Centrodestra unito, in vista delle elezioni regionali, contro un centrosinistra diviso e che non riesce a chiudere – tranne, forse, in Liguria – accordi sistemici con i 5Stelle e neppure alleanze di centrosinistra ‘all inclusive’, cioè con dentro Iv, Azione civile di Calenda, +Europa della Bonino. Con la prospettiva di rischiare pesanti sconfitte, alle prossime regionali, in regioni che amministra da tempo, come la Puglia di Emiliano e la Campania di De Luca, ma anche come le Marche, e di non riuscire a riprendersi la Liguria, che è anche la terra del vicesegretario Orlando.
PD IN SUBBUGLIO
Dossier scottanti (Autostrade, Ilva, Alitalia, ora anche il ‘pasticciaccio brutto’ sull’Iva) che si affastellano, sul tavolo del governo, e su cui né il premier riesce a venire a capo né il Pd riesce, in buona sostanza, a toccare palla. Dato che fa ancor più male, considerando che si tratta di crisi industriali – cioè la costituency – core business di un partito come il Pd – e dato che fa letteralmente imbizzarrire i democrat. Senza dire del fatto che, sui decreti sicurezza, ‘bandiera’ di Salvini e la cui abrogazione, totale o parziale, è la ‘controbandiera’ del Pd, i dem non riescono a venire a capo della ostinazione dei 5Stelle che, di cambiarli, non ne vogliono sapere.
Infine, ecco il voto del Parlamento sul Mes che si avvicina a grandi passi con l’incognita della tenuta di una maggioranza che, specialmente al Senato, fa acqua da tutte le parti: in debito di ossigeno come di voti, rischia di finire ‘sotto’ se non arrivano i voti di FI. In buona sostanza, “così il governo rischia di subire una spallata, dopo le Regionali”.
Tutti punti, e problemi, che hanno fatto perdere la pazienza al Nazareno e hanno fatto sbottare il segretario Nicola Zingaretti, il quale ha richiamato in vita la “sindrome di Tafazzi” per indicare l’autolesionismo tipico dei partiti della sinistra. Attacco polemico che Zinga, in un intervento su Facebook, ha condito così: “Tra le forze politiche unite a sostegno del Governo Conte prevalgono i no, i ma, i se, i forse, le divisioni. Il motivo è ridicolo: si può governare insieme 4 anni l’Italia, ma non una Regione o un Comune perché questo significherebbe ‘alleanza strategica’. Ridicolo!”.
Ma quando, a sinistra, si evoca la “sindrome di Tafazzi” (reso immortale dal trio comico milanese Aldo, Giovanni e Giacomo, il personaggio di ‘Tafazzi’ si martellava di continuo gli zebedei provando, peraltro, un intenso piacere), vuol dire che la situazione è critica, pericolosa. Evocato, di volta in volta, da Prodi come da Veltroni, da Bersani e persino da D’Alema, ora è il turno di Zingaretti.
IL MONITO DI ZINGA (VIA REP)
Zingaretti fa scrivere al quotidiano La Repubblica, per la penna del caporedattore del Politico, Stefano Cappellini, un retroscena uscito oggi dal retrogusto assai amaro che s’intitola “Zingaretti: il governo rischia dopo le regionali”. L’articolo è, peraltro, una notizia in sé: Zingaretti e i suoi, infatti, ‘aborrono’, per dirla con Giampiero Mughini, la forma stessa del ‘retroscena’ come genere giornalistico. Quindi, anche in questo caso, lasciar passare sui giornali le proprie ‘preoccupazioni’ indica che il tempo volge al brutto.
Poi c’è il concetto che Zingaretti esprime, pur senza ‘virgolettati’, a Repubblica: il segretario dem paventa che, il giorno dopo le elezioni regionali del 20 settembre – election day che accorpa sei elezioni regionali, amministrative in mille comuni e un referendum costituzionale, quello sul taglio del numero dei parlamentari – il governo (e il Pd, ma questo Zingaretti lo omette) potrebbe trovarsi a subire due colpi micidiali, due uppercut: la sconfitta alle Regionali, propiziata da chi, dentro il centrosinistra, ha ‘rotto il fronte unitario’, cioè Italia Viva (Renzi ha lanciato e/o lancerà candidati autonomi in ben tre regioni: Puglia, Liguria e Veneto, con la concreta possibilità di far perdere i governatori al Pd almeno nelle prime due), e un Parlamento di fatto delegittimato dalla molto probabile vittoria del Sì al referendum sul taglio dei parlamentari, che dovrebbero ridursi da 945 a 600 (-345 di colpo). Le due ‘sconfitte’, che Zingaretti già mette nel conto del governo, ma che, se arriveranno, vanno messe in conto anche al Pd, unite alla crisi economica e sociale che tutti gli osservatori mettono già in conto, per l’autunno, metterebbero a serio rischio la tenuta stessa del governo e della maggioranza.
La conclusione del ragionamento del segretario, così come riportata da Repubblica, è un vero ‘avviso ai naviganti’: “una caduta del governo a settembre non porterebbe a elezioni anticipate, ma aprirebbe la via a soluzioni ponte (un governo Draghi? Un governo Cartabia? Quen sabe?, ndr.) che spazzerebbero via l’investimento politico del Pd nel Conte bis e sposterebbero la scelta del nuovo Capo dello Stato su un asse diverso dall’attuale maggioranza”.
SIMUL STABUNT SIMUL CADENT
Insomma, il segretario del Pd manda a dire ai suoi ‘alleati’ e ‘amici’ dentro il Pd come a quelli fuori dal campo democrat (Conte, i 5Stelle, lo stesso Renzi) che lui e il governo Conte sono una stessa cosa e che “simul stabunt, simul cadent”.
O, altrimenti, una sorta di ‘muoia Sansone con tutti i Filistei’ è il messaggio nella bottiglia che lancia Zingaretti, il quale, in buona sostanza, dice: non penserete mica che, se il Pd perde, e male, le Regionali, e il centrodestra le vince a valanga, magari con Fratelli d’Italia che supera ovunque non solo la Lega, ma anche i 5Stelle, possiamo continuare, noi da soli, a reggere il governo Conte come se nulla fosse?
Il ‘ragionamento’ di Zingaretti, in realtà, sembra più mirato, paradossalmente, a colpire, e dunque a colpevolizzare, più i 5Stelle e la loro linea politica ondivaga e ambigua che Iv e le ‘smanie’ egemoniche/napoleoniche del suo leader Renzi.
Ma, certo, c’è anche molto di ‘cultura del sospetto’, nella cerchia di Zingaretti. La ‘sortita’ del sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, che ha chiesto – papale papale – un cambio di leadership dentro il Pd e la fine dell’alleanza strategica con i 5Stelle è stato vissuto come una ‘ingerenza’ dell’ex leader ed ex segretario, Matteo Renzi, che avrebbe mandato avanti Gori ‘per vedere l’effetto che fa’ e per destabilizzare il Pd.
Poi, ovviamente, lo ‘strappo’ di Iv è stato vissuto come una pugnalata alle spalle. Il partito di Renzi non solo in Puglia lancia il sottosegretario Ivan Scalfarotto, con l’appoggio di Calenda (Ac) e Bonino (+Eu) ce on l’intento dichiarato non di vincere ma di far perdere Emiliano, ma si appresta a fare altrettanto in Liguria, in Veneto. Quindi, poco importa che Iv, con Ettore Rosato, riaffermi il valore dell’alleanza di centrosinistra nelle regioni restanti (Toscana, dove Renzi spera di ‘fare il botto’ con la sua lista, Marche e Campania, dove tanto a vincere o a perdere è e sarà ‘solo’ De Luca).
Come se non bastasse, infine, persino LeU – un agglomerato che, ormai, contiene tre partitini diversi (quello di Sinistra italiana, quello di Articolo 1 e quello di Stefano Fassina) – rialza la testa e vuole dire la sua, al tavolo delle candidature come dei candidati presidenti.
Ma il punto è un altro e riguarda la ‘contendibilità’ della leadership del Pd. Infatti, se è vero che il tentativo di destabilizzare Zingaretti è stato stoppato, almeno per ora, e che, intorno a Gori, è stato fatto il vuoto, è anche vero che – fanno notare al Nazareno – autorevoli esponenti della corrente di Gori, ‘Base Riformista’, hanno sì sconfessato il sindaco di Bergamo, ma hanno anche detto, e con voci autorevoli (il capogruppo al Senato, Andrea Marcucci), che “non è questo il momento” per mettere in discussione gli assetti interni al Pd. Il ‘momento’, appunto, potrebbe però arrivare presto, e cioè proprio con una sonora sconfitta alle regionali, ad esempio perdendone cinque su sei e tenendo, come è presumibile, solo in Toscana, magari grazie a Iv.
I PIANI DI BONACCINI
Ecco, a quel punto, dentro il Pd, si riaprirebbero le danze e proprio gli ex renziani potrebbero chiedere un nuovo congresso, soprattutto se dalla sconfitta del Pd uscissero, come paventa lo stesso Zingaretti, conseguenze traumatiche sulla tenuta del governo. Nel frattempo, il governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, resta acquattato, in attesa che il Destino si compia. È lui – una volta deposto o dimessosi o entrato in un nuovo governo Zingaretti – il vero, ormai praticamente quasi certo, sfidante del campione della sinistra interna, Andrea Orlando, al futuro congresso.
Naturalmente, ‘Bonaccia’ fa sapere di stare bene dove sta, cioè a fare il presidente di Regione, ma scalpita parecchio, e soprattutto ‘piace’ a tutti, anche se per ora specie fuori dal Pd: a Renzi, Calenda e Bonino come a leghisti, meloniani e, persino, a Berlusconi. Attende solo che arrivi ‘l’occasione giusta’, per dirla con Vasco Rossi, un altro emiliano al top. Nell’attesa, il cantautore bolognese Francesco Guccini ci tiene a far sapere che “a me Zingaretti piace. Ogni tanto i suoi avversari cercano il pelo nell’uovo…”. Basterà, a Zinga, l’appoggio della ‘vecchia guardia’ gucciniana? Troppo presto per dirlo.La calda estate deve ancora passare.