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Il coraggio di osare (dal centro). La riflessione di Tarolli e Bonanni

Di Ivo Tarolli e Raffaele Bonanni

Da anni siamo sostenitori di un ritorno in prima linea di quanti si riconoscono in un impegno politico cristianamente ispirato, al quale concorrano credenti e non.

Una discesa accompagnata da obiettivi alti; in grado di concorrere a dare nuovo vigore all’Italia e alla Ue; da un progetto che abbia l’ambizione di orientare la modernità; fagocitato dal bene che abbia nella declinazione responsabile della libertà, nella tutela dell’ambiente e nella “felicità” delle persone i suoi riferimenti.

E riteniamo che questo possa avverarsi quanto prima, in tempi rapidi e ormai maturi.

Si parte dal centro, fucina di idee, di sintesi innovative, di armonizzazione di interessi e superamento delle disuguaglianze, con l’intento di essere aggregatori di quanti vogliano essere protagonisti nel costruire una nuova fase politica; che vada oltre il bipolarismo! E di dar vita ad un soggetto che sia democratico, grande, plurale, e popolare.

Una scelta tanto audace pone una domanda d’obbligo: quale natura, quali caratteristiche e su quali basi organizzative deve fondarsi questo soggetto?

La nostra Costituzione ha dedicato l’intero Titolo IV dal titolo “Rapporti politici”, per chiarire i vari aspetti ad essi collegati.

Le esperienze di questo ultimo secolo dovrebbero esserci di aiuto per evitare errori e semplificazioni. E quelle degli ultimi trent’anni per non cadere nell’autoreferenzialità, nel leaderismo, o peggio, in strutture virtuali.

E noi riteniamo che lo scollamento degli elettori verso la politica è dipeso principalmente da questo deficit di contenuti e prassi partecipative.

Se si ambisce ad un soggetto che sia plurale e popolare, è fuori di discussione che debba fondarsi su basi democratiche! Le sole che possono assicurare tutele e salvaguardia, rispetto alle tesi che risultassero minoritarie. La democraticità della vita interna è la sola garanzia, vera e imprescindibile, in grado di assicurare il pluralismo delle proposizioni e la ricchezza della partecipazione. E la democraticità abbisogna di regole certe, formalizzate, che non possono essere sostituite dal buon senso, seppure responsabile.

Se si vuole dar voce al popolarismo, si deve pensare ad un soggetto grande! Non di nicchia! Tanto meno eterodiretto; anche fossero illuminati i suoi sostenitori. E il popolarismo richiede che le persone, i territori e i corpi intermedi siano resi protagonisti attraverso il valore della sussidiarietà. E anche questa sfida abbisogna di un metodo democratico che l’accompagni.

Va da sé che chi ambisce a dar voce a questa visione, dovrebbe condividere la necessità di una convinta battaglia culturale e politica. Che non può vederci che lontanissimi, se non antitetici, ad ogni modello o realtà presenti oggi nel sistema politico italiano.

Per questo dovremmo essere diversi anche nella semantica. Non per nuovismo, ma per saper dar voce al protagonismo del cittadino! Per saper riportare nell’arena politica i tanti sfiduciati e i tanti delusi dalle cattive pratiche che i partiti e la politica hanno, in questi anni, praticato.

Il ritorno ad un autentico spirito comunitario, dove il dialogo – che non deve essere confuso con il semplice parlarsi! -, la capacità di condividere e di progettare assieme devono trovare in guide collegiali la loro risposta. Che non potrà cadere né in un crinale assembleare, né tanto meno in quello populista. E l’esperienza consolare romana, come quella della Serenissima possono fornirci delle preziose indicazioni.

Il digitale e la rete dovranno essere parte importante della partita; anche se rimarranno sempre degli strumenti.

Lo abbiamo detto: la sfida è audace! Ma è tempo di giocare una partita nuova se si vuole davvero rendere possibile una fase nuova in Italia come in Europa.

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