Leggiamo con sorpresa, finanche con sconcerto, le riflessioni sul Venezuela espresse nell’editoriale “Calcoli errati (a ovest)”, pubblicato in prima pagina dal Corriere della Sera in data domenica 21 giugno 2020. Non possiamo non rimanere stupefatti dal taglio e ancor più dai contenuti, e soprattutto dalle omissioni presenti nel fondo in oggetto; un argomento tanto importante, quale quello della politica estera italiana, e ancor più quello direttamente chiamato in causa, della tragedia venezuelana, esige una integrazione, che potremmo emblematicamente intitolare “la prospettiva errata (sul Venezuela)”.
Il Venezuela di Hugo Chávez e Nicolás Maduro non può essere esaminato come uno dei tanti fenomeni latinoamericani caratterizzati, nel passato come nel presente, da elementi di autoritarismo: il Venezuela della “rivoluzione bolivariana” appare, oggi ancor più chiaramente, l’esperimento più atroce, totalitario e criminale che la storia dell’America Latina abbia mai vissuto. Oggi più di 5 milioni di venezuelani vivono fuori dai confini, costretti a fuggire per fame e per repressione, entrambe armi di sterminio e controllo del potere.
È oggi un Paese senza gas, senza acqua potabile, senza carburante, senza industria, senza risorse se non quelle derivanti dai traffici criminali di natura transnazionale che fioriscono sin dai tempi del dittatore Chavez, golpista indottrinato da Fidel Castro e irresponsabilmente graziato dopo due anni di galera dorata. Non si venga, per amore della verità e dei fatti, a dire che sulle condizioni attuali pesano le sanzioni (dell’Impero Yankee, ovviamente): il dipartimento del Tesoro ha emesso sanzioni dure contro il regime e alcuni settori del Paese solo poco più di un anno fa, mentre, tanto per fare un esempio, i primi grossi problemi nella fornitura di energia elettrica cominciarono nel Paese nel lontano 2009, ben undici anni fa. Non casualmente, solo due anni prima, il dittatore Chavez aveva nazionalizzato il settore elettrico. Se c’è una sanzione che affama e uccide quotidianamente il popolo venezuelano, è la sanzione inflitta sadicamente dalla rivoluzione castrochavista a un Paese ricchissimo di risorse, e dotato in precedenza di una società civile viva e vitale.
Spiace anche constatare come per l’ennesima volta si indugi, anche lessicalmente, sul riconoscimento di Juan Guaidó come presidente legittimo della Repubblica. Vale giusto la pena di ricordare come le elezioni del 2018, che portarono quelle sì all’auto-proclamazione di Maduro come vincitore (concretamente, proclamato come tale da un Comitato elettorale nazionale illegale nominato direttamente dal regime, in barba a ogni legittima procedura interna) sono state riconosciute dalla comunità internazionale (perfino dall’Italia!), nonché dall’Organizzazione degli Stati americani, dall’Unione europea e tanti altri fori multilaterali non “schiavi” degli “errori” dell’Occidente, come elezioni totalmente e radicalmente manovrate, pilotate, farsesche, oltre che viziate a monte da violenze e repressione nei confronti delle opposizioni: in breve, tamquam non essent.
A fronte pertanto di un vuoto assoluto di potere, cioè dell’assenza di un presidente eletto secondo procedure costituzionali, l’anno scorso il Parlamento venezuelano, l’Assemblea nazionale (ultimo organo rimasto legittimo nel Paese, e per questo sottoposto a repressione, arresti, violenze, pestaggi, processi politici) ha semplicemente provveduto ad applicare quanto la Costituzione, perfino quella chavista, prevede: l’affidamento dell’incarico di presidente ad interim al presidente dell’organo rappresentativo della sovranità popolare. Se ci pensa bene, è quello che accade anche in tanti altri sistemi, non ultimo il nostro. La differenza è che qui il presidente del Senato, in tali circostanze, non sarebbe al centro di una sterile disputa giuridica sulla sua qualità o meno di capo di Stato pro-tempore. Mentre in Venezuela, il presidente in questione deve lottare per rimanere libero, vivo, e ha bisogno dell’appoggio internazionale per non finire in carcere, per volontà del regime, e su mandato del procuratore generale Tarek Wiliam Saab; nome curioso per un latinoamericano.
Così come è curioso il nome di uno degli uomini forti del regime, tale Tareck El Aissami, figlio e nipote d’arte (i suoi erano tra i fondatori del partito Ba’ath in terra siriana e irachena), secondo svariate procure federali statunitensi, principe del narcotraffico, del riciclaggio di denaro e uomo-cerniera tra Caracas e Teheran, con tutto ciò che ne consegue, cioè anzitutto Hezbollah. Non possiamo certo affrontare qui i tanti altri motivi per cui il Venezuela, stato decomposto in mano a un conglomerato di criminali internazionali e protetto da quei “bravi ragazzi” dell’arena globale contemporanea (Cina, Russia, Cuba), è oggi focolaio tra i principali e forse più pericoloso di instabilità globale. Basti pertanto solo prendere in esame le tossiche relazioni tra Caracas e Teheran e rispettivi proxy, sin dalla metà degli anni 2000.
Basti informarsi, come direbbe Beppe Grillo, nel web, su che cosa succede da anni soprattutto nella la parte meridionale del Paese: si scoprirà (e le prove sono abbondanti) che nel cosiddetto “Arco Minero”, regione amazzonica venezuelana, operano gomito a gomito l’Eln e le Farc colombiane, e nientemeno che il “Partito di Dio”, quello Hezbollah che dalle miniere illegali del Paese caraibico estrae illegalmente quantità impressionanti di minerali preziosi, tra cui oro, diamanti, coltan, uranio, torio. Non è necessario un grande sforzo di immaginazione per intuire come tali risorse, aldilà della natura criminale dell’attività estrattiva già di per sé abominevole, vadano a finanziare attività non propriamente solidaristiche, sotto l’egida della premiata ditta Al Quds-Hezbollah. A chi pensa che tutto ciò sia fantasia, consigliamo di analizzare la folta letteratura in merito, spesso opera di un’attività di oltre quindici anni di autentica lotta per la conoscenza, messa in campo con coraggio indomito dal deputato italo-venezuelano Américo de Grazia, messo in salvo e oggi libero di poter parlare grazie ad una straordinaria operazione diplomatica del presidente Pierferdinando Casini, pochi mesi fa.
Quanto all’asserita, probabile “maggioranza” del popolo venezuelano che ancora appoggerebbe il governo, non c’è che dire. Vent’anni di repressione, incarcerazioni, stampa indipendente inesistente, più di 400 prigionieri politici, decine di deputati costretti all’esilio, elezioni fraudolente e consultazioni rubate, più di 7.000 esecuzioni extragiudiziali: un elenco di elementi che tipicamente caratterizzano quei Paesi i cui governi dormono sonni tranquilli, perché sanno di poter contare su una parte “probabilmente maggioritaria” del popolo. Per carità, non scherziamo!
Giulio Terzi di Sant’Agata, presidente del Global Committee for the Rule of Law “Marco Pannella”
Matteo Angioli, segretario del Global Committee for the Rule of Law “Marco Pannella”
Andrea Merlo, analista del Global Committee for the Rule of Law “Marco Pannella”
Laura Harth, analista del Global Committee for the Rule of Law “Marco Pannella”