmente firmato l’agognato accordo comprensivo sugli investimenti, è per il momento congelato fino a data da definirsi. Inoltre, alcuni giorni prima del summit di lunedì scorso, la Commissione europea ha adottato un “white paper” con l’intenzione di limitare la capacità di azione nel mercato europeo di aziende finanziate da Stati terzi; decisione evidentemente mossa a colpire le imprese di Stato cinesi e le potenziali distorsioni di mercato che queste possono portare.

Aggiungiamo gli attacchi cibernetici agli ospedali durante la pandemia, un clima globale che vede rimanere tese le relazioni tra la Cina e gli Stati Uniti, il caso della legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong e una lunga storia di promesse da parte di Pechino che però raramente si sono trasformate in realtà, e forse potremmo iniziare a capire perché questa volta la conclusione del summit è stata è un po’ meno rosea del solito.

MA NON ASPETTIAMOCI UNA GUERRA DEI DAZI 

Non giungiamo a conclusioni affrettate. Sappiamo non essere nel dna dell’Unione europea adottare azioni che possano realmente mettere a repentaglio la relazione con la Cina, non aspettiamoci dunque una guerra dei dazi tra Ue e Cina, almeno non per il momento. Tuttavia, durante la conferenza stampa conclusiva, questa volta non congiunta, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha adottato un tono e termini ben più duri del solito. Se in passato, Bruxelles e Pechino hanno sempre accettato di non essere d’accordo su alcuni punti, senza che questo presentasse un reale ostacolo alla loro collaborazione, questa volta alcuni di questi disaccordi devono trovare una soluzione. Protagonista di questo discorso è il famigerato accordo comprensivo sugli investimenti che dovrebbe in teoria garantire agli investitori europei in Cina pari diritti e possibilità rispetto agli investitori cinesi ed anche un maggiore accesso al mercato. La questione è sotto negoziati dal 2014, da allora ad oggi, mentre gli investitori cinesi in Europa hanno avuto più o meno libero accesso al mercato europeo, quelli europei in Cina si sono visti sottoposti a stretti limiti e trattamenti non paritari.

L’imminente semestre di presidenza del Consiglio dell’Ue a guida tedesca aveva perciò deciso di prendere le redini della situazione decidendo che l’accordo doveva concludersi entro la fine del proprio mandato, dicembre 2020. Il summit di Lipsia previsto per il settembre prossimo era stato scelto come momento per la firma. La posticipazione a data da definirsi del summit, tuttavia, non sembra aver indebolito particolarmente la determinazione europea. Secondo le parole della presidente von der Leyen, questo è il momento di risolvere i rimanenti ostacoli e di firmare l’accordo; se Ue e Cina si lasciassero sfuggire questa occasione, avrebbero perso un’opportunità potenzialmente unica. L’intenzione è quella di elevare i negoziati per l’accordo, dando loro maggiore visibilità e portandoli ad un livello più alto nella speranza di avere così successo. Quello che ci si chiede è però se la perdita del momentum implicherebbe il definitivo abbandono, almeno per prossimo il futuro, dell’accordo o se invece passato questo, si tornerà alle consuete negoziazioni senza fine, dove i soliti problemi continuano a presentarsi.

UN ATTEGGIAMENTO PIÙ PRAGMATICO E MENO ILLUSO 

Purtroppo, istanze più complesse, come il caso di Hong Kong, vedono l’Unione europea ancora titubante. Ferma nell’affermare il proprio disaccordo e l’illegalità della decisione di Pechino rispetto alla Dichiarazione congiunta sino-britannica, ma per il momento, al di fuori di minacce di potenziali future ripercussioni non definite, non vi è altro. Ad onor del vero, l’Ue, ed in particolare il Parlamento europeo, si sta muovendo per portare la questione di fronte alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja. Tuttavia, sappiamo che la Cina in passato ha già ignorato decisioni provenienti proprio da questo tribunale, quindi perché questa volta dovrebbe essere diverso? Parte della risoluzione prende anche in considerazione l’eventuale adozione di dazi da parte dell’Ue nei confronti della Cina.

Indubbiamente la lunga serie di docce fredde di realtà ha portato infine ad un atteggiamento meno illuso e forse, più pragmatico da parte dell’Unione europea. D’altro canto, la Cina continua a dipingere il summit, e quindi la relazione con l’Ue, come un altro successo. Viene sottolineato come i punti di convergenza tra i due continuino a superare di gran lunga quelli di divisione; il premier Li Keqiang afferma dunque che il livello di cooperazione tra Ue e Cina è di gran lunga maggiore rispetto a quello della loro competizione. Su Xinhua, il presidente Xi Jinping si munisce dei soliti strumenti retorici facendo riferimento all’Ue e alla Cina come principali forze, mercati e civiltà globali. Quest’ultima, in particolare ha destato non pochi dubbi: l’Unione europea è molteplici cose, ma forse definirla un’unica civiltà, con annesse connotazioni storiche, è spingersi un pochino troppo oltre.

UN VERTICE CHE NON È DESTINATO A RIMANERE UN EPISODIO ISOLATO 

L’immutata retorica cinese, seppur prevedibile, rende difficile sperare che nei prossimi mesi si riesca a giungere a un compromesso tra i due, anche solo nell’ambito dell’accordo comprensivo per gli investimenti. D’altro canto, il summit ha chiaramente segnato un cambio di atteggiamento da parte di Bruxelles, cambio che si è sviluppato lentamente nei passati anni e che, con ogni probabilità, continuerà a prendere forma gradualmente nel futuro.

Il summit di lunedì 22 giugno non sembra perciò destinato a rimanere un episodio isolato. Con la presidenza von der Leyen, la relazione tra Unione europea e Cina ha confermato un processo di cambiamento che vedrà Bruxelles difendere i propri interessi più decisamente ed apertamente.

(Leggi l’articolo su Affari Internazionali)

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