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Zingaretti sferza sul Mes, il governo arranca. La bussola di Ocone

È giunto il tempo in cui il Pd, che da socio di minoranza che tiene in vita questo governo, facendosene garante verso il potere italiano ed europeo consolidato, sta per prendere la decisione di staccare la spina? O semplicemente l’attivismo critico verso l’esecutivo di questi giorni dei leader del partito tende semplicemente a incalzare il Movimento, che palesemente blocca il governo, e a garantirsi una via di uscita se l’emergenza economica e sociale dovesse precipitare?

Dopo gli interventi critici di due pezzi da novanta come Graziano del Rio e Dario Franceschini, stamattina la sferzata finale l’ha data lo stesso segretario con un articolo uscito sul giornale della Confindustria, che, come è noto, per bocca del suo presidente Carlo Bonomi, si è schierata con decisione a favore dell’accettazione dei fondi del Mes. Quei fondi che invece Giuseppe Conte, in un primo momento, aveva categoricamente affermato, per calmare i grillini che (come in parte le destre) ne fanno una questione ideologica, che non avrebbe mai attivato.  Zingaretti dice “sì al Mes senza se e senza ma”, forse convinto che anche questa volta i grillini, pur di non far cadere il governo e andare incontro a elezioni che dimensionerebbero drasticamente la loro presenza in Parlamento, ingoieranno il boccone amaro.

Conte da parte sua sta ammorbidendo la sua posizione iniziale, finendo quasi per deresponsabilizzarsi dicendo che il Parlamento (cioè quell’assemblea che finora ha boicottato) dovrà prendere ogni decisione. Nello stesso tempo, il premier prende tempo utilizzando la tattica napoletana dell’”ammuina”: promesse “ecumeniche” difficili da mantenere, cambio di opinioni quasi repentino a seconda dell’utile del momento, una comunicazione centralizzata e aggressiva al tempo stesso. A quanto sembra il Comitato tecnico-scientifico, che in sostanza non ha combinato granché di positivo in questi mesi, sarà dimissionato, mentre al suo posto sarà nominato un  pletorico tavolo di Stati generali composto dalle associazioni di categoria e sociali e in più, da quanto trapela, secondo le intenzioni del premier, sempre per motivi di immagine o comunicazione, da una buona quota di “vip” (così titola La Repubblica), compreso Draghi (che però dubito che accetterà di farne parte).

In qualche modo, una “rete di salvataggio”  per non fare i conti con la verità, che imporrebbe di dire agli italiani che la coperta è troppo carta e che un “piano di rilancio” (espressione veramente infelice visti i precedenti storici), non c’è perché il governo non può stilarlo senza farlo diventare un motivo di guerra fratricida all’interno suo e di quel Movimento che si sta sgretolando. Ovviamente, è una tattica molto rischiosa per il Paese e in prospettiva per la coesione sociale. E che denota soprattutto, a mio avviso, la pochezza della nostra classe politica, considerato che pure a destra non si vede uno straccio di programma alternativo da proporre agli italiani.

In questa situazione, a costo di ripetermi, l’unica via praticabile, come ci insegna la storia, sarebbe quella di un governo “semi-tecnico” sorretto dalle più “larghe intese” politiche possibili. È vero che forse, per realizzarlo, non ci sono al momento attuale le condizioni politiche. Ma non provare nemmeno a farle maturare mi sembra francamente suicida.

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