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Airbus, Boeing e non solo. Ecco la crisi più grave per il trasporto aereo

Quindicimila posti di lavoro in meno. È questa, in estrema sintesi, la ristrutturazione di Airbus per fronteggiare la crisi da Covid-19. I numeri, resi noti ieri dal colosso franco-tedesco, fanno tremare l’intero settore del trasporto aereo, confermando gli scenari più cupi già evidenziati da numerose analisi e previsioni. “È la crisi più grave che questo settore abbia mai vissuto”, ha chiosato il ceo Guillaume Faury.

I NUMERI DELLA CRISI

Il taglio di Airbus coinvolgerà molti siti del Gruppo, colpendo soprattutto quelli in Francia (meno cinquemila posti di lavoro) e Germania (meno 5.100) e Regno Unito (meno 1.700). Coinvolte anche le controllate Stelia, in Francia, e Premium Aerotec in Germania, quest’ultima già al centro di piani di ristrutturazione prima della pandemia da Coronavirus con un taglio previsto di 900 posti di lavoro. Il tutto, entro l’estate del prossimo anno. “Il processo di informazione e consultazione con le parti sociali è iniziato – ha spiegato Airbus – l’obiettivo è il raggiungimento di accordi che inizieranno a essere implementati nell’autunno 2020”.

LE MISURE DI AIRBUS…

Alla base del taglio c’è la previsione di forti riduzioni della domanda di aeromobili, inevitabile effetto dello stop ai voli e di una ripresa che si preannuncia piuttosto lenta. Secondo Airbus, “non si prevede che il traffico aereo ritorni a livelli pre-Covid entro il 2023, se non il 2025”. Previsioni di questo tipo si susseguono ormai da mesi, alternate da richieste di supporto ai rispettivi governi nazionali da parte di aeroporti, compagnie aree e costruttori. “Le misure che abbiamo adottato finora ci hanno permesso di assorbire lo shock iniziale di questa pandemia”, ha detto Faury. “Ora – ha aggiunto il manager – dobbiamo garantire la sostenibilità dell’azienda e la nostra capacità di emergere dalla crisi in qualità di leader globale del settore aerospaziale, adattandoci alle enormi sfide dei nostri clienti”.

…E IL MAL COMUNE DI BOEING

Stessa storia per Boeing, il campione statunitense, alle prese prima del Covid-19 con la messa a terra da un anno per i suoi 737 Max (solo ieri, la Federal aviation administration ha dato l’ok all’inizio dei voli di test). Già a marzo, mentre Airbus decideva di cancellare il dividendo per il 2019 (1,4 miliardi di euro), di annullare le previsioni di bilancio per il 2020 e di aver fatto ricordo ricorso a una linea di credito elevata da 20 a 30 miliardi, Boeing decideva di sospendere il dividendo, di estendere lo stop al riacquisto di azioni proprie già scattato ad aprile 2019 e di congelare gli stipendi per il ceo David Calhoun e il presidente del board Larry Kellner. In entrambi i casi, le misure venivano accompagnate dalla richiesta rivolta ai governi di supporto diretto, in liquidità, prestiti garantiti e sostengo al settore nel suo complesso. E così, per anni ad accusarsi reciprocamente di aver ricevuto sostegno pubblico, Airbus e Boeing si sono ritrovate a chiedere lo stesso supporto finanziario ai rispettivi governi.

LE RISPOSTE DEI GOVERNI

Ha risposto per prima l’amministrazione targata Donald Trump. Nel maxi pacchetto da 500 miliardi voluto dal presidente per le aziende a stelle e strisce, ne sono stati previsti trenta per le compagnie aeree (passeggeri e merci), da aggiungere ai 17 miliardi per le aziende definite “cruciali per la sicurezza nazionale”, formula che, per alcuni osservatori, sarebbe stata pensata proprio per Boeing. Poi, lo scorso 9 giugno, il governo francese presentato un piano da 15 miliardi per l’aerospazio, comprendente 7 miliardi per Air France, un fondo da 500 milioni per le Pmi e un’accelerazione sui contratti della Difesa. Negli stessi giorni, il governo tedesco confermava un piano da 9 miliardi per la compagnia aerea Lufthansa, che tuttavia comunicava un possibile taglio di 22mila posti di lavoro tra i suoi dipendenti.

LE PREVISIONI (NERE)

Misure che non bastano a dissolvere le nubi di crisi su tutto il trasporto aereo. Di avvertimenti ne sono arrivati parecchi. Da tre mesi le associazioni di categoria, le imprese e i centri di ricerca offrono scenari più che preoccupanti. Secondo l’Associazione internazionale del trasporto aereo (la Iata, che riunisce 290 compagnie aeree) a rischio ci sono 25 milioni posti di lavoro in tutto il mondo “tra aviazione e settori connessi”. Le più recenti stime della Iata parlano per la sola Europea di una perdita di 21,5 miliardi di dollari per le compagnie aeree nel 2020. Secondo le previsioni del think tank di Cdp, perdite globali per il settore si attesterebbero a oltre la metà del valore del prodotto nel 2019; le compagnie aeree rischiano un calo dei ricavi pari al 41% rispetto alle attese, mentre per il ritorno alla “normalità” potrebbero servire cinque anni. Fino ad allora, il settore vivrà “una complessa fase di transizione”.

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