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Richiedenti asilo, cosa ha deciso la Corte costituzionale sui decreti Sicurezza

“L’esclusione dei richiedenti asilo dall’iscrizione anagrafica, invece di aumentare il livello di sicurezza pubblica, finisce col limitare le capacità di controllo e di monitoraggio dell’autorità pubblica su persone che soggiornano regolarmente nel territorio statale”, inoltre “negare l’iscrizione all’anagrafe a chi dimora abitualmente in Italia significa trattare in modo differenziato e indubbiamente peggiorativo, senza una ragionevole giustificazione, una particolare categoria di stranieri”. È quanto si legge nella motivazione della sentenza n. 186 della Corte costituzionale depositata oggi con cui si dichiara l’illegittimità dell’articolo 13 del primo “decreto sicurezza”, n. 113/2018.

“La previsione –  si legge ancora nella sentenza redatta da Daria de Pretis – viola l’articolo 3 della Costituzione sotto due distinti profili. In primo luogo è viziata da irrazionalità intrinseca, in quanto, rendendo problematica la stessa individuazione degli stranieri esclusi dalla registrazione, è incoerente con le finalità del decreto, che mira ad aumentare il livello di sicurezza. In secondo luogo riserva agli stranieri richiedenti asilo un trattamento irragionevolmente differenziato rispetto ad altre categorie di stranieri legalmente soggiornanti nel territorio statale, oltre che ai cittadini italiani.

E ancora: “Per la sua portata e per le conseguenze che comporta anche in termini di stigma sociale – di cui è espressione, non solo simbolica, l’impossibilità per i richiedenti asilo di ottenere la carta d’identità – la violazione del principio di uguaglianza enunciato all’articolo 3 della Costituzione assume in questo caso anche la specifica valenza di lesione della ‘pari dignità sociale'”, si legge.

Inoltre, in conseguenza dell’incostituzionalità della norma sul divieto dell’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo “sono state dichiarate incostituzionali anche le restanti disposizioni dell’articolo 13 del primo ‘decreto sicurezza’, che prevedevano, tra l’altro, che il permesso di soggiorno costituisse documento di riconoscimento in luogo della carta d’identità, e che l’accesso ai servizi erogati ai richiedenti asilo fosse assicurato nel luogo di domicilio, anziché in quello di residenza”.

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