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La destra si compatta in piazza, ma senza Europa (per ora). La fotografia di Ocone

Per la manifestazione nazionale del centrodestra non c’era forse luogo più adatto di Piazza del Popolo. La grandezza era quella giusta per poter ospitare le quattromila e più persone contingentate, e tutte rigorosamente sedute e distanziate, previste dall’autorizzazione prefettizia. E stupendo era lo scenario della Roma classica e barocca, con il Pincio, le basiliche, il Tridente, e l’obelisco e la fontana al centro, a far da cornice. Ma azzeccata era la piazza anche per il nome che porta, quel “popolo” tante volte evocato negli interventi dei tre leader succedutisi al microfono: Matteo Salvini, Giorgia Meloni e, in rappresentanza del Cavaliere, il solito e fidato Antonio Tajani (hanno parlato in ordine inverso).

A presentare la kermesse anche questa volta una inappuntabile Maria Giovanna Maglie, perfetta nel suo ruolo, decisa e rassicurante al tempo stesso, madrina suo malgrado di una destra che promette di non lasciarsi dividere, pur rispettando le diverse sensibilità, diciamo così, delle tre componenti che la compongono. La destra oggi si è mostrata compatta (ammesse solo le bandiere tricolore e non quelle coi simboli di partito), anche se a costo di una opportuna “rimozione”, e ha saputo mostrare, ad esempio con l’intervento della Meloni che le ha messe in efficace sintesi tutte in fila, di avere ormai un bagaglio di idee che delineano una visione organica di azione politica: una concreta alternativa di governo.

Il popolo, dicevamo. Ovvero, il popolo contro le élite, cioè “noi” contro “loro”: sarà uno schema datato, appartenente a un’altra stagione politica (pre-pandemica), sarà “populista”, ma mai come in questo momento sembra funzionare. Se la destra va in piazza, il governo si blinda e autocelebra a Villa Doria Pamphili o a Palazzo Chigi. Da una parte, il popolo che lavora, suda (Meloni), soffre per la miseria incipiente e il lavoro in bilico e che vorrebbe contare, prima di tutto andando subito al voto (come insiste Salvini); dall’altra chi sta al governo, ove spesso è arrivato senza aver lavorato un giorno nella sua vita o fatto gavetta, che sottovaluta e proprio non capisce i problemi del Paese reale (sognando un Paese povero che si muove sui monopattini come ha osservato sarcastico Tajani), che è inconcludente e pensa solo a fare “marchette” (Meloni), cha ha sequestrato il potere con “giochi di palazzo” e non vuole restituire la parola ai cittadini (ancora Tajani).

Si potrebbe dire che le cose son molto cambiate rispetto a un tempo nemmeno tanto lontano, se fra “loro” c’è ora la Cgil, che come i grillini sa solo dire “no” (Salvini), e fra “noi” ci sono gli industriali, finalmente anche quelli dell’associazione di categoria (“ben ritrovata Confindustria!”, esclama il leader della Lega commentando la presa di posizione di stamane del nuovo segretario dei giovani contro “un governo che fa solo annunci”).

D’altronde, il tema del lavoro è stato messo al centro della giornata (“Insieme per l’Italia del lavoro” è il titolo della manifestazione) e già questo la dice lunga su come i tempi siano appunto cambiati, su come i ruoli si siano invertiti fra destra e sinistra. Eppure, la parola forte della giornata, lanciata, anzi scandita a ripetizione, da Tajani e poi ripresa con forza da Meloni e Salvini, è un’altra: libertà. Non è solo un omaggio retorico al vecchio Cavaliere e alla sua (peraltro mai attuata) “rivoluzione liberale”. E non è nemmeno la presa di posizione decisa e senza ambiguità per quello che un tempo si chiamava il “fronte occidentale”: con gli Usa, Israele, la Gran Bretagna di Johnson e contro la Cina e i regimi “maduristi” che tanto piacciono ai Cinque Stelle, i tre leader hanno mostrato assoluta chiarezza. L’impressione è che, nonostante il Cavaliere voglia essere ancora protagonista in prima fila, egli forse giocherà da oggi in poi in un altro modo, molto più sostanziale a ben vedere. Egli non solo sarà riscattato da un punto di vista giuridico e morale, come è evidente dalle vicende di questi giorni che hanno completamente messo a nudo, se ancora ce ne fosse stato bisogno, la malafede di una parte della magistratura (che riceveva “ordini dall’alto”, dice Tajani, anche se sbaglia nel ricondurre la sua politicizzazione a Togliatti, che lavorò soprattutto sul mondo culturale, e non al Sessantotto). E come sta a dimostrare il successo, anche stamane a Piazza del Popolo, della raccolta delle firme per la petizione che lo vuole senatore a vita. Egli non solo sarà un po’ il “padre nobile” della nuova destra, ed oggi tutti gli interventi lo hanno omaggiato. Ma, a me pare che egli stia riuscendo poco alla volta a ricalibrare in senso “liberale” di Matteo Salvini, che oggi è sembrato, rispetto solo a qualche mese, fa meno monotematico (anche se il tema del controllo dell’immigrazione clandestina ha fatto capolino in tutti gli interventi perché è oggettivamente importante) o legato a politiche redistributive.

Un Salvini (anche o di più) “liberale” sarebbe una bella sorpresa, e il Cavaliere “deleaderizzato” potrebbe dire di sé, e del “successore” che non ha scelto, ciò che Orazio diceva degli elleni vinti dai Romani: Graecia capta ferum victorem cepit. Il segretario della Lega ha oggi esplicitamente citato don Luigi Sturzo, per dire che la scuola è fatta di libertà e mezzi, e che oggi in Italia mancano entrambi, e anzi manca pure “un ministro dell’Istruzione” (di fronte a Lucia Azzolina aveva sottolineato Meloni, “persino Toninelli sembra Zichichi”). E ha fatto riferimento a Luigi Einaudi, pur senza citarlo, quando ha detto che “senza libertà economica e d’impresa non c’è libertà alcuna”.

E, nella più pura tradizione liberale, è da segnalare anche il richiamo preciso (per dare una forma oltre che sostanza all’Italia che si vuole) al presidenzialismo e al federalismo. E che dire dell’apertura-omaggio, tutta in inglese, agli Stati Uniti, che oggi celebrano l’Independence Day, e il cui vero spirito può essere sintetizzato nello slogan: All Lives Matter (ove la contrapposizione al Black Lives Matter è ovviamente voluta). Né è da sottovalutare l’abbandono di ogni critica verso papa Francesco, che non solo non è stato oggi contrapposto ai due pontefici precedenti ma è stato addirittura ringraziato per aver ricevuto i medici e gli infermieri lombardi che sono stati in prima linea negli ospedali nei giorni del virus.

Infine, la “rimozione”. Il tema che oggi proprio non è stato toccato, per quanto strano possa sembrare, è quello europeo. Credo che sia stato per un accordo preciso, considerato che sull’attivazione del Mes Forza Italia, come è noto, ha una posizione diversa da quella delle altre due componenti oggi manifestanti. Ma è forse anche la consapevolezza che alla coalizione di centrodestra oggi, per fare l’ultimo passo, manchi proprio questo: una chiarezza assoluta, in un senso o nell’altro, su cosa si vuole fare in Europa e dell’Europa. Non è semplice, certo, ma credo che su questo punto ci si giochi davvero il futuro, in tutti i sensi. Hic Rhodus, hic salta!

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