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Il Covid è una grande opportunità per la scuola italiana

“Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla”
Papa Francesco

In Europa la scuola riparte; in Italia ancora no: il diritto all’Istruzione è l’unico a non essere stato ristabilito dopo l’emergenza Covid. È solo a causa del necessario distanziamento sociale e della penuria di ambienti?

La questione è decisamente più profonda. Nel nostro Paese, il sistema scolastico è iniquo: egualitario sulla carta, nei fatti non rimedia alle differenze tra gli studenti legate al contesto familiare e sociale, anzi le rinforza, come ha mostrato il Rapporto “Politiche efficaci per gli insegnanti: una prospettiva OCSE-PISA”, reso noto a fine settembre. Il Covid non ha fatto altro che mettere a nudo questi limiti, che fanno dell’Italia (insieme alla Grecia) l’unica grave eccezione in uno scenario europeo che è invece profondamente pluralista

L’osservazione della realtà ha infatti suggerito, nei vari Paesi, soluzioni efficaci, attuate attraverso diverse modalità di finanziamento. Così, c’è chi, come la Finlandia, applica i costi standard e chi, come la Francia, paga tutti i docenti delle statali come delle paritarie a fronte di un contratto con le scuole. Ma nessuno ha mai messo in dubbio la necessità di riconoscere la scuola privata, anche confessionale, alla pari di quella gestita dallo Stato.

Ecco perché il Covid, paradossalmente, avrebbe potuto rappresentare per l’Italia una preziosa opportunità per superare l’assurda guerriglia intestina fra scuola pubblica cattolica e statale, favorendo un sistema integrato. La crisi, in effetti, ha fatto finalmente emergere come dirompente l’annosa questione del nostro sistema scolastico, portando all’attenzione della classe politica e dei cittadini il rischio, già da tempo denunciato, di un suo imminente tracollo.

Ma l’assenza, da parte del Governo, di una politica seria di gestione dell’emergenza (le grida di allarme levatesi fin da metà marzo sono rimaste puntualmente inascoltate) ha impedito alla scuola di ripartire: la paritaria non riparte per mancanza di libertà dei genitori e la statale per assenza di effettiva autonomia dei presidi. A fine luglio, ciò risulta ormai chiaro a tutti…

Eppure, alcune irrinunciabili libertà connesse al fondamentale diritto all’istruzione – come il diritto dei genitori a educare i propri figli conformemente alle proprie convinzioni etiche e religiose, con il conseguente divieto di qualsiasi forma di indottrinamento da parte degli Stati (libertà di istruzione) e il diritto di soggetti diversi dalle autorità pubbliche di istituire scuole (libertà delle scuole) – possono essere interpretate come tradizioni costituzionali comuni agli Stati europei: esse orientano sia le legislazioni unilaterali nazionali sia i diversi Concordati con la Chiesa cattolica, determinando una convergenza “nella ricostruzione di una positiva e ricca dialettica tra pubblico e privato”. Come mai, allora, soltanto in Italia quest’ultima viene ostacolata?

Bisogna considerare il fatto che i Paesi europei usciti a fatica da regimi dittatoriali negli ultimi decenni hanno spinto le nuove democrazie verso una necessità, quasi spasmodica, di reintrodurre l’interazione tra pubblico e privato, laddove esisteva solo la logica statalista.

L’Italia, che godeva fin dal 1945 di democrazia e libertà, ha invece potuto permettersi il lusso di distruggere il pluralismo educativo, dimenticando l’opera dei padri costituenti. Di conseguenza, mentre nei Concordati con i Paesi dell’ex blocco sovietico si riscontra un sostegno generalizzato alle scuole private anche di origine confessionale, lo Stato italiano spreca tempo gridando: “Morte alle pubbliche paritarie”, senza peraltro pensare che queste lo sgravano di 6 miliardi di euro annui…

Se poi, in linea di massima, i Paesi concordatari di tradizione protestante hanno applicato e sviluppato piuttosto agevolmente i principi del pluralismo scolastico anche sul fronte delle scuole confessionali, gli Stati concordatari a maggioranza cattolica, come la Spagna, il Portogallo e la stessa Italia conservano nella normativa, pur aperta e favorevole al pluralismo scolastico di stampo religioso, qualche rigidità, dovuta alle diffidenze storicamente affermatesi in età moderna. Ecco perché lo scenario dei Paesi europei è completamente differente da quello italiano.

Ma l’Italia non può continuare ad essere ostaggio di un atteggiamento politico irresponsabile e inconsistente, perché è evidente che, se pure la scuola a settembre ripartirà, sarà a doppia velocità: per alcuni allievi sì e per altri no, in alcune regioni sì ed in altre no. Ecco dunque, per l’ennesima volta, le soluzioni:

1. chiarezza dai vari Direttori generali dei singoli Uffici scolastici sul fabbisogno di aule, arredi e docenti per l’a.s. 2020/2021;

2. richiesta alle scuole paritarie che ne hanno la possibilità di siglare, nel rispetto dell’autonomia, patti educativi che si potranno tradurre concretamente nelle seguenti opzioni:

 – si sposti una classe (allievi e docenti) dalla statale alla paritaria vicina, oppure:

– si destini a quel 15% di allievi delle paritarie che non potranno più frequentarle una quota capitaria che abbia come tetto massimo il costo medio studente o il costo standard di sostenibilità per allievo;

3. stabilizzazione dei docenti precari che sono in classe da più di 5 anni senza la costosa e inutile procedura del concorsone.

A lungo termine, la soluzione rimane solo e soltanto quella del costo standard di sostenibilità per tutti gli studenti, perché la scuola statale sia autonoma e la scuola paritaria sia libera. Solo così anche in Italia si potrà dare il via alla effettiva libertà di scelta educativa e al diritto di apprendere per tutti, riscattando 8 milioni di studenti dalla discriminazione economica. Il Premier Conte intervenga, altrimenti l’Italia, salvata dall’Europa, corre il rischio di diventare il peggior nemico di se stessa.



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